Heart of Stone, la recensione: Gal Gadot e Jamie Dornan in uno spy thriller poco originale (ma divertente)

Diretto da Tom Harper e scritto da Greg Rucka e Allison Schroeder, il film scorre piatto e senza guizzi sul grande schermo, ma senza dubbio funziona a dovere per una visione casalinga su Netflix

Netflix cerca di competere con Mission: Impossible schierando l’adrenalinico spy thriller Heart of Stone, costruito per permettere a Gal Gadot (che ne è anche produttrice) di barattare l’abito da supereroina per una combinazione più terrena di intelligenza, abilità tecnologica, istinto e formidabili doti nel combattimento. Anche se è superiore di qualche tacca a Red Notice, l’ultimo film d’azione della star di Wonder Woman per la piattaforma streaming, dà semplicemente una minore sensazione di essere costruito con avanzi di altri film. Ma la pellicola fa il suo lavoro, e sicuramente avrà un buon successo. Non guasta che Gadot sia riuscita a creare un’ottima chimica con il co-protagonista Jamie Dornan.

La tempistica sembra un po’ infelice, dato che Dead Reckoning, il capitolo più recente di Mission: Impossible, è uscito nelle sale solo un mese fa e parla anche lui di una super-intelligenza artificiale dal nome ridicolo, l’Entità, che forze malvagie stanno cercando di controllare.

Heart of Stone: la trama

In Heart of Stone, l’onnipotente cyber-strumento si chiama “il Cuore”, ed è in grado di hackerare qualsiasi rete del mondo, manipolare la tecnologia, sabotare ogni sistema e persino abbattere aerei. Opera da una centrale gestita da un nerd burlone il cui nome in codice è Fante di Cuori (Matthias Schweighöfer), e il cui lavoro è uno di quelli che si vedono solo nei film, e consiste nel fare swipe in aria e far apparire ologrammi dettagliati che rappresentano ogni genere di video e dati, comprese statistiche perfettamente calibrati sulle chances di successo o di fallimento di qualsiasi missione. È una specie Steve Kornacki aggiornato con della strumentazione all’avanguardia.

Il Cuore è lo strumento-chiave del Charter, un’organizzazione segreta di peacekeeping composta da ex-agenti segreti operativi altamente addestrati. Frustrati dai protocolli che devono seguire i loro governi, si sono uniti con lo scopo di utilizzare la tecnologia più sofisticata per neutralizzare le minacce globali.

Se vi state chiedendo a chi sia venuta l’idea improbabile e insensata di una rete di benefattori anonimi che sventano conflitti mondiali e salvano più vite possibili senza prendersi alcun merito, si tratta degli sceneggiatori Greg Rucka (autore di uno dei migliori thriller d’azione di Netflix, The Old Guard) e Allison Schroeder (sceneggiatrice principale del solido e molto apprezzato Il diritto di contare).

Spingendo ulteriormente lo scenario verso l’intrigo spionistico, il gruppo è guidato da quattro “Re”, ognuno designato da un diverso seme di carta da gioco. Il Re di Cuori (Sophie Okonedo), una vera dura, è la figura principale, ma appaiono strategicamente anche le sue tre controparti: il Re di Fiori, asso cinese del cyberspionaggio (BD Wong), il re di Picche, ex-comandante delle forze di sicurezza russe (Mark Ivanir) e il Re di Quadri, ex-vicedirettore della CIA, interpretato da una venerabile star in un cameo a sorpresa di due scene, con un bob asimmetrico argentato che la fa sembrare un ritratto fatto da Otto Dix della cantante delle Swing, Out Sister.

Un film che cerca di competere con Mission: Impossible

L’estesa sequenza prima dei titoli di testa segue un’unità dell’MI6 composta dagli agenti sul campo Parker (Dornan) e Yang (Jing Lusi), dall’addetto ai trasporti e alle comunicazioni Bailey (Paul Ready) e dalla novellina esperta di tecnologia Rachel Stone (Gadot) mentre cercano di catturare il trafficante d’armi più ricercato d’Europa, Mulvaney (Enzo Cilenti), che è stato attirato fuori dalla clandestinità da un evento d’élite per giocatori d’azzardo con posta altissima, in un casinò sulle Alpi italiane.

