“Trovo il discorso di Elio Germano sul doppiaggio molto superficiale, anche se lui non è una persona superficiale”. Così Daniele Giuliani, presidente dell’Anad (Associazione nazionale attori doppiatori), in risposta alle affermazioni dell’attore di Confidenza, per la regia di Daniele Luchetti, e da poco vincitore del premio David di Donatello come miglior attore non protagonista per Palazzina Laf, diretto da Michele Riondino.
Germano, in un’intervista rilasciata al podcast Super Otto di CiakClub il 21 aprile, afferma che trova assurda “l’esistenza di film doppiati”. “Con tutto l’amore e la stima per i doppiatori che abbiamo in Italia, i film sono ripresi in audio e in video, quindi vanno visti così. Metterci una voce sopra la trovo una cosa veramente assurda, anche rispetto al meccanismo del cinema, la magia della macchina da presa, cioè la possibilità di riprendere il qui ed ora”.
Germano aggiunge: “Doppiare è una cosa assurda anche rispetto al lavoro degli attori, il nostro lavoro passa per dei suoni che non sono solamente il senso semantico della parola, cioè quello che diciamo. Ma sono dei rumori del nostro corpo, delle vocali. Per noi è difficile ritrovare quella condizione di vissuto quando ridoppiamo alcune parti dei nostri film”. E continua: “Se uno ama il cinema è impossibile vederlo doppiato”.
La risposta dei doppiatori a Elio Germano
Il presidente dell’associazione Anad, nonché voce ricorrente dell’attore Kit Harington (Il Trono di Spade), contattato da The Hollywood Reporter Roma, afferma che la posizione dell’attore, oltre a essere superficiale, ha poca aderenza con la realtà. Nella puntata del podcast, Germano, che recentemente ha prestato la voce per narrare il documentario Fantastic Machine, racconta che in tutto il mondo dell’est, “il doppiaggio è una voce unica, come l’abbiamo noi nei documentari”.
“Come Anad abbiamo fondato con altre associazioni la United Voice Artists (Uva), la prima confederazione di doppiaggio del mondo. E ad oggi ci sono decine di associazioni di doppiaggio nazionali: Stati Uniti, Inghilterra, Spagna, Francia, Germania, Turchia e tanti altri”, afferma Giuliani. “È rimasto a una visione della realtà un po’ datata, si doppia in tutto il mondo. l’Uva ha ricevuto richieste di affiliazione da tanti paesi dell’est, Polonia, Bulgaria, Taiwan, India, ma anche associazioni africane”.
Negli Stati Uniti, continua Giuliani, si doppia tantissimo. “La pandemia ha dato un grosso slancio a questo settore. Gli americani hanno scoperto che la cinematografia non statunitense, che oggi è tantissima tra prodotti giapponesi, sudcoreani, spagnoli e cinesi, gli piace di più nella loro lingua”.
Una questione di accessibilità
Germano fa inoltre un paragone con la musica, dicendo: “Pensate se noi avessimo sentito sempre la musica con la voce di un italiano sopra che traduce”. “Il parallelismo con la musica è sbagliato”, afferma Giuliani. “Il doppiaggio è un’opera di traduzione, ha più senso fare un parallelismo con la letteratura. Noi tutti conosciamo Guerra e Pace, ma mica lo abbiamo letto in russo, lo leggiamo tradotto e non ci scandalizziamo per questo”.
“Se poi la domanda è: il film va visto doppiato?”, continua il presidente dell’Anad, “la risposta è: va visto come vuoi”. “Tradurre accresce il valore di un’opera, anche sociolinguistico, il film diventa accessibile anche alle persone non vedenti, ai bambini. E il doppiaggio diventa anche un grande strumento per veicolare la lingua, ricordiamo che siamo in un paese dove il 28% degli italiani sono analfabeti funzionali”.
Daniele Giuliani ha inoltre dichiarato a The Hollywood Reporter Roma che ha preso contatto con Artisti 7607, l’associazione di cui Elio Germano è parte del Cda e che ha recentemente fatto causa a Netflix, per richiedere un incontro sul tema. “Spero in una risposta positiva”.
“Un’annosa questione”
In Italia, il dibattito sul doppiaggio è “un’annosa questione”, come la definisce il direttore del doppiaggio e consigliere dell’Adid (Associazione direttori italiani di doppiaggio) Gianni Galassi. “Sono 84 anni che questo discorso ogni tanto torna a galla, il primo fu Michelangelo Antonioni nel 1940, e lui la pose a un livello culturalmente credibile anche assumendo una posizione personale contraria, e che ha smentito pochi anni dopo, doppiando completamente il suo film d’esordio”, racconta Galassi, facendo riferimento all’articolo scritto dal regista sulla rivista Cinema e al lavoro di doppiaggio sul film Cronaca di un amore (1950).
“Nella sua posizione del 1940 c’era una velata polemica alle disposizioni del governo fascista che proibiva la diffusione di film parlati in lingue differenti dall’italiano. Quindi lì c’era un nodo politico, oltre che socioculturale”, continua il direttore di doppiaggio, che ha lavorato per dieci stagioni a E.R. – Medici in prima linea. “Chi ancora, a 84 anni di distanza, pone la questione in questi termini, non conosce i fondamenti del linguaggio audiovisivo”.
“Elio Germano è uno degli attori del panorama italiano che più apprezzo in assoluto, ma l’essere un grande attore non fa di lui un plausibile teorico del linguaggio audiovisivo”, continua Galassi. “Prima ancora che di accessibilità, io parlerei di fruibilità, parlare in una lingua diversa vuol dire sottoporre lo spettatore a un lavoro di mediazione traduttiva, ascolto e traduzione mentale o lettura dei sottotitoli, che spezza il tempo dell’esperienza audiovisiva. Un’opera deve godere di una certa immediatezza linguistica”.
“Il doppiaggio crea simmetria, riporta il film alla condizione di fruibilità che ha lo spettatore del paese d’origine”. E conclude: “Il doppiaggio quindi non è né giusto né sbagliato, ma necessario”.
THR Newsletter
Iscriviti per ricevere via email tutti gli aggiornamenti e le notizie di THR Roma