Andrea Sartoretti: “Sogno di fare un film della Nouvelle Vague. Nel cinema bisogna stare attenti a non farsi corrompere”

Parla l'attore protagonista di Io e il Secco, unico film italiano in concorso al RIFF, dal 23 maggio in sala. Una chiacchierata che spazia tra l'energia delle opere prime, la necessità di restare liberi, l'appiattimento dell'algoritmo e la polemica dei David: "Non credo ci sia stata malafede. E proprio quello è il problema". L'intervista di THR Roma

“Susan Sarandon all’inizio del film ci ha fatto i complimenti. E lì ho capito che lo aveva già visto. Eravamo felici perché abbiamo realizzato che se lo sarebbe rivisto. Non è affatto scontato. Anche perché ne dovrà vedere tanti, è in giuria”. Sorride, tra il soddisfatto e l’emozionato, Andrea Sartoretti quando THR Roma lo incontra sulla terrazza panoramica di un albergo di Sestri Levante che affaccia sulla Baia del silenzio. Il racconto è quello del faccia a faccia avvenuto la sera precedente con l’attrice hollywoodiana all’apertura del Riviera International Film Festival di cui l’attore è ospite, insieme al regista Gianluca Santoni, Barbara Ronchi e Andrea Lattanzi, per presentare Io e il Secco, unico titolo italiano in concorso.

La pellicola, già vincitrice ad Alice nella Città 2023 della menzione speciale di The Hollywood Reporter Roma – Uno sguardo sul futuro per la regia, arriverà in sala dal 23 maggio con Europictures. Un’opera prima che racconta di Denni (Francesco Lombardo), dieci anni e una missione da compiere: salvare sua madre (Ronchi) dalla violenza di suo padre (Sartoretti). Per farlo decide di chiedere aiuto a uno che la gente la uccide di mestiere. La persona scelta è il Secco (Lattanzi), che non è un criminale, ma un innocuo sbandato con un disperato bisogno di soldi, che finge di accettare l’incarico per derubare il padre del bambino. Il loro incontro li porterà a interrogarsi sul senso dell’essere uomini, e sulla paura e il mistero che unisce e separa padri e figli. “Se c’è un uomo che si riconosce nel mio personaggio spero ci sia quel giusto imbarazzo, nel senso di vergogna di sé”, commenta Sartoretti.

Andrea Lattanzi e Francesco Lombardo in Io e il Secco di Gianluca Santoni

Andrea Lattanzi e Francesco Lombardo in Io e il Secco di Gianluca Santoni

Anche il pubblico è stato molto attivo, si è avvicinato per congratularsi e parlare del film. È qualcosa che la colpisce ancora o, dopo anni, ci ha fatto l’abitudine?

Non è una questione di abitudine, il nostro lavoro è raccontare delle storie. Il giorno che diventerà un’abitudine è forse quello in cui smetterò di fare questo lavoro. Quando le persone si avvicinano e ti parlano del film, vuol dire che la storia è arrivata in maniera forte. E quando una storia arriva allo spettatore, il mio lavoro è stato fatto. Invece quando si concentrano troppo su di te, non ti parlano del film e magari gli è piaciuta la tua interpretazione, ma la pellicola così così, quello è un fallimento. Perché al di là della vanità personale deve arrivare la storia.

Io e il Secco tocca un tema molto attuale. In questi mesi di proiezioni in giro per festival le è capitato che qualche uomo le si avvicinasse e le confidasse di essersi ritrovato nel suo personaggio?

Sinceramente no. Ma credo anche che se c’è un uomo che si riconosce nel mio personaggio spero ci sia quel giusto imbarazzo, nel senso di vergogna di sé. Magari qualcuno è venuto, ma senza svelarmi che anche lui è fatto dello stesso colore. Però nessuno esplicitamente mi ha detto: “Io sono quella roba là”. Sono venute, invece, tantissime persone che hanno capito la storia e anche l’importanza che ha in questo momento. Ma la storia dei personaggi mio e di Barbara serve e deve scatenare il vero racconto del film. Il racconto di un’amicizia tra un bambino e un adulto.

