Greta Scarano, da Roma a Tribeca: “Non sono mossa dalle ambizioni quanto dai sogni”

L'ansia di non deludere nessuno, le risate del pubblico in sala, la sensibilità di Sandra Milo e la rivoluzione femminile al cinema: l'attrice racconta a THR Roma il suo debutto da regista, che le è valso l'approdo al festival fondato da Robert De Niro

“Finché non l’ho visto annunciato ufficialmente alla loro conferenza, non ci credevo”. Greta Scarano – voi la conoscete per i suoi ruoli, tra i tanti, in Suburra, nella trilogia di Smetto quando voglio e in Speravo de morì prima – racconta a The Hollywood Reporter Roma l’emozione di volare fino a New York, direzione Tribeca. Lì il suo debutto dietro la macchina da presa, Feliz Navidad, sarà presentato in concorso nella sezione corti del festival di Robert De Niro. “Spero di conoscerlo perché ho sempre avuto un debole per lui!”. La ciliegina sulla torta di un anno che l’ha vista in concorso ad Alice nella città e al Cortinametraggio, vincere il corto d’argento come miglior esordio alla regia e prendere parte a Nuovo Olimpo, ultimo film di Ferzan Özpetek che vedremo presto su Netflix.

Feliz Navidad, prodotto da Groenlandia, è ambientato alla Vigilia di Natale. Tredici minuti in cui Giulia, la protagonista con il volto di Benedetta Cimatti, grazie alla famiglia del suo fidanzato Lorenzo (Simone Liberati), che prende molto seriamente addobbi e tombolate, scoprirà che quando si prova a guardare le cose con gli occhi dei bambini possono ancora avvenire magie. Come incontrare Babbo Natale sotto casa.

In concorso al Tribeca con il tuo primo corto, Feliz Navidad. Com’è andata?

Abbiamo fatto richiesta per partecipare. Mi ha incoraggiato a inviarlo Edoardo Ponti, che è un amico. C’è stato un lungo periodo di attesa in cui eravamo appesi. Ad un certo punto abbiamo capito che forse c’era una possibilità perché ci hanno chiesto dei materiali in più. Io e la producer del mio corto eravamo in costante attesa di ricevere una risposta perché avevamo intuito che ci potesse essere qualcosina. Però non lo puoi mai dire, “non puoi dire gatto se non ce l’hai nel sacco”. È così che si dice, giusto?

E poi?

A un certo punto, mi pare di notte o comunque con il fuso di New York, Maria Clara Taglienti, la ragazza che mi ha seguita anche durante la fase di produzione e che ha interloquito con il Tribeca, mi ha chiamato. E mi ha fatto uno scherzo! Mi ha detto, con voce un po’ triste: “Greta il tuo corto è piaciuto però…. ti hanno presa al Tribeca!”. Le ho detto che era una pazza (ride, ndr). Però sinceramente finché non l’ho visto annunciato ufficialmente alla loro conferenza non ci credevo neanch’io. Ho continuato a non crederci.

Andrai a New York?

Sì, farò toccata e fuga. Dal 9 al 12 giugno.

Come si svolgerà?

Ci saranno varie proiezioni. Loro sono molto rigidi sul fatto che non si può andare alle proiezioni stampa e industry. Quindi andrò a due proiezioni pubbliche. Ci sarà un pubblico variegato, però non ho idea di quello che farò. Vado perché l’emozione di vedere il corto proiettato l’ho provata fortissima ad Alice nella città e poi a Cortinametraggio. Quindi non me la voglio perdere a New York. Da un lato perché per me è un posto eccezionale, dall’altro perché è troppo bello sapere che il corto sarà proiettato lì.

L’idea di sapere che il tuo corto verrà visto da persone dall’altra parte del mondo ti emoziona?

Beh, in effetti è incredibile. È come quando vedo un film asiatico sottotitolato e riesco comunque ad emozionarmi tantissimo pure se tratta temi totalmente diversi da quelli a cui siamo abituati noi. In generale l’ho subita e fruita questa cosa. Però essendo il mio primo corto per me l’emozione di vederlo proiettato anche in Italia, nei luoghi dove sono andata, ha avuto un impatto totalmente forte su di me che non si può neanche descrivere. Faccio fatica a trovare anche delle similitudini quando vedo un film dove ho recitato come attrice perché è troppo diverso. Lì c’è tutto il tuo mondo, il tuo immaginario, la tua visione, le tue idee, le tue intenzioni, gli attori che hanno recitato per te, la troupe che è venuta per te. C’è una responsabilità maggiore e anche un’esposizione maggiore. Almeno questo è quello che ho sentito io. Magari non è così per tutti.

