C’erano una volta un bambino e un asinello coraggioso. Si fa fatica, immaginando un incipit così, a immaginare che dentro quelle parole possa nascondersi, anzi esplodere, uno dei libri più commoventi, veri, semplici – nel senso più nobile del termine – laceranti di quel gran genio di John Fante.
Il racconto è Bravo, Burro! ed è la favola struggente di un’avventura in cui l’incoscienza di due esseri puri, un figlio e un asinello di nome Valiente, possono riscattare un padre problematico attraverso l’impresa di ricondurre al suo recinto un toro dal nome minaccioso.
Tre produttori lo hanno voluto fortemente per farne un film. Il primo film della loro società, la Wonderage Production, nata nel 2023 e già alle prese con molti progetti in sviluppo. Ma hanno voluto svelarsi, come realtà, solo dopo aver realizzato il sogno di conquistare i diritti di un cult, dell’ultimo grande gioiello di uno scrittore che ha segnato una generazione e un immaginario.
Umorismo, umanità, originalità non sono solo i cardini di questo libro scritto dal “più grande scrittore che abbia mai letto” (parola di Bukowski) ma anche di questa realtà produttiva. “Siamo innamorati delle storie – sottolineano Nicola, Carmine e Davide – e vogliamo raccontare quelle che, come evocato dal nostro nome, aprono alla meraviglia; ci piace immaginare lo spettatore come un bambino che, pieno d curiosità e attesa, si trova davanti a una porta semiaperta da cui filtra una luce misteriosa: la scintilla di una nuova avventura da cui farsi catturare”.
E allora quest’impresa ce la facciamo raccontare da uno dei soci e fondatori, Nicola Abbatangelo.
Come nasce Wonderage Production?
Stavo cercando in modo quasi ossessivo una storia padre-figlio. A un certo punto, nella libreria, quasi per caso mi ritrovo questo libro, Bravo, Burro!.
Cominciamo a informarci e scopriamo che i diritti sono liberi.
Mi sembra un sogno, quelle pagine sono fatte per diventare immagini, la storia di quel bambino e del suo ciuchino coraggioso, Valiente come il nome che gli dà, dal cuore grande e forte come quello del toro Montagna Nera, è incredibilmente visiva. E potente, metafora com’è proprio della relazione tra figlio e padre, con il primo che vuole eroicamente e poeticamente salvare il secondo.
Avete trovato difficoltà nell’acquistarne i diritti?
Direi di no. La casa editrice ci ha subito messo in contatto con gli eredi che si sono subito dimostrati aperti e disponibili, dal modo con cui ci sono venuti incontro ho capito, abbiamo capito che anche loro desideravano che questo racconto trovasse uno sfogo cinematografico.
Da quando tutto è cominciato è passato quasi un anno, perché sono operazioni complesse queste, lo ricordavamo proprio pochi giorni fa con il mio socio, l’agente cinematografico Carmine La Marca (il terzo è Davide Luchetti, Ceo di Frame by Frame), e ancora non ci sembra reale che abbiamo firmato e che ora si comincia.
A che punto è lo sviluppo del progetto?
Siamo davvero all’inizio, alla regia ci sarò io e voglio ringraziare Paolo Del Brocco per l’appoggio ricevuto fin dall’inizio e che ci consente un processo di sviluppo attento e accurato. In questo senso l’aiuto di Rai Cinema è fondamentale.
In realtà all’inizio non volevo mischiare le mie carriere di cineasta e produttore, ma questa storia la sento molto mia, sono padre di tre figli e credo di poter fare un film al contempo universale e molto personale. Questa storia si rivolge a tutti perché ognuno di noi sogna che il proprio bimbo possa dirci “va bene, papà, non hai fatto tutto male”.
Un progetto come questo per me è come un figlio e non è facile lasciar andare con altri i propri pargoli. Quindi inizierò l’avventura da produttore facendo un’eccezione alla regola che volevo seguire.
Questa storia è ancora più attuale con le nuove generazioni di padri di questi ultimi anni?
Hai ragione, è una storia molto attuale, siamo generazioni di padri più attenti, più presenti, più centrati nel nostro ruolo. Allo stesso tempo la figura paterna continua a fondarsi sul non detto, sui sottotesti, sulla razionalità perché l’istinto non lavora a tuo favore.
