Daniele Luchetti: “Confidenza, un film di denuncia della condizione maschile. Dove ognuno può mettere qualcosa di sé”

"La storia di un uomo medio, che è medio in tutto - anche nei suoi successi - che ha paura di scoprirsi mediocre", racconta il regista del suo ultimo lavoro, con Elio Germano, tratto dal romanzo di Domenico Starnone e con le musiche di Thom Yorke. "Viviamo in un Paese che sta spegnendo gli echi di una rivoluzione che non c'è mai stata". L'intervista di THR Roma

“È un film abbastanza matematico. Ci sono sempre dei temi che ricorrono, delle cose anche segrete che penso sia riduttivo raccontare. L’importante è che ci sia una sensazione di densità e che lo spettatore sia attivo mentre lo vede”. Daniele Luchetti cammina con in sottofondo i rumori della città mentre risponde alle domande di THR Roma su Confidenza, il suo ultimo lavoro – in sala dal 24 aprile con Vision Distribution – tratto dal romanzo omonimo di Domenico Starnone (edito da Einaudi), scritto insieme a Francesco Piccolo e musicato da Thom Yorke.

Protagonista Elio Germano nei panni di Pietro Valli, insegnante amato e stimato dai suoi studenti con un segreto inconfessabile che racconta alla donna che dice di amare, Teresa (Federica Rossellini), che ne diventerà la custode ma anche minaccia a quell’esistenza costruita per sembrare migliore di quello che è. “Questa per me è la figura dell’uomo contemporaneo che non mi va dover riassumere dentro le classiche meccaniche della violenza o della sopraffazione sul lavoro”, racconta il regista. “Qui c’è un qualcosa di più complicato”.

Daniele Luchetti sul set di Confidenza

Daniele Luchetti sul set di Confidenza

La scuola, Lacci. Ora Confidenza. Tre film tratti da opere di Domenico Starnone in cui alcuni temi che si ripetono. Cosa l’attira della sua scrittura e di quelle tematiche?

Sembra che abbiamo una psiche che si assomiglia in qualche maniera. È uno di quegli scrittori che ogni volta che li leggo mi sembrano mi abbiano fatto una radiografia. Anche se è di una generazione e ha origini diverse dalla mia. Però poi quando va dentro i personaggi c’è sempre una cosa che mi riguarda. E mi sento affratellato. Come mi sento affratellato a Elio. Sono quelle parentele inspiegabili. Qualcosa che quando ricomincia è esattamente come prima ed è bello trovarsi cambiati ogni volta.

Confidenza è un film di grandi attori. Come li ha indirizzati verso un materiale così ricco e complesso?

Mi viene in mente adesso che li ho indiretti (ride, ndr). Ho fatto in maniera che ogni scena avesse sempre un sottotesto discordante, sbilenco, misterioso. Chiedevo loro di recitare quel che c’era scritto sul copione o le varianti che decidevamo di volta in volta. C’era molto spesso un’indicazione di andare sempre in una direzione opposta con i pensieri, gli atteggiamenti e proprio con la gestione del sottotesto. È stato per me un esperimento, un modo nuovo di fare questo lavoro. L’ho scoperto in questo film.

In Mio fratello è figlio unico ho cominciato a sperimentarlo. I due fratelli si picchiavano ma si volevano bene. Qui, invece, è meno polarizzato. E questo spesso era fatto in maniera abbastanza scientifica, con dei diagrammi, un disegno fatto a tavolino. Ai personaggi davamo addirittura due o tre livelli di menzogna. Questo li impegnava tantissimo dal punto di vista della recitazione e li faceva sempre stare altrove rispetto a quello che accadeva in scena.

Un aspetto che si ritrova anche nella colonna sonora di Thom Yorke che crea suspense ma, allo stesso tempo, sembra discordante. Addirittura ironica.

Con Thom non abbiamo teso a risolvere la musica della scena. Abbiamo comunicato quali erano i sottotesti che erano serviti agli attori e lui spesso si agganciava a quello. Non a ciò che si vedeva in scena, ma a quello che non si vedeva.

Elio Germano e Federica Rossellini in una scena di Confidenza di Daniele Luchetti

Elio Germano e Federica Rossellini in una scena di Confidenza di Daniele Luchetti

Il protagonista vive una perenne ambivalenza. Si mostra modesto ma vive nell’esaltazione del prossimo. Crede che in questo momento storico il racconto di una figura maschile così sia ancora più significativo?

Penso di sì. Innanzitutto c’è il problema dell’understatement. Come dire, sono addirittura più narcisista nel momento in cui svolgo il mio lavoro, perché costringo l’altro a dire: “Ma no, invece è bello, è geniale”. Il narcisista perfetto non si vanta del suo lavoro ma aspetta che siano gli altri a lodarlo. Un altro elemento è quello della stima. Il personaggio si nutre e vive della stima degli altri. E si sposa la donna che lo stima, non Teresa che lo vede per quello che è.

