Prince of Persia: The Lost Crown, l’epopea surreale di Sargon è il nuovo inizio di una saga storica

Il nuovo videogioco sviluppato da Ubisoft è la ripartenza di un franchise che mancava dagli schermi da più di quindici anni, e di cui si è sentita la mancanza. Disponibile su PlayStation 5, Xbox Series X|S, Nintendo Switch e PC

“Tu non hai il tempo, io non ho il tempo”. Un vecchio nei meandri del Monte Qaf, l’ambientazione di gioco del nuovo Prince of Persia: The Lost Crown, sviluppato da Ubisoft Montpellier, ripete queste parole, mentre il protagonista, Sargon, è perso nel dedalo di una città desolata, in cui il tempo è un groviglio convulso di momenti non allineati, un mare in tempesta. Passato, presente e futuro non sono consequenziali. Ma avvengono nello stesso momento, talvolta sono già avvenuti. 

Dopo una sanguinosa battaglia iniziale, dove Sargon e i suoi alleati, gli Immortali, salvano la città dall’avanzata nemica, il principe Ghassan viene rapito e portato al Monte Qaf, dove risiedono mitologie, divinità e creature immortali, alcune per davvero. In quest’avventura, il franchise di Prince of Persia trova finalmente nuova vita, e ne esce ringalluzzito dopo più di quindici anni di assenza.

Certo, il famoso remake del primo capitolo datato 2003 rimane ancora – con pochi timidi passi avanti – nell’inferno dello sviluppo (il famoso developer hell), ma The Lost Crown sopperisce a questa mancanza e, anzi, scalza il remake come punto di ripartenza ufficiale. E lo fa con una formula ben strutturata, un cocktail fresco e adrenalinico. 

Prince of Persia in salsa Metroid

Visuale a scorrimento, grafica nel cosiddetto 2.5D (tridimensionale ma con inquadratura laterale, ndr), progressione profonda e sistema di combattimento ritmato. Un’esperienza ben bilanciata nella sua difficoltà, e che anzi si carica della responsabilità di rendere accessibile un genere ostico a molti e che si rifà ai vecchi titoli di Metroid, una saga che ha lasciato un’eredità per lo più rivolta a un pubblico di nicchia, ad appassionati di mappe labirintiche e di sezioni a piattaforme con trappole e nemici letali.

Questa impresa la compie attraverso ad alcuni stratagemmi, come i consigli di alcuni personaggi non giocanti, frequenti salvataggi e un manufatto chiamato Occhio per memorizzare luoghi visitati, ben armonizzati nella storia, che comincia in medias res e che cresce di intensità, scoppia, si ricompone e capovolge le prospettive, un’immersione totale nella cultura medio orientale e nella mitologia persiana. 

Un lavoro storico, come al solito, svolto egregiamente dal team di Ubisoft. Lo fanno da anni ormai, dal primo Prince of Persia ma anche negli Assassin’s Creed. Ma sul Medio Oriente la casa di sviluppo ha dimostrato un certo interesse in questi ultimi mesi: l’ultimo capitolo della saga degli Assassini era ambientato infatti nell’epoca d’oro di Bagdad. 

Una schermata da Prince of Persia: The Lost Crown

Una schermata da Prince of Persia: The Lost Crown. (Courtesy of Ubisoft)

Il principe e il Farsi

Corri, uccidi un mostro, acquisisci un’abilità e vai avanti, ma tornando indietro, ripercorrendo quella strada che sembrava invalicabile, trovando quel segreto che prima era inarrivabile, risolvendo quel puzzle a cui mancava un pezzo. Dopo Hollow Knight e Ori and the Blind Forest, il genere Metroidvania ha trovato una sua nuova forma anche nel franchise di Prince of Persia e nell’assurda epopea di Sargon ai confini del tempo.

Proprio il protagonista, a trovare il pelo nell’uovo, rimane uno dei punti di deboli (rimanendo comunque un personaggio dinamico, che ha un suo codice morale e un suo obiettivo, pronto ad adattarsi a qualunque stravolgimento della linea temporale). Mentre i comprimari, gli Immortali, poco presenti ma influenti nella storia, stupiscono nei dialoghi, in ciò che dicono ma soprattutto in ciò che non dicono. Sono personaggi ben sviluppati, e sintomo evidente di una scrittura attenta e coinvolgente. 

Sottotono, purtroppo, sono anche i fondali, spesso decisamente anonimi come di per sé il comparto visivo, nonostante in diversi frammenti mostri alcuni guizzi creativi piacevoli e spettacolari (soprattutto nelle animazioni e nei filmati). Una direzione artistica forse un po’ timida, che porta a casa il risultato ma che – conti alla mano – poteva prendersi più spazio ed esibire (anche con una certa eccentricità) più estro.

The Lost Crown presenta – nella sua tanta fantasia quanta accuratezza – un’ulteriore particolarità: il gioco è completamente doppiato in lingua farsi.

Una schermata da Prince of Persia: The Lost Crown. (Courtesy of Ubisoft)

Una schermata da Prince of Persia: The Lost Crown. (Courtesy of Ubisoft)

Cattiva pubblicità

Le trecce di Sargon e la sue sciabole arrivano al capolinea dell’esperienza atterrando in piedi ed egregiamente, non senza qualche crampo al tunnel carpale causato dalla ripetuta pressione dei tasti negli scontri concitati: le combinazioni di mosse – tra schivate, parate e poteri – aumentano man mano con la progressione della storia, e si potrà di volta in volta ingaggiare uno scontro con più variabili a disposizione. 

The Lost Crown è quindi una piccola perla, ben confezionata. Non esagera e non promette il sole o la luna, ma riesce a consegnare 20 ore di gioco ben spese. E’ un gioco che stupisce, ma che non doveva dimostrare a tutti i costi il suo valore. 

Ciò che lascia infatti con un briciolo di perplessità è la promozione del gioco, che ha fallito nel consegnare un’immagine cristallina dell’avventura di Sargon. Anche nelle anteprime, le sezioni di gioco mostrate non riuscivano a restituire neanche lontanamente la portata di questa esperienza, che vivrà grazie al passaparola, oppure, se non soddisfa le aspettative di vendita, condizionerà l’investimento di Ubisoft nello sviluppo di opere simili. 

Videogiochi che Ubisoft dovrebbe continuare a realizzare, sulla scia di Rayman, e degli Assassin’s Creed Chronicles.

Per la scrittura di questo articolo è stata provata la versione Nintendo Switch di Prince of Persia: The Lost Crown