
Al Teatro Argentina, November di David Mamet si trasforma in un congegno teatrale affilato e vertiginoso, che dilata il grottesco e amplifica la farsa per svelare il cinismo strutturale del potere. Un palcoscenico in cui la politica è macchina autoreferenziale e il protagonista, Charles Smith, un presidente uscente che si aggrappa disperatamente a una chance di rielezione, diventa il simbolo di una corsa senza freni all’autoconservazione.
Luca Barbareschi incarna con lucida frenesia questo leader impantanato nel declino, un personaggio tanto spietato quanto ridicolo, pronto a qualsiasi acrobazia dialettica pur di restare sulla scena. La sua verbosità, violenta e magnetica, rimbalza tra i dialoghi secchi e implacabili di Mamet, dove il politichese si smaschera nel suo gioco di ricatti, finzioni e manipolazioni.

Luca barbareschi in “November”. Photocredit: Federica Di Benedetto
La regia si muove con una precisione metronomica, esaltando la struttura narrativa come un perfetto ingranaggio di accelerazioni e brusche frenate. Ogni scambio è uno scontro, ogni frase un colpo d’attacco o una mossa strategica. November non offre tregua, è una danza di equilibri spezzati, una messa in scena che esaspera il contrasto tra comicità e tragedia, rendendo ogni risata un riflesso amaro della contemporaneità.
Le scene di Lele Moreschi, rigorose e taglienti nella loro aderenza al contesto narrativo, contribuiscono a rendere il testo di Mamet ancor più minaccioso, restituendo un quadro visivo che amplifica il senso di precarietà e opportunismo. Il disegno scenografico è un ingranaggio perfetto: essenziale nella sua costruzione, ma stratificato nei rimandi, capace di incorniciare i personaggi in un gioco di spazi che li esalta e al contempo li intrappola. L’ufficio presidenziale diventa così un’arena chiusa, dove la battaglia per il potere si fa serrata, un’illusione di solidità pronta a sgretolarsi sotto il peso delle menzogne e dei giochi di potere. La scena, statica nella sua geometria formale, si trasforma in un campo di battaglia verbale, un ring in cui i protagonisti si affrontano con una spietatezza che sfiora l’assurdo.

“November”. Photocredit: Federica Di Benedetto
La scena si popola di figure che alimentano questo frullatore di tensioni e sarcasmo. Chiara Noschese scolpisce un personaggio di rara incisività, calibrando con millimetrica esattezza il passo tra ironia feroce e tensione sotterranea. La sua presenza scenica, scattante e pragmatica, accompagna il disfacimento del protagonista e al tempo stesso ne contrasta il delirio con una lucidità che si fa sempre più pericolosa.
Nei suoi scambi, si avverte la piena consapevolezza della commedia come terreno di guerra, dove le parole sono munizioni e i silenzi trappole letali.

“November”. Photocredit: Federica Di Benedetto
Il cast si avvale inoltre di ottimi attori che danno ulteriore solidità alla messa in scena: Simone Colombari, Nico Di Crescenzo e Brian Boccuni arricchiscono la coralità dello spettacolo con interpretazioni precise e perfettamente calibrate, ognuno portando un tassello essenziale alla macchina scenica di Mamet. Il loro contributo, in sintonia con la velocità e il ritmo sincopato della scrittura, amplifica il contrasto tra la patina istituzionale della politica e la sua dimensione farsesca, contribuendo a rendere la commedia ancora più incalzante e sfacciata.
Scritta nel 2007, la commedia emerge oggi con una lucidità quasi profetica. Il populismo come spettacolo, la comunicazione come arma di distrazione di massa, l’equilibrismo tra disastro e consenso: Mamet intercetta i meccanismi di un potere che si nutre del caos e li restituisce in un’esplosione di comicità nera. Inevitabile il rimando a figure politiche come Donald Trump, emblema di una narrazione in cui la politica si confonde con la performance, e l’incoerenza diventa metodo di governo.
La regia si avvale di un ritmo che non conosce pause: la tensione è perenne, le battute si incastrano con chirurgica esattezza, la messinscena incalza il pubblico in un vortice che amplifica il paradosso. Barbareschi domina la scena con un’interpretazione stratificata e mai univoca, il suo Smith è una marionetta e un burattinaio insieme, vittima e carnefice della propria smania di controllo.
November è un teatro che non consola, ma che incide, una macchina comica costruita con feroce intelligenza, che si fa specchio impietoso della deriva politica contemporanea. Ridiamo, ma la risata ci resta in gola, perché ogni battuta è un riflesso di qualcosa che conosciamo troppo bene. Mamet ci porge uno specchio deformante e noi, riflessi in esso, ci accorgiamo che la realtà è ancora più grottesca di quanto la commedia lasci intendere.
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