Lo mette a posto, nel senso che gli dà la giusta dimensione, lo tratta alla pari. Invece Nadia comincia con una lode e per tutta la vita assiste a questo marito lodato e stimato. Questa per me è la figura dell’uomo contemporaneo che non mi va dover riassumere dentro le classiche meccaniche della violenza o della sopraffazione sul lavoro. Qui c’è un qualcosa di più complicato.

Teresa, per l’appunto, lo vede per quello che è. Secondo lei è questo che fa paura agli uomini?

C’è un verso di una canzone di Lucio Battisti che dice: “È un leggero dolor temere di mostrarsi interamente nudo”. Mi ha sempre colpito. C’è quel momento in cui l’altro ti vede senza schermi. E quella cosa ti terrorizza. È un’incapacità degli uomini – questo uomo in particolare – ma forse anche delle donne, di mostrarsi per quello che si è. Il momento in cui l’altro sa veramente fino in fondo chi sei. Non importa che sia un peccato grave o una piccola défaillance nel corso della vita.

Significa che potresti non essere più stimato e amato. E questo è insopportabile. Tanto è vero che nel finale è la figlia quella che rimane peggio, perché è quella che la stima per suo padre se l’è costruita mano a mano: l’ha portata ad assistere alle sue vittorie, l’ha contenuta quando era triste, se l’è portata a scuola, si è confidato con dei segreti come se fosse una sorta di piccola amante. Nasce e cresce con questo padre che è intoccabile. La caduta della maschera del padre è terrificante anche per lei. Lui ha paura che sia terrificante.

Lo scorso anno Anatomia di una caduta ci ha mostrato una metafora dell’uomo che ha perso le coordinate e non ha più appigli. Anche in Confidenza il tema della caduta è centrale.

Cade e non tocca mai terra. È un tema che c’è anche nel romanzo che ho sviluppato visivamente per renderlo efficace. Anche lì è una forma di narcisismo. “Mi butto di sotto, morirò”. Però poi non ha mai il coraggio di farlo, non ha mai veramente una spinta. Anche in quello è mediocre. In fondo è la storia di un uomo medio, che è medio in tutto, anche nei suoi successi, che ha paura di scoprirsi mediocre. Almeno sogna una morte eroica, un suicidio che ponga fine alla sua vita. Ma anche in questo non ce la fa.

Elio Germano e Sofia Luchetti in una scena di Confidenza di Daniele Luchetti

Elio Germano e Sofia Luchetti in una scena di Confidenza di Daniele Luchetti

Al centro del romanzo e del film c’è un segreto. Crede che l’immaginazione dei lettori e del pubblico lo rendano ancora più potente? Ha già avuto dei riscontri?

Quando ho presentato il film al festival di Rotterdam è arrivato uno spettatore che mia ha detto: “Beh è chiaro che si tratti di terrorismo. Negli anni Settanta era implicato nel rapimento di Moro, ci sono tutti gli indizi”. Altre persone, invece, mi hanno detto che era un pedofilo o che avesse detto all’orecchio di Teresa: “Sono solo un uomo mediocre” (ride, ndr). Mi piace moltissimo l’idea che ognuno possa metterci qualcosa di sé.

È un esempio di come si crei un dialogo tra quello che lei racconta e ciò che vivono gli spettatori.

In questi anni sono diventato uno spettatore di serie televisive dove tutto quanto è a prova di stupido. Ogni concetto viene sviscerato ed esaminato perché non bisogna perdere il pubblico per strada. Questo mi dà soddisfazione da spettatore però poi mi chiedo che cosa è rimasto al cinema da raccontare. Il cinema ha questa capacità di farti stare in confidenza con una storia per due ore al buio. E questo buio diventa anche un buio interno della storia e in te stesso. Credo sia un privilegio avere uno spettatore attivo e non uno passivo che si sorbisce tutte le spiegazioni e trova le storie sempre perfettamente bilanciate. Io posso bilanciare il film fino al giusto punto, dopo di che voglio che lo spettatore sia attivo. Questa è la prima volta in un mio film che l’ho fatto consapevolmente.

Nel film viene pronunciata questa frase: “L’amore non è mai alla pari e sempre sopraffazione”. È d’accordo?

Purtroppo penso che spesso i rapporti, più che l’amore, siano rapporti di forza. Magari non per sempre, perché si ribaltano i ruoli. Però, in qualche maniera, è un po’ come l’atto sessuale, c’è chi sta sopra e chi sta sotto e ci si rovescia continuamente di ruolo. I rapporti paritari sono molto difficili da gestire, nella mia vita ne ho visti pochissimi. Ed è sempre una gran fatica, soprattutto perché è quasi un dato di fatto introiettato che sia il maschile che domina. Una cosa che francamente non sopporto proprio più. Anche da uomo subisco la fatica di avere una figura paterna. Quando si dice: “Parla con tuo padre” o “Fai il padre”. È una frase che si sente spesso per strada quando litigano le coppie. Ma chi vuol dire? Perché il padre deve essere l’equivalente sulla terra di Dio in cielo?

Una scena di Confidenza

Una scena di Confidenza

Vanno riformulati i ruoli?

