Far East Film Festival 25: l’Oriente, per ogni pubblico

Al FEFF di Udine, festival dalla naturale vocazione industry, apprezzata da produttori e distributori stranieri. Con Sabrina Baracetti e Thomas Bertacche, che da 25 anni guidano una formula di successo grazie a pochi, essenziali segreti

Kuala Lumpur trionfa a Udine: per la prima volta nella storia del Far East Film Festival, nel 2023 il vincitore, Abang Adik di Jin Ong, anche del premio alla miglior opera prima, arriva dalla Malesia. Sul podio anche Taiwan, Corea del Sud, Hong Kong e Mongolia (qui tutti i premi). L’edizione dei 25 anni ha visto 9 anteprime mondiali, 13 internazionali, 14 europee. 78 film in arrivo da Hong Kong, Cina, Giappone, Indonesia, Corea del Sud, Taiwan, Filippine, Malesia, Thailandia, Singapore, Vietnam, Mongolia. Se dalla fine degli anni ’90 l’Oriente ci appare un insieme di culture meno lontane, il merito è del Far East Film Festival di Udine, ponte tra il Nord Est italiano e quello più Estremo. L’armonia d’acciaio tra Sabrina Baracetti e Thomas Bertacche, che si dividono equamente il turno di parola, guida il festival dalla sua nascita. E l’edizione 25, appena conclusa con l’anteprima mondiale del cinese Full River Red di Zhang Yimou (presente solo in videomessaggio), lo conferma come un’eccellenza culturale. Attorno alle selezioni, di anno in anno, si è costruito molto altro. Uno scambio autentico di culture e una tessitura paziente di relazioni e opportunità produttive. Non a caso il premio conferito dal Far East Film Festival è il gelso, albero simbolo della cultura locale e della storica attività di allevamento del baco da seta.

Far East Film Festival 25: Future roots / radici future

La storia del Far East Film Festival inizia nel 1998, da un’associazione culturale, il CEC (Centro Espressioni Cinematografiche) e un numero zero al Ferroviario, cinema d’essai di Udine. “Non eravamo convintissimi, quando abbiamo iniziato a programmare Stephen Chow e Jackie Chan nella sala di Blue di Jarman, ma poi si è riempita”, ricorda Bertacche. Continua Baracetti: “All’inizio ci dividevano i viaggi, poi abbiamo scelto di andare a Hong Kong, lavorando con il critico e storico Lorenzo Codelli (oggi vicepresidente della Cineteca del Friuli, ndr), che ci ha presentato Derek Elley, allora il senior critic di “Variety” per l’Asia. Siamo partiti con nella testa Hong Kong Express di Wong Kar-Wai e The Killer di John Who, quel tipo di fascinazione. Arrivati lì, abbiamo scoperto un mondo e iniziato a costruire le nostre relazioni con distributori, registi, produttori. Il primo anno sono venuti Ringo Lam e Johnnie To”. To è tornato anche nel 2023, con una masterclass e una selezione dei suoi film. Perché i registi si trovano bene, a Udine, tornano, diventano amici del festival. “Una cosa interessante che ho notato quest’anno è che il Covid ha portato una voglia incredibile nelle persone di incontrarsi”, dice Baracetti. “Gli ospiti asiatici sono arrivati qui proprio con questa volontà. Un fenomeno che non avevamo mai visto prima. Sono sempre stati in sala, hanno voluto vedere i film degli altri e supportarli. Una volontà di condividere, mescolarsi, ipotizzare anche delle collaborazioni, delle connessioni forti che prima non erano così scontate. Un po’ forse è una questione generazionale, un po’ voglia di fare delle cose insieme”.

L’anima pop del Far East Film Festival 25

Fin dal principio FEFF è stato pensato per il pubblico, a cui offrire un cinema di genere e popolare. Al Teatro Nuovo Giovanni da Udine, a due passi dalla casa natale di Tina Modotti, ogni proiezione è unica, non ha repliche. Difficile spiegare l’atmosfera a chi non è mai stato al Far East, tra gadget ipercolorati e infinite tentazioni di cucina asiatica, né ha mai girato per la città, dove fioriscono laboratori collaterali di origami, arti marziali, teatro delle ombre, cerimonie del tè e del sakè, dj set. Sulla facciata e nel totem digitale dentro il foyer del Nuovo, campeggia l’immagine del graphic designer Roberto Rosolin, creata con l’intelligenza artificiale: due volti femminili evanescenti, forse uno duplicato. Nel bookshop, tra rare edizioni in DVD, accanto a romanzi cyberpunk queer come il thailandese Membrana di Chi Ta-Wei sta la graphic novel American Born Chinese di Gene Lueng Yang: la serie omonima prodotta da 20th Television con Michelle Yeoh è in arrivo a fine maggio su Disney+. Gli accrediti per il pubblico, a seconda dei privilegi di accesso, si chiamano Black Dragon, White Tiger, Red Panda. L’entusiasmo, il calore per le storie e i loro autori è nell’aria.

Al Nuovo (“1200 posti rispetto ai 216 del Ferroviario, una bella scommessa, nel 1999, poteva anche fallire”, ricorda Baracetti) registi, produttori, interpreti delle opere in concorso vedono i film insieme agli spettatori: sono loro a decidere i tre vincitori, strappando una scheda voto distribuita all’ingresso (la miglior opera prima e la miglior sceneggiatura, invece, vengono indicate da due giurie tecniche). In sala si aspetta l’inizio del film a luci accese, la regia del teatro spara una playlist elettronica, riprende il pubblico e ne proietta le immagini sul mega schermo. Quando gli ospiti fanno il loro ingresso sull’intro di Disco labirinto dei Subsonica, parte un battimani da stadio. Anche questa ritualità della proiezione non è accidentale.

