Cesar Catilina, il protagonista di Megalopolis interpretato da Adam Driver, è un genio visionario intenzionato a salvare New York. Pensa di farlo costruendo un futuro utopico per la città e, contemporaneamente, scalzando l’élite della classe dirigente.
Questa missione di Cesar, auto-assegnata, nobile ma anche egocentrica, sembra un riflesso diretto dell’ostinata determinazione di Francis Ford Coppola a realizzare il film ad ogni costo, così che la favola diventa quasi un’allegoria dell’inseguimento di un sogno.
Un sogno in cui un autore può ancora realizzare un’epopea monumentale senza compromessi, in una Hollywood che emargina l’arte per concentrarsi esclusivamente sull’economia.
La storia travagliata di Megalopolis
Le idee per Megalopolis sono arrivate a Coppola all’inizio degli anni ’80 e, da allora, ha continuato a sviluppare il progetto in modo discontinuo: prima, incontrandosi con attori di primo piano, facendo leggere loro pezzi di copione; poi, girando 30 ore di riprese di seconda unità a Manhattan nel 2001; e poi ancora, quasi abbandonando il progetto sei anni dopo, quando i finanziamenti si sono rivelati difficili da reperire.
Megalopolis
Cast: Adam Driver, Giancarlo Esposito, Nathalie Emmanuel, Aubrey Plaza, Shia LaBeouf, Jon Voight, Laurence Fishburne, Talia Shire, Jason Schwartzman, Kathryn Hunter, Grace VanderWaal, Chloe Fineman, Dustin Hoffman
Regista: Francis Ford Coppola
Sceneggiatori: Francis Ford Coppola
Durata: 2 ore e 18 minuti
Si è scritto molto di come, alla fine, Coppola abbia finanziato da sé l’opulento lungometraggio, con un budget dichiarato di 120 milioni di dollari raccolti in parte attraverso la vendita di una grossa fetta del suo impero vinicolo. Dopo una proiezione a Los Angeles a marzo, alla quale hanno partecipato i rappresentanti dei principali studios e delle piattaforme di streaming, è circolata la notizia che nessun pretendente si sarebbe fatto avanti.
Come regista di classici quali Il padrino, La conversazione e Apocalypse Now, per non parlare di film minori ricordati con affetto come Peggy Sue si è sposata, Rusty il selvaggio, I ragazzi della 56ª strada e persino di fallimenti poi rivalutati, come Un sogno lungo un giorno, Coppola ha accumulato molta buona volontà. Una volontà che ha resistito negli anni, nonostante la produzione decisamente variabile del regista. Anche l’autoironia, in Megalopolis, sparsa in un paio di riferimenti ammiccanti alla sua grandiosità, gioca a suo favore, così come la dedica commovente alla sua “amata moglie Eleanor”, morta il mese scorso.
Ma l’affetto e la nostalgia non contano molto in un’equazione puramente commerciale. Già alla proiezione di Los Angeles, si diceva, nessuno dei presenti riusciva a immaginare un modo per far quadrare i conti, specialmente con la massiccia spesa di marketing prevista da Coppola.
La grande domanda
E poi, c’era la grande domanda: chi sarebbe potuto essere il pubblico di un film che è in parte dramma politico, in parte fantascienza artistica, in parte storia d’amore e persino in parte commedia demenziale, condita da riferimenti elevati alla letteratura, alla filosofia, alla storia e alla religione? Insomma, già in partenza la percezione negli ambienti dell’industria era che questo film non avrebbe mai trovato un vasto pubblico, ed è impossibile non essere d’accordo.
Cos’è, quindi, Megalopolis? Un’opera arrogante che allontana lo spettatore? Un’enorme follia? Un esperimento audace? O forse un ormai raro, fantasioso tentativo di rappresentare la nostra caotica realtà contemporanea, sia politica che sociale, attraverso una narrazione concettuale di grandi dimensioni? La verità è che Megalopolis è tutte queste cose messe insieme.
È tortuoso e sovraffollato, spesso sconcertante, fin troppo parlato. Cita Amleto e La tempesta, Marco Aurelio e Petrarca; rimugina sul tempo, sulla coscienza e sul potere fino a diventare pesante. Ma spesso è anche divertente, giocoso, visivamente abbagliante, illuminato da una speranza per l’umanità a tratti toccante. “Non lasciare che l’adesso distrugga il per sempre”, dice Cesar a un certo punto. È un buon film? No. Ma non è nemmeno un film che si può liquidare facilmente.
La trama di Megalopolis
Il nucleo della trama è una nota a piè di pagina nella storia dell’Antica Roma: Lucio Sergio Catilina, aristocratico e aspirante console, tenta di rovesciare la Repubblica cacciando la classe superiore e liberando il sottoproletariato dai debiti. Questi riferimenti a Roma si traducono abbastanza agevolmente nella New York dei giorni nostri (ribattezzata Nuova Roma) negli echi architettonici, nella statuaria e nelle iscrizioni su monumenti ed edifici.
La sceneggiatura di Coppola ribattezza Catilina come Cesare per evocare un più noto statista storico. Con un tocco di design particolarmente ispirato, gli uffici di Cesar si trovano nella guglia del Chrysler Building, e infatti lo vediamo per la prima volta in piedi su un cornicione esterno, con un taglio di capelli a scodella. Proprio quando sta per cadere, Cesar ferma il tempo. Questa abilità, che ricorda vagamente Matrix, non ha molta importanza per la trama vera e propria, pur dando vita ad alcune sequenze molto belle.