Purtroppo dobbiamo ancora ricostruirne una parità di ruolo vera. E non parlo di quella lavorativa bensì di quella archetipica. Quella è una cosa che o si ricostruisce da capo – anche attraverso delle narrazioni e magari in questo le storie ci possono aiutare – oppure vivremo sempre nel disagio perenne di un ruolo che non ci fa più comodo. Specie quando tutta la società, per fortuna, va da un’altra parte. Si parla tanto di cosa vuol dire essere donna, ma di cosa vuol dire essere uomo oggi non se ne parla più.

Da ragazzino andavo ai collettivi femministi, ero l’unico maschio. Mi piaceva tantissimo, mi divertivo, capivo cose. Ai collettivi di autocoscienza maschile sono andato un paio di volte. Si sono fatti due canne e via. Non c’è mai stato veramente un ragionamento alto su cosa voglia dire ridefinire il maschile, se non un racconto più o meno consapevole dei suoi limiti. Spesso mi hanno detto che sono un regista di denuncia. Ecco Confidenza è anche un film di denuncia della condizione maschile.

Nel film si parla di quanto sia importante l’insegnamento. Lei ha incontrato insegnanti che hanno lasciato un segno su di lei?

Sì, sicuramente ci sono stati parecchi docenti che mi hanno aperto gli occhi. Ci metto dentro anche la professoressa delle medie che, in un giudizio, scrisse che avevo una capacità di esplorare e creare. Mi diede fiducia, come se mi avesse indicato una strada, un dovere da perseguire. Ma anche Renzo Rossellini quando feci la scuola di cinema. La domanda che mi faccio nel film è quanto sia giusto lasciare un segno sugli altri.

Perché è giusto, ma se è frutto di narcisismo che cosa accade? La pedagogia dell’affetto quando è che smette di dare libertà agli altri e quando diventa una sovrapposizione? Ovviamente è una domanda paradossale, però c’è anche questo dentro. Un professore narcisista che vuole creare attorno a sé stima e affetto è comunque una persona che sta dando un indirizzo. È una cosa delicata, non sbagliata, ma va utilizzata con estrema cautela.

Elio Germano, Vittoria Puccini e Sofia Luchetti in una scena di Confidenza di Daniele Luchetti

Elio Germano, Vittoria Puccini e Sofia Luchetti in una scena di Confidenza di Daniele Luchetti

A trent’anni ha realizzato Il portaborse. Un film anticipatore che parlava della corruzione nella politica italiana. Se dovesse raccontarla oggi, su cos’è che poserebbe lo sguardo?

È molto difficile rispondere a questa domanda perché oggi la politica è un po’ più intendibile e i buoni e i cattivi sono un pochino meno visibili. Quel film nasce in un momento in cui era molto polarizzata la lotta politica e si vedeva ancora la coda dei grandi momenti politicizzati degli anni Settanta o del partito socialista che era sceso a compromessi con chi era al potere. Nel film c’era ancora un grande residuo ideologico, un’energia che veniva da lì. Ora quell’energia si è spenta totalmente. E la politica è mediatica, ma non troppo, un po’ meno compromessa. O almeno così sembra.

Oggi mi sembra che sia più che la ricerca dell’adesione su un’idea di gestione dello Stato o su una dichiarazione di adesione psicologica. Quel leader non ha una proposta per risolvere la questione del debito, quel leader mi somiglia psicologicamente. È incazzato come me, è una persona per bene come me, si mette le stesse giacche che metto io. Questo è un po’ più difficile da raccontare. Forse ci vorrebbero gli strumenti dell’ironia. È un po’ meno politica e un po’ più commedia psicanalitica.

Ne L’amica geniale ha intrecciato quella che era la storia del nostro paese con le storie delle due protagoniste. Qualcosa che vedremo anche in Prima di noi, serie tratta dal romanzo omonimo di Giorgio Fontana.

Viviamo in un Paese che sta spegnendo gli echi di una rivoluzione che non c’è mai stata. Siamo diventati un Paese normalizzato che assomiglia a tanti altri. Mi sento un po’ orfano rispetto a quell’energia e molte volte vedo anche i miei figli incuriositi da quello che è successo in quegli anni. E sento che c’è come una sorta di nostalgia di non esserci stati. Ogni tanto mi tocca tirare fuori come un reduce dei racconti di quello che è successo in quegli anni (ride, ndr). E sento che c’è ancora energia in quel racconto. Faccio un esempio: Esterno Notte di Marco Bellocchio è un film molto contemporaneo. E non è solo un film su quegli anni, ma sull’energia che questo Paese ha avuto, anche negativa – e in quel caso distruttiva-, ma che oggi ce la dimentichiamo.

Se dovesse scegliere un film da mettere in una capsula per farlo vedere a qualcuno che non sa minimamente chi sia Daniele Luchetti, quale sarebbe?

Oggi direi Confidenza (ride, ndr). Perché è come sono oggi, indipendentemente dall’accoglienza che il film potrà avere. Se mi avesse fatto la domanda qualche giorno fa, forse le avrei detto La nostra vita.