Una scena di Feliz Navidad, il corto di Greta Scarano in concorso al Tribeca. Courtesy of Groenlandia

Una scena di Feliz Navidad, il corto di Greta Scarano in concorso al Tribeca. Courtesy of Groenlandia

E l’idea che un gruppo di persone dall’altra parte del mondo abbia visto e selezionato il tuo corto?

Mi fa impressione e mi fa ridere l’idea che gli sia piaciuto. Mi fa ridere perché chissà che avranno pensato! Forse che sono una pazza (ride, ndr). Infatti quando ci hanno scritto le motivazioni per le quali ci avevano invitati al Tribeca, il testo, oltre ai complimenti per il corto, parlava della sua inquietante e divertente stranezza!

Cosa ti aspetti?

È tutto bello, quindi anche se non dovesse piacere al pubblico, sarà stata comunque un’esperienza. Poi sarà immerso in un contesto dove ci sono corti da tutto il mondo, la selezione è molto ampia. Ci sarà di tutto e sono anche contenta di andare a vedere gli altri titoli in programma. Poi ovviamente spero di conoscere Robert De Niro perché ho sempre avuto un debole per lui!

Alice nella città, Cortinametraggio, Corto d’argento al miglior esordio. In meno di un anno è successo di tutto. Di quello che hai vissuto cosa ti ha colpita di più?

L’accoglienza in sala. Ad Alice nella città c’è stato un problema con il file, il corto era tutto rosso. Sono morta, però sono cose che succedono e ho imparato tantissimo. Per esempio che devo andare fisicamente a controllare la copia. In quel caso non era un problema legato al festival, ma legato al mio file. Sono inconvenienti che fanno parte di questo tipo di esperienze.

E a livello emotivo?

La cosa che più di tutte non mi aspettavo e che mi ha emozionato è stato sentire le persone ridere. Ci ho lavorato davvero tanto, oltre al tempo trascorso sul set. Ad esempio con il mio montatore, Stephen O’Connell. È lo stesso di Normal People, l’ho conosciuto sul set de Il nome della Rosa. Siamo diventati amici e da lì ogni tanto ci siamo sentiti. Quando gli ho chiesto di fare il corto e lui ha accettato, per me è stato un grandissimo onore e privilegio che nasce dal fatto che faccio questo lavoro ormai da quasi vent’anni.

Come avete lavorato insieme?

Al montaggio ci siamo concentrati tantissimo sui tempi. Lui è irlandese e quindi se non faceva ridere lui era un problema. Volevo che anche lui si divertisse. Per me quello è stato un metro di paragone importantissimo. Sentire le persone ridere in sala e anche stupirsi… C’è un momento in cui compare Sandra Milo. La gente si spaventa ma ride. È una cosa che non si può spiegare. Sinceramente di tutte le cose bellissime che mi sta dando il corto, la risposta del pubblico che lo vede in sala è qualcosa di inimmaginabile per me. È come una dose di dopamina fortissima che non mi aspettavo. L’ho sempre vissuta come attrice e quindi ero completamente inconsapevole di come potesse essere da regista.

E le reazione dei colleghi? Ti hanno reso felice?

Sì, tantissimo. A parte che ho chiesto consiglio sul testo a diversi amici registi e attori. Ho fatto vedere il corto a Valerio Aprea e a Stefano Mordini. Mi hanno dato dei consigli perché era ancora un po’ aperto nel momento in cui glielo facevo vedere. Ho chiesto anche a Giulia Steigerwalt, che è un’amica.

E chi lo ha visto una volta finito?