E Bravo, Burro!, essendo John Fante geniale, ci dice come un figlio ambisca a salvare il proprio padre, a difenderlo contro tutti, a tenerlo con sé stringendo una corda – un’immagine potentissima del libro – con le mani insanguinate per lo sforzo.
Per lei come nasce la voglia di produrre?
Dopo il mio primo film, The Land of Dreams, il produttore Marco Belardi mi propose come creative Producer di mettermi a capo di Lotus Factory, un dipartimento che voleva lavorare sul cinema di genere, su progetti che potessero dar vita a franchise declinate su larga scala: cinema, editoria, serie, game e videogame.
Da lì ho capito che la produzione è complementare e necessaria alla mia vita da regista, per mettere in scena devi anche capire e sapere come poterlo fare.
E poi, da cineasta, sentivo il desiderio di dare a dei colleghi di dar loro il luogo migliore in cui coccolare le proprie idee, creare l’ambiente migliore per un lavoro fondamentale di invenzione che invece, solitamente, quando un progetto riceva la luce verde, viene cannibalizzato da tempi ed esigenze che incalzano gli artisti e spesso tendono a soffocarli.
Il sogno che sta coltivando qual è?
L’animazione, scovando uno stile nuovo e originale. Ma serve tempo, serve attenzione. E allora poi capisco: serviva una società mia, darmi i giusti tempi, anche tre o quattro anni se necessario. Se vuoi trovare una nuova Pixar, non puoi concederti solo poche settimane, è inevitabile.
Quindi cosa propone?
Se vuoi fare questo lavoro prima di un budget, di un progetto economico, devi trovare uno stile, una tua cifra e rovesciarli nei progetti, nei generi, nella visione che hai dentro e vuoi portare fuori da te.
Ho voluto creare con Carmine e Davide ciò che da regista ho sempre desiderato, una piattaforma con tante anime, ma anche un posto in cui altri trovano in noi la possibilità di realizzare i loro sogni. E il fatto che in pochi mesi molti si sono già fidati di noi ci dà molta felicità.
Se ho capito bene ciò che sviluppate non necessariamente sarà prodotto da voi. Sarete un lab?
In questo siamo molto laici, tutto ciò che sviluppiamo non deve essere necessariamente, poi, essere prodotto da noi. E ce la mettiamo tutta comunque, l’idea è quella di dedicare una particolare attenzione alla fase creativa, dallo scouting allo sviluppo, e concentrarsi su giovani artisti, l’obiettivo è scoprire e coltivare bellezza e talento.
Quale sarà la strategia di Wonderage Production per realizzare un progetto così ambizioso?
La strategia si divide in tue anime: la prima è quella che ci spinge a portare il genere nel cinema italiano senza essere derivativi, trovando una propria voce; la seconda sarà cercare progetti interessanti che partono già con una struttura industriale e artistica internazionale (cosa che Abbatangelo ha già fatto prima con il corto Beauty e poi con The Land of Dreams insieme a Lotus – nda), perché a mio parere i tempi sono maturi perché ciò accada.
Ovviamente questo può avvenire portando avanti progetti che nascano da sceneggiature originali ma anche dall’acquisizione di property – e ci sono già trattative in corso per altri titoli importanti, che chiuderemo a breve – come successo per questo progetto d’esordio.
Come si fa a esplorare il genere, i generi senza essere derivativi?
Sottraendosi al proprio immaginario, a quello in cui si è cresciuti, ma mettendo artisti diversi tra loro e di estrazione creativa differente su vari progetti per costruire qualcosa di profondamente personale. Far incontrare storie e narratori su una piattaforma nuova per entrambi, cercando uno stile alternativo.
Quello che per esempio che stiamo facendo non solo per il genere, ma anche per l’animazione. In quest’ultimo caso è molto difficile, ma non demordiamo. Stiamo seminando, sperimentando, senza aver paura dei tempi. Non facendoci dominare da questi ultimi. Coccolare un idea è innanzitutto far dettare a lei i tempi.
In questo modo un’idea non necessariamente dovrebbe diventare un film, ma magari una nuova sezione di sviluppo
Questo può voler dire che magari non esce fuori un progetto cinematografico, certo, ma magari una nuova factory nella produzione, una società nella società che si dedichi a un genere preciso.