L’idea di lavorare con un regista esordiente per chi come lei ha già una lunga carriera è uno stimolo in più?

Assolutamente sì. Me li vado proprio a cercare (ride, ndr). Se si guarda ai film che ho fatto, ce ne sono tante di opere prime. Ma è fondamentale la sceneggiatura. Adoro le opere prime perché c’è quella sana voglia di fare, non c’è nessuna corruzione. Dico una cosa ingenua, però mi piace pensare che c’è la stessa intenzione che c’era quando i ragazzi della Nouvelle Vague hanno cominciato e hanno deciso: “Facciamo cinema come ci pare”. Perché dobbiamo dirlo, quando diventi un po’ un mestierante, neanche te ne accorgi che sei stato corrotto da alcune cose. E infatti lo fai in maniera inconsapevole. Però poi sei un po’ inquinato.

Il vero lavoro di un attore, di un regista, di uno sceneggiatore è quello di riuscire a fare questo mestiere per tanto tempo e stare lontano dalle tossine. Non bisogna farsi inquinare, bisogna sempre cercare di raccontare quello che si vuole raccontare nel modo in cui lo si vuole raccontare. Senza pensare mai alle reazioni, a quello che succederà dopo. Devi raccontare una storia con l’esigenza che si ha nelle opere prime. Io la sento molto viva, perché vuol dire che quei registi esordienti sono appena usciti da una scuola, hanno fatto un corto che gli ha permesso di fare il primo film e non vogliono sbagliare. Ma la cosa più importante è che non deve essere un biglietto da visita.

Andrea Sartoretti in una scena di Io e il Secco

Andrea Sartoretti in una scena di Io e il Secco

In che senso?

A volte l’errore di alcune opere prime è che i registi le usano anche un po’ per mettersi in mostra. “Guarda come muovo bene la macchina”. E non devi essere del settore per capirlo, basta essere uno spettatore. Lo senti quando un film ti arriva, te la devi dimenticare la macchina da presa. Se la percepisco, tu puoi stare all’opera prima o alla decima, verrò distratto e il film non mi arriverà.

Nell’ultima stagione di Boris avete anticipato l’appiattimento dato dall’algoritmo, in cui le serie o i film presenti sulle piattaforme devono rispondere a determinati parametri. Lei da spettatore e da professionista soffre questa realtà?

È quello che intendevo con inquinamento. Mi nutro di film più che di serie. Poi è ovvio, ci sono le eccezioni. Però proprio perché faccio questo mestiere per quanto riguarda le serie, se vedo che vanno oltre due stagioni non guardo neanche la prima puntata. Perché so come funziona e so che a un certo punto intervengono e ti dicono: “Scrivi più su quello perché ha più follower”. Anche la scrittura viene inquinata. Di solito la prima stagione è frutto degli autori, per la seconda ci sono molte chance che sia frutto ancora degli autori e poi piano piano, invece, viene un po’ spremuta. Naturalmente ci sono delle serie che durano di più e che vale la pena vedere. Ma facendo un discorso in generale, quello per me è un indizio. È anche un po’ gusto personale. Mi piace sedermi e vedere un film che inizia e finisce.

Rispetto al prequel di Romanzo criminale cosa prova? La serie originale è stata uno spartiacque per la serialità italiana. È curioso di vedere come verrà sviluppato, scoprire se avrà lo stesso potenziale?

È una domanda molto difficile. Sicuramente, per una mia storia personale, sarò curioso di vederlo. Ma se devo dare una risposta pensando al lavoro che faccio, si può raccontare quello che si vuole se la sceneggiatura è valida. Se, invece, scricchiola no. E secondo me è lì la partenza, al di là dell’idea che può essere la più strana o ambigua. Dipende che cosa hai scritto. Tutto parte da lì.

