Conclave, Edward Berger su potere, fede e patriarcato in Vaticano

Il regista Edward Berger racconta a The Hollywood Reporter Roma tutto su Conclave, il thriller politico fresco di sei nomination ai Golden Globes, che indaga le dinamiche sul potere, le contraddizioni della fede e i retaggi del patriarcato

Conclave è un thriller politico diretto da Edward Berger, già premio Oscar nel 2023 con Niente di nuovo sul fronte occidentale, adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Erich Maria Remarque che ha ricevuto anche le statuette per la miglior fotografia, la miglior colonna sonora e la miglior scenografia su un totale di nove candidature.

Il nuovo progetto di Berger, Conclave, racconta la delicata fase di transizione che segue la morte del Papa, quando il Vaticano è chiamato a eleggere un nuovo pontefice. Il decano britannico Thomas Lawrence, interpretato da Ralph Fiennes, è incaricato di supervisionare il Conclave e di contenere gli intrighi tra i cardinali, ma scopre un segreto che minaccia di sconvolgere l’intera Chiesa. Nonostante non sia un film strettamente religioso, il contesto ecclesiastico e la sua uscita nell’anno del Giubileo lo rendono un film di grande attualità. Girato tra Cinecittà e la Reggia di Caserta, Conclave vanta un cast internazionale che include anche due attori italiani: Isabella Rossellini, nel ruolo dell’irresistibile Madre Superiora Agnes, e Sergio Castellitto, che interpreta il beffardo cardinale conservatore Cardi. A completare il cast di primissimo livello, Stanley Tucci nel ruolo del Cardinale, assetato di potere, Aldo Bellini. 

Presentato in anteprima all’ultimo Telluride Film Festival e in uscita nelle sale italiane il 19 dicembre, il film ha già ottenuto sei candidature ai Golden Globes (tra cui quella per Berger e quella per Rossellini), consolidando la sua posizione come uno dei titoli più discussi e attesi della stagione, con molti critici che lo vedono frontrunner nella corsa agli Oscar.

In questa intervista con The Hollywood Reporter, il regista Edward Berger esplora le scelte creative alla base del film e condivide le sue prospettive su temi come il potere, la fede e l’evoluzione dei costumi.

Federica Polidoro (FP): Cosa ti ha ispirato ad adattare il romanzo di Robert Harris, Conclave, e come hai lavorato per portarne i temi e la storia sullo schermo?

Edward Berger (EB): Prima di tutto, ho trovato la storia molto avvincente. È una narrazione tesa sul concetto di “leadership vacante”, la posizione di massimo potere è disponibile e ciò scatena un gioco di intrighi e tradimenti. Questo tema è universale: lo si può osservare in politica, nelle grandi imprese e, in questo caso, in Vaticano. Non avevamo mai visto una storia del genere ambientata lì, e ho pensato che potesse essere particolarmente interessante per il pubblico. 

Mi affascina sempre vedere qualcosa che riflette la realtà che vivo e osservo, come eventi che vedo al telegiornale—ad esempio, le elezioni americane—e immaginare un’elezione simile ambientata in Vaticano. È interessante tracciare da soli questi paralleli.

Inoltre, c’è un meraviglioso arco personale che Ralph Fiennes ha dato al suo personaggio. Il film esplora il suo viaggio attraverso il dubbio, un tema con cui mi sono identificato profondamente. Anche io, a volte, mi chiedo quando scelgo un film: “Dovrei continuare a fare questo film? O fare qualcos’altro?”. Questo senso di incertezza mi ha dato una grande gioia nel ritrovarmi nel personaggio di Ralph.

Per quanto riguarda l’adattamento, volevamo raccontare una storia di speranza di cambiamento che viene raccontata attraverso gli occhi di Ralph. Vivere con lui e comunicare la sensazione di entrare in quel mondo e di attraversarlo coi suoi occhi e le sue orecchie. Seguirlo in ogni tappa del percorso e provare le sue stesse sensazioni. Questo è stato l’approccio principale per assumere il suo punto di vista. 

FP: Il film sembra esplorare più il tema del potere che quello della religione. Cosa rappresenta per te il potere oggi?

EB: Posso spiegarvi l’ispirazione anche in termini di thriller politico. Per me, il film è molto più un thriller politico che religioso. Mi sono lasciato influenzare da grandi registi come Alan J. Pakula, che negli anni ’70 ha diretto film come Perché un assassinio o Tutti gli uomini del presidente. Questi film erano caratterizzati da una notevole meticolosità, e quella stessa precisione ha influito molto su Conclave.

