Galline in fuga 2: L’alba dei nugget, la recensione. Un film adatto a nonni e bambini (ma non ai genitori)

Con un cast di doppiatori che comprende Thandiwe Newton, Bella Ramsey, Zachary Levi e Imelda Staunton, il film è stato presentato in anteprima al BFI London Film Festival prima dell'approdo ufficiale su Netflix il 15 dicembre

La casa di produzione britannica Aardman, nota soprattutto per cortometraggi pluripremiati come l’intramontabile Creature Comforts e franchise come Wallace & Gromit e Shaun, vita da pecora, è specializzata nella claymation: animazione in stop-motion realizzata con figurine di argilla e plastilina. Anche per gli standard molto lenti della pratica dell’animazione, impiegano secoli per produrre nuovi lavori.

Si potrebbe dire che la loro produzione è rara come i denti di una gallina, per citare un modo di dire britannico, il che è appropriato perché il loro film di maggior successo (e il film in stop-motion che ha incassato di più in assoluto) è ancora Galline in fuga (2000), un film per famiglie ambientato in un allevamento di polli degli anni Cinquanta, che ha come protagonisti una nidiata di volatili con denti eccessivamente mordaci e anatomicamente scorretti, ma molto tipici dello stile Aardman.

Le cose belle arrivano a chi le aspetta, e il sequel dello studio, Galline in fuga: L’alba dei nugget, è un degno successore. Riunendo gli amici pennuti che si erano dati alla fuga nell’ultimo film, guidati dalla gallina Gaia (doppiata da Nancy Brilli in Itali mentra da Julia Sawalha nell’originale americano, qui un po’ crudelmente scartata per una presumibilmente più “giovane” Thandiwe Newton) e dal suo spasimante gallo americano Rocky (doppiato in Italia da Christian De Sica, mentre in originale da un Mel Gibson – comprensibilmente – sostituito da Zachary Levi), la pellicola vede la squadra introdursi in una fattoria high-tech in cui la figlia di Gaia e Rocky, Molly (Bella Ramsey), è scappata.

Galline in fuga 2, la trama

Annoiata dalla vita sull’isola in cui lo stormo è fuggito dopo gli eventi di Galline in fuga, e sedotta dalle invitanti immagini di polli che vivono in un giardino di delizie bucoliche che vede sul lato del camion, Molly si allea con un’altra gallina adolescente in fuga, Frizzle (Josie Sedgwick-Davies), per introdursi nella fabbrica. Si scopre che è proprio il paradiso color pastello che avevano immaginato, ma c’è una fregatura mortale.

Una volta che Gaia, Rocky e i loro amici – le matriarche Tantona (Imelda Staunton), Von (Lynn Ferguson) e Baba (Jane Horrocks), oltre al vecchio gallo borioso Cedrone (David Bradley) e agli utili topi Frego e Piglio (rispettivamente Romesh Ranganathan e Daniel Mays) – capiscono cosa è successo, si mettono in viaggio per irrompere nella fabbrica, ribaltando la situazione dell’ultimo film, cercando quindi di portare in salvo la giovane Molly.

E non provano a salvare solo loro figia, ma anche tutti gli altri, naturalmente. Anche se quest’ultima decisione si rivela un vantaggio secondario piuttosto che l’obiettivo principale. Come la gente di città che si trasferisce in campagna e alleva polli come animali domestici e per le uova, ma non si sognerebbe mai di mangiarli, il film vuole coinvolgerci emotivamente con questi polli in particolare, ma non sfida veramente gli spettatori a interrogarsi sull’etica del consumo di pollame in generale. Non è, per così dire, vegano.

Adatto a nonni e bambini, non ai genitori

Diretto questa volta da Sam Fell (ParaNorman, Giù per il tubo) invece che da Peter Lord e Nick Park (che qui ricoprono il ruolo di produttori esecutivi), questo reboot rimane fedele allo spirito retrò e artigianale dell’originale, letteralmente palpabile nelle sporadiche impronte di pollice visibili. Allo stesso tempo, L’alba dei nugget sfrutta sottilmente alcuni dei progressi tecnologici dell’industria negli ultimi 23 anni, come la CGI, utilizzata qui per riempire lo stormo di migliaia di uccelli richiesti in alcune riprese.

Tuttavia, il film si attiene così tanto al look Aardman – offrendo un mondo di metà del 20esimo secolo fatto di foulard, gilet e spirito di arrangiamento con aggeggi meccanici low-tech ovunque – che non è tanto un film che potrebbe piacere ai bambini e ai genitori, quanto piuttosto un film più adatto ai bambini e ai nonni.

Un caos spettacolare

Questo orientamento verso gli spettatori più anziani si avverte nei riferimenti visivi agli anni Sessanta, che alludono soprattutto alle strutture in cemento brutaliste progettate da Ken Adams per film di James Bond come Licenza di uccidere (1962) e Goldfinger (1964). E ciò è presente anche nella sceneggiatura leggera firmata da Karey Kirkpatrick, John O’Farrell e Rachel Tunnard. Rispetto al primo Galline in fuga, qui ci sono molti meno giochi di parole a tema aviario, e nessuna delle battute sagaci e taglienti che si possono trovare in tanti altri cartoni animati contemporanei.

Al contrario, l’umorismo è per lo più situazionale e gioca sulla disconnessione tra l’innocente visione del mondo dei polli e l’intuizione più esperta dello spettatore. La mancanza di battute degne di nota – e l’ultimo atto divertente ma altamente prevedibile – rendono questo film un po’ sonnacchioso per gli spettatori più accorti. Dopo tutto, cosa c’è di più retrò in un cartone animato su un nastro trasportatore pieno di pericoli mortali, un cliché che risale alla prima animazione di Max Fleisher degli anni Trenta. Basti pensare ai cortometraggi di Braccio di Ferro.

La Aardman ha sempre creato – per ogni suo film – un caos spettacolare, sintomo emblematico è infatti la policy stessa della casa di produzione, che cambia posa ai manichini ogni due fotogrammi piuttosto che ad ogni fotogramma. Un approccio che restituisce quel fascino goffo ma artigianale che rappresenta lo studio di Peter Lord. Ed è quella leggera trasandatezza che i fan di Aardman amano, intrinsecamente britannico come le infrastrutture fatiscenti, i biscotti da tè insapori e la stupidità politica di votare per la Brexit.

Traduzione di Pietro Cecioni