Ci sono state delle reazioni divertenti, tipo Giovanni Veronesi. Ha detto che non se l’aspettava, che non eravamo più amici perché eravamo diventati concorrenti. Oppure Paolo Genovese che era a Cortinametraggio. Sempre con ironia mi ha preso in giro sul fatto che zitta zitta faccio l’attrice ma in realtà sono diventata regista. Oppure Barbara Ronchi che è stata carinissima. Ci sono state tante cose positive, oltre alla gioia di vedere anche i miei attori felici del corto.

Benedetta Cimatti e Sandra Milo in una scena di Feliz Navidad di Greta Scarano. Courtesy of Groenlandia

Benedetta Cimatti e Sandra Milo in una scena di Feliz Navidad di Greta Scarano. Courtesy of Groenlandia

Quello di Feliz Navidad è un grande cast, nel quale svetta Sandra Milo. Da Federico Fellini a Greta Scarano. Come l’hai vissuta? 

Non ho avuto il minimo dubbio sul fatto che avrebbe fatto da Dio il suo ruolo e che non ci sarebbe stato nessun problema sul set. Non mi sono preoccupata, ero solo incredibilmente felice e onorata che avesse accettato di fare questa cosa con me. È una persona estremamente empatica e ha una grande sensibilità. Anche non conoscendoci ci sono delle persone con le quali ti trovi immediatamente. Lei con le persone ha un rapporto che si basa sulla gentilezza, sul rispetto. E poi c’è questa sensibilità, è una persona argutissima. Sandra ha tantissime risorse e ha vissuto un milione di vite. Ha fatto di tutto, tra cui gestire un ristorante a Buenos Aires. Questa è una cosa che mi succede anche da attrice. Sono sempre un po’ incosciente. Sono una persona razionale però su delle cose proprio no. E devo dire che molto spesso questa incoscienza, il fatto di buttarmi e di non aver paura, mi ha ripagata.

Il tuo corto proprio tramite il personaggio di Sandra Milo ci ricorda che dobbiamo coltivare il bambino che è dentro di noi. Tu come lo coltivi?

Sono una persona che continua ad essere molto attratta dal gioco. Scherzo tantissimo, mi diverto, sono autoironica. Ho la dimensione ancora fortissima del sogno. Non sono mossa dalle ambizioni quanto dai sogni. Questo è qualcosa che continuo a nutrire ed è qualcosa che ha a che fare con la stessa incoscienza di cui parlavo prima. Non mi pongo tanti limiti e forse questo è qualcosa che non fanno neanche i bambini. Però sicuramente la dimensione del gioco e dello scherzo me la porto dietro anche per come sono stata cresciuta. Mio padre fa sempre battute stupidissime e puntualmente io e le mie sorelle siamo le uniche che ridono.

La sera prima di entrare sul set in veste di regista come l’hai vissuta?

Sinceramente? Ho avuto ansia. Tantissima ansia.

Di cosa?

Della prestazione, di finire in tempo, di non deludere nessuno. Anche perché la dimensione del corto è una dimensione in cui le persone vengono un po’ per amicizia. O almeno nel mio caso. Ti vogliono accompagnare in questo percorso e quindi mi sentivo molto carica di questa responsabilità e non l’ho vissuta proprio benissimo. Avevo veramente tantissima angoscia, però ero anche molto preparata. Ero stata tantissimo sulla location, avevo fatto gli storyboard da sola, quindi non ti dico che disegni orrendi che capivo solo io e per cui sono stata anche presa in giro più volte sul set (ride, ndr). Però quando abbiamo iniziato a lavorare, l’ansia sì è rimasta, ma ci siamo anche divertiti tanto.

E poi?

Ho avuto la fortuna di avere mia mamma sul set. Il cagnolino che si vede nel corto, Diva 2, è di mia madre. Si chiama Penny, non è un cane addestrato. Averla lì mi ha aiutato. Forse è una cosa molto infantile, anche perché sono una donna fatta e cresciuta, però mi dava sicurezza il fatto che ci fosse anche lei lì ad aiutarmi col cane. È stato veramente perfetto quel cagnolino, un valore aggiunto incredibile. E poi inaspettatamente ci siamo divertiti come dei pazzi.

Benedetta Cimatti e Simone Liberati in una scena di Feliz Navidad di Greta Scarano. Courtesy of Groenlandia

Benedetta Cimatti e Simone Liberati in una scena di Feliz Navidad di Greta Scarano. Courtesy of Groenlandia

So che stai lavorando al tuo primo lungometraggio. In che fase sei?