Quando ho letto la sceneggiatura per la prima volta, mi è sembrata una partita a scacchi. Stanley Tucci fa riferimento agli scacchi all’inizio del film, e per me il film è una rigorosa partita a scacchi. Questo è essenzialmente il modo in cui si esprime il potere: come un gioco di strategia, in cui ogni mossa è calibrata.

Oggi, il potere viene percepito in modo molto diverso rispetto al passato. Quando ero bambino, ad esempio, politici sembravano essere dei servitori della collettività, persone che agivano per un ideale. Oggi, invece, il potere sembra essere diventato un obiettivo fine a sé stesso. Politica e chiesa sono meno attraenti, perché comportano grandi responsabilità, pochi guadagni e molte critiche.

Questo ha reso il business una meta più ambita, ma il potere nella chiesa è anche soggetta a corruzione. Spesso, chi cerca il potere non lo fa per le giuste ragioni.

FP: Come sei riuscito a bilanciare i toni del thriller, l’umorismo e gli altri elementi narrativi del film per rendere il film così disorientante?

EB: Non volevo fare un film che sembrasse scontato. Il fatto che si svolga in Vaticano non doveva farlo sembrare un film religioso. Volevo che sembrasse un film moderno, capace di sorprendere continuamente e di mantenere il pubblico costantemente con il fiato sospeso, soprattutto per quanto riguarda le rivelazioni dei personaggi, del mood e dell’atmosfera.

Ho imparato presto che l’umorismo è fondamentale per rendere un film più coinvolgente e piacevole. Ogni volta che posso inserire un tocco di umorismo, cerco di farlo. Quando il pubblico sorride, è davvero la migliore conquista che puoi ottenere… 

FP: Il film tocca temi come il patriarcato e il femminismo. Qual è il tuo punto di vista su questi argomenti?

EB: Beh, non voglio istruire le persone su come  guardare il film, ma per me, una grande suggestione è stata anche la figura interpretata da Ralph Phiennes. Il suo personaggio è una sorta di detentore supremo del patriarcato più antico del mondo, sono solo uomini. Anche una grande persona come Isabella Rossellini è relegata nelle ultime file e lì a servire gli uomini e a stare zitta, sai, e solo a non pensare e a non dire nulla. Non le è permesso di entrare nella leadership. E alla fine di quel film, quel tipo di sentimento, quel patriarcato, quel vecchio sistema, quel vecchio sistema di credenze ha una crepa, e attraverso quella crepa, c’è una luce che entra. Ed è una luce di positività e la luce di una speranza per il futuro, che il futuro potrebbe portare qualcosa di diverso da adesso. Quindi questo è ciò di cui parla il film anche per me.

FP: Hai anche esplorato la crisi della fede. Come pensi che la chiesa possa evolversi per rimanere rilevante nella società di oggi?

EB: Non sono un esperto della Chiesa, semplicemente perché ho fatto un film, sono solo un regista. Ma penso che la gente apprezzi quando le istituzioni si adattano ai tempi e ammettono i propri errori. Personalmente, apprezzo quando ci si rende conto che siamo tutti umani, e che la Chiesa è fatta da uomini che possono commettere errori. Quando ti evolvi con il tempo e resti aperto ai cambiamenti, senza temere che le tradizioni vengano perdute o che si diluiscano nell’ideologia del mondo, allora, come istituzione, ti permetti di essere umano. Guardi al passato e dici: “Abbiamo commesso questo errore, è stato sbagliato, ma siamo disposti a imparare”. In questo modo, saremo più disposti a proseguire, imparando gli uni dagli altri. È un processo di dare e avere, un dialogo piuttosto che un monologo. Se la gente si rendesse conto che sono ascoltati, penso che ci sarebbero molte più reazioni positive.

FP: Come hai scelto Isabella Rossellini e Sergio Castellitto per il cast?

EB: Sergio è ovviamente un attore italiano straordinario. Cercavo un cardinale che parlasse un po’ di inglese—non molto, ma abbastanza—e avesse un tono vivace e sicuro di sé, con una presenza moderna. Mi interessava un personaggio che non si comportasse come il cardinale tipico che ci si potrebbe aspettare. Quando ho pensato a lui, mi è sembrata la scelta perfetta. Inoltre, volevo un volto che il pubblico internazionale non avesse visto di recente in molti altri film. Volevo scoprire qualcosa come spettatore globali.

Per quanto riguarda Isabella, è un’icona. Ha carisma, fascino, un aspetto naturale ed è italiana e con tutto ciò che mi ha detto, se fossi riuscito a prenderla, sarebbe la migliore suor Agnes del mondo. E per fortuna ha detto di sì. Oltretutto è piuttosto silenziosa nel film. Non ha battute. Ha solo bisogno  di un’aura. E chi ha più aura di lei?

This content was entirely crafted  by Human Nature THR-Roma