La tesa missione si svolge in un resort di lusso, sulle piste da sci e in una funivia; non va esattamente come previsto, in gran parte perché Rachel dimostra – almeno per il pubblico – un’abilità inaspettata. Gli scommettitori puntano sul numero di morti di un’operazione dei Navy SEAL in tempo reale, il che significa che un elemento criminale ha decifrato i codici di crittografia dell’esercito americano. Una donna misteriosa, che si rivela essere Keya (Alia Bhatt), 22enne indiana prodigio della tecnologia, rende nota la sua presenza e il suo accesso ai canali di comunicazione dell’MI6.

In seguito all’operazione Mulvaney, l’unità britannica rintraccia Keya a Lisbona, dove un’imboscata quasi mortale e l’implacabile inseguimento da parte di una squadra di killer per le strade del centro storico della capitale portoghese portano a scoprire che non uno, ma ben due agenti dell’MI6 non sono quello che sembrano. Naturalmente, trattandosi di un thriller di spionaggio in giro per il mondo, l’assassino principale è un super-modello dall’aspetto cool (Jon Kortajarena) con uno sguardo cattivo, un ciuffo biondo ossigenato, sopracciglia feroci e un piede pesante sull’acceleratore della moto. È la variante mediterranea del personaggio di Pom Klementieff in Dead Reckoning.

Non si può dire molto di più sulla trama senza fare spoiler sulle due grandi rivelazioni, che arrivano relativamente presto. Ma il regista Tom Harper si dà da fare anche con le scene di lotta e fuga: l’intraprendente agente del Charter esce dalla copertura e cerca di garantire la sicurezza del Cuore, poi intraprende una serie di sfide quasi mortali nel tentativo di recuperarlo una volta caduto nelle mani di un cattivo, che ha reclutato Keya come complice fondamentale. Quest’ultima si rivela non così spietata come sembra quando i suoi piani personali vengono alla luce e la freddezza del suo partner criminale le fa sorgere seri dubbi morali.

Non importa che la sceneggiatura cerchi a malapena di trovare una motivazione credibile per il malfattore così determinato a prendere il controllo del Cuore – descritto da Keya come “il più grande passepartout del mondo” – e così spietato nell’usarlo immediatamente per diffondere caos e morte, oltre che rovesciare un “Re” dopo l’altro. Una frettolosa storia di fondo nella Cecenia devastata dalla guerra non apporta molto alla trama, anche se fornisce un motivo di lagnanza nei confronti del Charter.

Ciò che più interesserà al pubblico di Netflix, che evidentemente si nutre di questa materia, è che il film rimane in costante movimento, mentre l’azione si sposta dall’Italia a Londra, al Portogallo, al deserto del Senegal e all’Islanda, sospinta dalla colonna sonora di Steven Price, ricca di suspense, oltre che di grandi acrobazie ed esplosioni.

Gal Gadot versione femminile di Ethan Hunt

Naturalmente, il mainframe del Cuore è conservato nel luogo meno accessibile possibile, un dirigibile zeppelin riempito di idrogeno chiamato Locker, che fluttua a 24.000 m di altezza sopra un punto sperduto dell’Africa. Seguono varie scene di lanci dal paracadute e di spericolatezze aeree, tra cui una spiacevole colluttazione in cima al Locker, che prende il posto del solito treno in corsa. Non c’è molto umorismo, ma l’utilità di un telefono fisso rotativo in una situazione difficile è simpatico riferimento analogico in un contesto così hi-tech.

Nei panni di una donna fatta con lo stesso stampino di Ethan Hunt, la Gadot è in ottima forma, spacca ossa con elegante atletismo ma allo stesso tempo rimane entro i confini della normale vulnerabilità umana. Il legame di Rachel con i suoi compagni dell’MI6 fornisce una certa consistenza emotiva, così come le vibrazioni da sorella maggiore con Keya, anche se è rinfrescante che si tratti di un film d’azione al femminile in cui la protagonista non è obbligata ad avere un interesse amoroso.

Dornan mostra sfumature più oscure sotto l’apparenza scanzonata del suo personaggio, il cui ruolo segna un completo capovolgimento rispetto al marito e padre devoto che interpretava in Belfast. Il carisma naturale di Gadot e Dornan sostiene il film, con Okonedo che conferisce un’autorevolezza senza fronzoli alla severa ma premurosa Nomade e il solido supporto di Bhatt, Schweighöfer, Ready e Lusi.

Girato da Harper, che ha lavorato a lungo con George Steel, tra l’altro in A proposito di Rose, The Aeronauts e Peaky Blinders, il film appare un po’ piatto e sgranato sul grande schermo, ma senza dubbio andrà benissimo per una visione casalinga.

Traduzione di Nadia Cazzaniga