Ancora più significativa è l’invenzione da parte di Cesar di un materiale da costruzione miracoloso ed ecologico, il Megalon. Cesar vuole usarlo per ricostruire la città e restituirla ai cittadini, ma il brillante architetto e urbanista si scontra con la ferma opposizione del sindaco conservatore appena eletto, Franklyn Cicero (Giancarlo Esposito). Il sindaco ha infatti ereditato un disastro fiscale dalla precedente amministrazione, e vuole costruire un complesso di casinò per aumentare le entrate. Frank e i suoi ricchi compari, come il suo faccendiere Nush (Dustin Hoffman), vorrebbero invece mantenere l’opzione “sicura” del cemento e dell’acciaio.
Tra Cesar e Frank non corre buon sangue, sin dai tempi in cui il nuovo sindaco era il procuratore distrettuale incaricato delle indagini sull’omicidio della moglie di Cesar (Haley Simms). L’astio non è aiutato dal fatto che Cesar chiama pubblicamente Frank “il capo dei bassifondi”.
Nonostante la moglie defunta lo perseguiti nel sonno e nella veglia, Cesar ha una relazione clandestina con la giornalista finanziaria Wow Platinum (Aubrey Plaza). Wow desidera soldi e potere, ed è stanca di essere nascosta come amante. La donna trama per sposare l’uomo più ricco di New York, l’anziano Hamilton Crassus III (Jon Voight), che è anche lo zio di Cesar; l’obiettivo finale di Wow è ottenere il controllo della sua banca. Plaza mette in campo il suo caratteristico piglio sardonico con buoni risultati, anche se il personaggio non è particolarmente valorizzato dalla storia.
Nel frattempo, Julia (Nathalie Emmanuel), la figlia del sindaco, è attratta dall’idealismo di Cesar. Julia è una giovane donna festaiola dalla mentalità indipendente che, contrariamente alla volontà del padre, si arruola come aiutante di campo. Così facendo sviluppa un legame romantico con Frank, legame che l’uomo cerca fermamente di respingere. Julia è la prima accolita di fazione opposta ad abbracciare il progetto di Cesar, ma anche l’esperta moglie di Frank, Teresa (la sublime Kathryn Hunter), inizia gradualmente a farsi convincere.
L’intraprendenza di Julia si rivela utile quando Cesar finisce in guai legali per uno scandalo sessuale inventato con una delle Vestali della città (boh!). L’artefice di questo sabotaggio è il cugino di Cesar, Clodio (Shia LaBeouf), un narcisista innamorato di Julia la cui rivalità con Cesar è iniziata quando erano bambini. LaBeouf offre l’interpretazione più divertente del film, nei panni di un uomo viscido che si dà alla moda gender-fluid. “La vendetta è più gustosa quando si indossa un vestito”, dice Clodio dopo aver infangato, apparentemente con successo, il nome di Cesar. Clodio sfrutta anche il malcontento delle classi inferiori della città per alimentare le proprie ambizioni politiche, diventando rapidamente una minaccia sia per suo cugino che per il sindaco.
Il commento
La domanda è quindi: tutta questa trama sta insieme in modo coeso? Non proprio. Megalopolis non si stabilizza mai su un tono uniforme, risultando spesso sia serio che sciocco. Ma non è mai insipido, essendo troppo stravagante per esserlo. Chi altri, tra i registi contemporanei, lavora ancora su questo tipo di scala?
C’è però la sensazione che il concept di questa New York del futuro sia un po’ datato. Per esempio, trasformare il Madison Square Garden in una sorta di Colosseo con gare di gladiatori, corse di bighe e acrobati è stata un’idea intelligente, ma i numeri diventano esagerati, e il ruggito della folla così cacofonico da essere fastidioso.
Luoghi familiari come la Grand Central Station, il Municipio e Central Park s0no tutti riconoscibili, e l’atmosfera noir rende la città paragonabile a ciò che Ridley Scott ha fatto con Los Angeles in Blade Runner. Il direttore della fotografia Mihai Mălaimare Jr. e i designer di produzione Bradley Rubin e Beth Mickle si ispirano alle belle arti, alla fotografia, a Escher e al cinema di Méliès. Gli eleganti costumi di Milena Canonero, invece, combinano l’estro contemporaneo con i drappeggi greco-romani, con risultati davvero impressionanti.
Il cast è generalmente solido, abilmente guidato da Adam Driver nel ruolo di un pragmatico sognatore e da Giancarlo Esposito nel ruolo di un reazionario che potrebbe non essere così rigido come sembra.
Talia Shire interpreta la madre emotivamente fredda di Cesar; Laurence Fishburne dà gravitas all’autista onniveggente di Cesar; Chloe Fineman è divertente nel ruolo della sorella di Clodio, amica intima di Julia e un po’ cortigiana di Versailles. Altri attori, come Jason Schwartzman nel ruolo di un membro dell’entourage del sindaco o Balthazar Getty nel ruolo del braccio destro di Clodio, hanno poco su cui lavorare.
Il film è stato proiettato per i critici a Cannes in un cinema IMAX, con un breve intermezzo dal vivo, che non sveleremo, ma che ha portato i presenti a chiedersi se l’elemento farà parte delle normali proiezioni commerciali. Forse si tratta di una trovata un po’ troppo originale, ma suggerisce che Coppola vede Megalopolis come un film-evento. Considerando il pubblico alquanto ristretto a cui parlerà Megalopolis, forse non è realistico. Ma se questo dovesse essere il canto del cigno dell’illustre regista ottantacinquenne, almeno chiuderà platealmente la sua carriera essendosi assunto il rischio.
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