Ovvio che per rendere sostenibile la società bisogna portare a termine vari progetti, ma il sogno è trovare un equilibrio tra la sostenibilità e il lusso di poter capire cosa, come e dove andremo con ciò che abbiamo. Non vogliamo essere tiranneggiati dal mercato, dal bilancio, ma dall’esigenza artistica e creativa.
C’è un riferimento, una stella polare che vi guida?
La Pixar, con le debite proporzioni. Loro, anche quando non avevano idea di che struttura industriale si sarebbero dati e neanche i tempi e il modo di trattare l’immagine che avrebbero portato sul mercato, avevano però già una visione.
Vorremmo avere la libertà di tutelare ogni idea, ogni progetto trovando loro la strada migliore, la struttura in cui esprimersi al massimo, le persone più adatte che ci lavorino.
Non pretendiamo titoli e cast, ma almeno ci dice la direzione narrativa e artistica dei prossimi film che state sviluppando?
Posso dirti che stiamo lavorando a una commedia divertente ma anche profonda e poi a un progetto ambizioso su un genere che è la mia grande passione, la fantascienza. Stiamo un po’ dalla parte di Asimov e un po’ da quella dei migliori Urania: bisogna stare attenti perché il genere è molto abusato e tanti maestri ci si sono cimentati, quindi il rischio è alto.
Però in questo progetto c’è un’idea cardine del genere in questione che a mio parere, nel modo in cui l’abbiamo intesa noi, anzi quasi capovolta, non è mai stata considerata. E finché non partirà la custodisco gelosamente, perché secondo me potrebbe essere qualcosa di davvero bello. E non voglio – sorride – dare vantaggi ai competitor.
Favole, fantascienza, un riferimento come la Pixar. Siete partiti volando basso
Te lo dico con Tolkien, autore con cui sono cresciuto e che anche lui è stato molto abusato. Tutti pensavano di lui che creasse mondi per evadere dalla realtà e invece lui, come i migliori autori della fantascienza, li ha creati per capirla meglio, la realtà.
Certi autori la invadono la realtà: Tolkien diceva sempre una cosa. “Se io ti mostro un albero di mele d’oro, quando torni a guardarlo lo scruti con più attenzione. Perché ti ho restituito lo stupore”.
In azienda noi abbiamo appesa la frase che Sam dice a Frodo “C’è del buono in questo modo e vale la pena combattere per questo”. Ecco se possiamo sintetizzare la nostra “mission” come dicono quelli bravi, è restituire lo stupore allo spettatore, lo stupore dell’età del fanciullo, la wonderage appunto.
Dove si vede fra 10 anni? E la Wonderage Production cosa sarà?
Fra dieci anni mi piacerebbe essere, con la Wonderage, un punto di riferimento del panorama cinematografico e che sia riconosciuta l’impronta creativa della nostra fabbrica di storie. Che sia un luogo in cui si investe sui talenti e li si fa crescere.
Un tempo invece ti avrei detto: fra dieci anni spero di produrre un kolossal, ora so che invece spero si possa parlare di uno stile Wonderage come accade per la Pixar oppure ora per A24.
Ce li fa un paio di nomi di autori italiani che potrebbero vivere bene nel vostro mondo?
Fabio Guaglione o Paolo Strippoli. Oltre ad essere davvero bravi, rappresentano una generazione e un modo di vedere il cinema altro, proprio di altri nomi interessanti che ora dimentico ma che sono altrettanto talentuosi. Vorrei creare un percorso con uomini e donne che abbiano la nostra stessa visione e farlo fin dall’inizio.
Ecco perché cerchiamo molto le opere prime e seconde, non perché costino meno – gli esordi, se fatti bene, sono più onerosi – ma perché vuol dire che con quell’autore puoi lavorare sul futuro, costruire insieme un percorso.
Insomma, sul futuro di Wonderage Production non si sbottona ulteriormente?
Non amo vendere aria fritta, muoio dalla voglia di raccontarti di quel film di fantascienza che ho nel cuore o in testa, ma finché non potrò farlo, non avrò la certezza di metterlo su, non voglio parlarne.
Intanto l’immediato futuro è fatto di lavoro. Nei prossimi giorni, sarò su Sandokan. Sono un uomo fortunato.
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