Siamo ancora a metà. Abbiamo scritto questo testo però è ancora in fase di rimaneggiamenti. È ancora presto per parlarne. Però a breve dovrei poter parlare di qualcosa di più concreto.

Tu hai studiato in America, da ragazza. In questi ultimi anni il mercato si è aperto tantissimo grazie ai self tape che possono essere inviati in giro per il mondo. L’idea, come attrice, di ampliare i confini del tuo lavoro ti interessa?

È una cosa che mi ha sempre entusiasmato tantissimo. Solo che deve passare il treno giusto, e finora non mi è capitato. È qualcosa che mi piacerebbe perché vorrei vedere come lavorano in altri posti oltre all’Italia. Ora che stanno cambiando i tempi, ci sono attori che riescono a farsi notare anche all’estero ed è un bene incredibile. Se fossi più giovane sarebbe stato diverso. Quando avevo 18, 19 anni ho pensato di andare a vivere in America e di fare lì l’attrice. Poi però la vita mi ha tenuto qui ed è una cosa di cui sono felice perché ho il mio vissuto e le mie esperienze in Italia. Ripeto, mi piacerebbe tantissimo e penso che non sia mai troppo tardi. Non so se capiterà mai, io resto comunque aperta alla possibilità.

Credi che Lynn, la divisione di Groenlandia dedicata alla produzione di progetti a regia femminile, abbia cambiato un po’ il panorama del cinema italiano negli ultimi anni?

Certo, perché comunque il fatto che ci fosse Lynn ti metteva nella condizione di sforzarti, di pensare a delle storie femminili. Questo l’ho vissuto tantissimo da attrice. La mancanza, cioè, di ruoli che nasce dalla mancanza di storie e dalla mancanza di autrici. E quindi il fatto che ci si impegni per raccontare delle storie femminili con personaggi femminili. Non è un capriccio delle femministe pazze. È un modo per sentirci, per poter rappresentare il femminile in maniera adeguata, perché non si può neanche chiedere solo agli uomini di raccontare il femminile. Lo possono fare tranquillamente, però sono sicura che farlo fare da delle donne avrebbe molta più ricchezza e molto più senso.

Vedi un approccio differente quando è un uomo a scrivere di personaggi femminili?

Ovviamente gli autori uomini tendono a scrivere per personaggi maschili e quindi le donne sono state molto meno rappresentate e noi attrici abbiamo trovato anche meno lavoro. Tutto quello che può ribaltare questa situazione per me è straordinario. Siamo nel mezzo di una rivoluzione. Bisogna vedere quanto dura e dove ci porterà questa cosa, perché siamo ancora molto lontani dal vedere una rappresentanza femminile equa nel cinema e storie femminili che veramente abbiano un impatto. Oltre a registe e autrici donne che concorrono nei grandi concorsi, anche italiani.

C’è qualcosa che cambieresti nel cinema italiano?

Sicuramente la poca rappresentazione del femminile che ci ha portato ad avere pochi ruoli, quindi ad avere una concorrenza bestiale. O il fatto che, per esempio, i film francesi abbiano una riconoscibilità, un loro stile. Qualsiasi film, tu lo guardi e capisci che è un film francese. Forse il nostro cinema dovrebbe creare una cifra peculiare dell’industria cinematografica che dia forza ai nostri film e li renda esportabili all’estero

Altro?

Darei la possibilità alle persone di vedere i film in lingua originale. Nessuno vuole togliere lavoro ai doppiatori, ci mancherebbe. Però non è neanche possibile che non ci sia un’offerta per chi, come tante persone che conosco, voglia vedere un film in lingua originale.

Ti faccio un’ultima domanda: com’è andata sul set di Nuovo Olimpo con Ferzan Özpetek?

Benissimo, è proprio uno zucchero (ride, ndr). Lo adoro. Spero di lavorare nuovamente con lui prestissimo. Özpetek, il mio corto l’ha visto e si è spaventato. Mi ha fatto morire dal ridere questa cosa. Gli è piaciuto, però si è anche molto inquietato. E mi piace che il mio corto possa avere anche quell’impatto su una persona.