“Viene da un altro pianeta”. È così che Patrick, interpretato da Josh O’Connor, spiega al suo amico Art, il co-protagonista Mike Faist, chi è Tashi Duncan. Tashi Duncan è una giovane promessa del tennis, che vive lo sport come una relazione d’amore e che nella vita sarà sempre e solo questo: una persona che sa come si tiene una racchetta in mano. Nel film di Luca Guadagnino, Challengers, è impersonata inoltre da Zendaya, star di Euphoria e baricentro etico ed emotivo con la sua Chani nella due parti di Dune.
E proprio come il suo personaggio vestito per Denis Villeneuve, Zendaya, proviene da un altro pianeta. Sarà per questo che tutto ciò intorno a lei sembra così diverso, pur rimanendo familiare.
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È evidente all’arrivo in Piazza Barberini a Roma, con al centro il suo cinema rinnovato, che prende il nome proprio dalla sfera in cui girano in continuazione macchine, autobus e turisti. Usciti dalla metro, la sensazione è di trovarsi di fronte a Time Square. In una versione molto più piccola e con un solo schermo rispetto ai tanti led che aggrediscono la retina.
E in verità non c’è nemmeno chissà quale immagine in movimento a conquistare l’occhio, quanto una pubblicità in verticale che capeggia sopra all’edificio del cinema e svetta dando a tutti l’indizio su quale sarà la première che accoglierà durante la sera. Una sorta di Bat-segnale.
L’arrivo degli Ufo
La capitale, che si era trasformata per un attimo in New York, acquista una meraviglia inattesa. Per gli stranieri, attori e professionisti che hanno lavorato al film, l’occhio cade sulla strada che si imbocca da Barberini, via Veneto, luogo di paparazzi che fotografavano la dolce vita, mentre questa si consumava nei locali più alla moda degli anni sessanta.
Per i romani, invece, è la versione in miniatura di una di quelle enormi e fiammeggianti première che hanno visto tante volte nella grande mela. Che i pianeti continuino ad essere diversi tra gli avventurieri in cerca di un autografo e il cast di Challengers – in particolar modo Zendaya – è poco, ma sicuro.
Raggiungere il lungo cartonato non è facile come sembra, bisogna circumnavigare il cinema stesso. C’è un’entrata quasi segreta, sicuramente inaspettata, anche per chi conosce bene la città. L’entrata del museo Barberini si trasforma improvvisamente in uno spiazzo dove poco più avanti si arriva magicamente sulla terrazza del cinema. In bocca a quel cartellone che si era ammirato da lontano. Siamo sui grattaceli newyorkesi in scala ridotta. Siamo sempre a Roma, stavolta affacciati su piazza Barberini.
L’attesa del cast, e del suo ufo Zendaya, è esattamente la stessa che si proverebbe se si sapesse che sulla terra stanno per arrivare gli alieni. Meno apocalittica de Il problema dei 3 corpi, più emozionante al pari di un qualsiasi riferimento a E.T. – L’extraterrestre. L’aria è febbricitante, ma non ci si sa spiegare il come e il cosa. Forse Zendaya/Chani ha sparso un po’ di spezia portata direttamente da Arrakis. O, forse, ci si rende semplicemente conto che sì, è vero, stiamo per entrare in contatto con una specie sconosciuta.
Zendaya e una nuova generazione di divi
Nel particolare, si tratta di un tipo di attori come non se ne vedevano da tempo: i divi. Con una lacuna di quasi vent’anni, dove a calcare l’immaginario hollywoodiano degli ultimi tempi erano i soliti Brad Pitt, George Clooney e Angelina Jolie. Ma una nuova generazione è pronta ad atterrare sul globo terrestre e ricordarci che c’è una differenza, tra loro e noi.
Simboli irraggiungibili, pur amorevole e premurosi con i fan, gli stessi che hanno permesso loro di salire in vetta al paradiso. Zendaya, così come Timothée Chalamet, Florence Pugh e Austin Butler, sono gli esemplari di un mondo dorato che ogni tanto si mostra ai comuni mortali. Fari della generazione Z, destinati al futuro del grande cinema.
Sebbene abbiano un alone meno divistico, chi perché alle prime armi, chi perché ha palesemente scelto il filone d’autore impegnato, non è giusto lasciare indietro i compari O’Connor e Faist, amici-nemici che si aspetta di vedere solcare il tappeto rosso tanto quanto la loro co-protagonista. E lo faranno: prima Mike Faist quando il sole è ancora una striscia di luce all’orizzonte, poi Josh O’Connor quando è tramontando e infine Zendaya quando si è fatto buio, per illuminare al pari di una stella. Luca Guadagnino no, decide che lui, il red carpet, non lo vuole fare.
È altissima Zendaya. A dire il vero è molto piccola, minuta, ma le scarpe che ha messo la rendono una gigantessa. O è come la percepiamo? Spruzza professionalità da tutti i pori. Questo non la rende meno affabile e affascinante, ma come Tashi pensa solo al game, al set e al punto, difficile non credere che l’attrice faccia esattamente lo stesso. Quando arriva, lo scroscio degli applausi è assordante. Non è facile quando le celebrità sembrano così distanti, anche se te le ritrovi tanto vicine. È arrivata davvero da un altro pianeta. E quando se ne va la luna sembra spegnersi un poco.
Challengers, tra saluti e metro A
Foto, saluti, autografi. Conclusa la ritualistica dei red carpet, c’è un altro step da superare: i saluti in sala. E lì, una sorpresa. Reduce dall’aver dovuto sostituire l’apertura già annunciata della 80esima Mostra del Cinema di Venezia Challengers con il Comandante di Edoardo De Angelis, Alberto Barbera apre le danze e presiede per l’introduzione sul palco di Guadagnino e il suo cast.
C’è chi direbbe che il direttore artistico del Lido, questo film, deve averlo proprio amato. Chi metterebbe invece una firma domani per scommettere che il suo prossimo film, Queer, zomperà a maggio Cannes per riparare al torto con Venezia.
La sala è piena di invitati. Ci sono Gabriele Mainetti, Pietro Castellitto, Maccio Capatonda, Gabriele Muccino. C’è anche un altro “ino”, il Paolo de La grande bellezza, il Sorrentino che aspettiamo con Parthenope nel 2024.
Le luci lampeggiano, l’astronave chiama. Chissà dove voleranno via mentre la gente in sala comincerà Challengers. Roma anche torna ad essere Roma. Niente più Time Square o simili. Nemmeno la metro A trovi quando la prima del film finisce e sono le 23. Non siamo più nel futuro, abbiamo fatto un passo indietro nel passato. Mentre immaginiamo una navicella spaziale che volteggia e si allontana sopra di noi, magari a forma di pallina da tennis.
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