Andrea Sartoretti al Riviera International Film Festival con Io e il Secco

Andrea Sartoretti al Riviera International Film Festival con Io e il Secco. Foto di Laura Bianchi

Lei è nato negli Stati Uniti. Ha dichiarato di aver votato per Barack Obama perché era l’occasione di prendere parte a un momento di cambiamento importante. Quest’anno oltreoceano ci saranno le elezioni. Andrà a votare?

Ultimamente sono più concentrato sull’Italia e su cose non proprio allegre che purtroppo stanno accadendo anche fuori dal Paese. Al momento non ci ho pensato. Sicuramente, con un po’ di amaro in bocca, spero che non succeda quello che temono tutti: il ritorno di una persona che potremmo definire “stravagante”.

Per il nostro Paese, invece, è preoccupato per quella che potrebbe anche essere una ricaduta sulla libertà di espressione di un regista o di un autore?

Quel rischio c’è sempre. Bisogna sempre combattere perché questo non avvenga mai. In tutti i modi e con tutti gli strumenti possibili. Nel mio campo con il cinema o raccontando delle storie. Bisogna essere liberi di raccontare quello che si vuole. La sua domanda mi fa paura. Mettiamola così: “Non scherziamo. È una domanda che non dovrebbe esistere”.

Durante la serata dei David di Donatello, Matteo Garrone ha parlato dell’importanza di insegnare cinema a scuola. Lei cosa ne pensa? Specie in un momento storico in cui l’immagine è centrale.

Mi ricordo che da piccolo a scuola insegnavano disegno. Il cinema è un’evoluzione della pittura è la combinazione di tutte le arti per cui sicuramente sarebbe una cosa intelligente, Di una cosa sono convinto: l’esperienza cinematografica si fa unicamente in sala. Possiamo dire quello che ci pare, ma la cosa più bella della sala è che quando si spengono le luci e inizia il film: potresti essere in qualsiasi città del mondo.

Se si dovesse insegnare cinema a scuola, ci sarebbe una curiosità maggiore per i ragazzi di andare in sala. Anche se spegni il telefonino e decidi di non andare verso il frigorifero, se stai a casa questo non succede. Perché la grandezza dello schermo non è soltanto legata alla sua dimensione ma ad una predisposizione emotiva. A casa non la raggiungerai mai.

Francesco Lombardo in una scena di Io e il Secco

Francesco Lombardo in una scena di Io e il Secco

Ricorda il film che al buio di una sala le ha cambiato la vita?

I 400 colpi. È il mio film. Uno dei motivi per cui Io e il secco mi ha entusiasmato è che già in fase di lettura dissi al regista che il piccolo protagonista mi ricordava un Antoine Doinel che incontra il Lucignolo di Pinocchio. A me questo purtroppo non succederà, ma il mio sogno è sempre stato fare un film della Nouvelle Vague. È lo stile che sento che più mi trasporta emotivamente. Quei cambi di stile improvviso, quel sottolineare in continuazione anche all’interno del film che tutte le arti confluiscono nel cinema. Pittura, lettura, musica: deve esserci sempre tutto. Se penso che è nata a fine anni Cinquanta e riguardo adesso quei film, al di là del bianco e nero, sono più moderni dei titoli che si vedono ora al cinema.

Ha mai pensato di dirigere lei un film, magari con quello stile?

Sì, ci ho pensato. Però per coerenza rispetto a quello che le ho detto prima, devo avere voglia di raccontare una storia che può portare qualcosa in più. Altrimenti sarebbe solo per vanità personale. Se mi dovessero proporre una storia che non mi interessa, non accetterei. Non avrei il coraggio di farlo, mi mancherebbe quella stupida incoscienza.

Tornado ai David: ha seguito la polemica legata alla premiazione di alcune categorie lontane dal palco principale? Che idea si è fatto?

Non credo ci sia stata malafede. E proprio quello è il problema. Posso rispondere personalmente: io avrei preferito stare in sala con tutti. Festeggiare vuol dire stare insieme e quindi avrei preferito stare con gli altri e ringraziare le persone guardandole negli occhi. Abbracciandole.