Visionari e concreti

Da organizzatori culturali, Baracetti e Bertacche hanno dalla loro anche il punto di vista di esercenti e distributori. Fondata nel 2008 per mostrare produzioni locali, la loro Tucker Film, sotto il segno delle raffinate affiches di Guido Scarabottolo, ha distribuito il giapponese Departures di Yôgirō Takita (ma anche Ann Hui, Lee Chang-dong, Hirokazu Kore’eda…). “Nessun distributore italiano voleva comprarlo, perché parlava di un becchino”, dice Bertacche. “Per FEFF Sabrina lo aveva selezionato prima dell’Oscar. È rimasto invenduto anche dopo averlo vinto. Ci sono tantissimi altri film che fino a pochi anni fa non interessavano i distributori italiani, è difficile portarli in sala. L’ultimo che abbiamo distribuito è il cinese Terra e polvere di Li Ruijun (nel 2022 alla Berlinale e tra i premiati di FEFF, ndr)”.

Con una passeggiata, dal Nuovo si raggiunge l’altra sala del festival, il Visionario, la cui programmazione durante l’anno è curata sempre da loro: rinnovato nel 2020, ha 5 sale, di cui due in 4K e una con Dolby Atmos. La visita è fortemente consigliata a chi lavora nell’esercizio: si può imparare molto su come conquistare spettatori. Non che l’affezione alla sala sia un feticcio: i due sottolineano che FEFF ha sperimentato lo streaming già prima della pandemia, grazie alla collaborazione con MyMovies: con Far East Stream, prima piattaforma italiana di cinema asiatico. “Dopo il Covid, l’unica cosa che è cambiata, non solo per il nostro, ma per i festival in generale, è che i festival sono più forti e la sala è più debole”, sostiene Bertacche. “La gente si muove più facilmente per qualcosa che è un evento. Quest’anno, nei primi cinque giorni, che comprendevano il 25 aprile (Festa della Liberazione, ndr) è venuta una quantità di gente che non ricordo di aver avuto prima della pandemia. I festival cambiano. Devono cambiare”. Per festeggiare l’edizione 25, infatti, FEFF ha prodotto con Chora Media Bambù, il podcast sugli ultimi 25 anni di Asia, a cura di Giulia Pompili e Francesco Radicioni, autori, durante il festival, di una rassegna stampa mattutina e talks tematici pomeridiani.

Legami che uniscono

Gli altri segreti del successo del Far East non sono affatto nascosti: il nucleo del compatto staff (circa una decina di persone) è rimasto quasi immutato dagli esordi. È invece cresciuta nel tempo la solida rete di consulenti, autori dei saggi territoriali del catalogo, molti dei quali vivono, almeno una parte dell’anno, in Asia. Oggi il FEFF scommette sul potenziamento di Ties That Bind, workshop di coproduzione tra Asia e Europa nato nel 2009 dall’unione di Fondo per l’audiovisivo del Friuli Venezia Giulia, EAVE (European Audiovisual Entrepreneurs) e TAICCA (Taiwan Creative Content Agency).

“La sfida è coinvolgere le agenzie governative del cinema dell’Asia”, spiega Bertacche. “Abbiamo bisogno di risorse, mostriamo i loro film e stiamo cercando di far capire che Taicca ha fatto un investimento importante, ma anche Hong Kong e le Filippine, e in anni passati anche l’agenzia coreana. È un lavoro che dobbiamo fare per far sì che questo diventi un piccolo hub dove le agenzie governative possano incontrarsi, cioè non solo tra Asia e Europa, ma anche tra Asia e Asia”.

Focus Asia, la sezione industry, ha già nove storie di successo sviluppate tramite l’All Genres Project Market: da Karmalink di Jake Wachtel, alla Settimana della Critica di Venezia nel 2021, a Leonor Will Never Die di Martika Ramirez Escobar, al Sundance Film Festival 2022. L’ultimo in ordine di tempo è Plan 75: selezionato in Un certain regard a Cannes nel 2022, uscirà al cinema con Tucker l’11 maggio. Nato proprio a Udine. “Quando nel 2016 abbiamo mostrato Ten Years Hong Kong, film controverso in 5 episodi sul futuro di HK da lì a 10 anni, avevamo in sala una produttrice giapponese, che ha pensato di produrne una sua versione”, spiega Baracetti. “Uno di questi era Plan 75, il corto di Chie Hayakawa, la stessa regista che poi lo ha sviluppato, presentandolo a Focus Asia come lungometraggio. È l’esempio incredibile di cosa un festival può fare”. E aggiunge: “i rappresentanti del governo di Hong Kong sono venuti a Udine per presentare il loro fondo di coproduzione con gli altri Paesi del Sud Est asiatico e hanno riconosciuto in Focus Asia una piattaforma importante per lanciarlo. Lo avevano già fatto in Giappone, ma in Europa non erano ancora da nessuna parte. Se prima di Cannes sono venuti qui, vuol dire che si stanno accorgendo che questo può diventare un hub interessante”.