Galline in fuga 2, Mel Gibson fuori dal pollaio: “Non era più adatto, i tempi sono cambiati”

In anteprima al BFI London Film Fest il sequel Netflix del film in stop motion del 2000: il regista Sam Fell racconta a THR la lavorazione in pandemia, "con i pupazzi in quarantena", e la scelta di escludere il protagonista originale

Nell’estate del 2000 un piccolo gruppo di galline d’argilla fatte a mano è evaso da un pollaio per entrare nella storia del cinema. I pionieri britannici in stop-motion della Aardman erano già noti per i cortometraggi da Oscar di Wallace & Gromit, ma Galline in fuga è stato il loro primo lungo. Un progetto talmente ambizioso che richiese la costruzione di un intero studio nella sede Aardman di Bristol e l’istituzione di corsi accademici per la formazione degli animatori.

Un simile sforzo ha dato i suoi frutti. Il film, co-diretto dal co-fondatore della Aardman Peter Lord e dal creatore di Wallace & Gromit Nick Park, e considerato oggi un classico, guadagnò oltre 227 milioni di dollari diventando il lavoro d’animazione in stop-motion di maggior successo di tutti i tempi – record che detiene tuttora. Non vinse l’Oscar per il miglior film d’animazione perché quella categoria, all’epoca, letteralmente non esisteva. Ma l’assenza di Galline in fuga dai candidati fu considerato un errore talmente grave che l’AMPAS la introdusse l’anno successivo (e fu vinta da Shrek).

Ora, a quasi un quarto di secolo di distanza, Galline in fuga ha covato il suo sequel. Ventitré anni – l’equivalente di circa 20 mesi nella vita di un pollo – è un tempo molto lungo anche nel mondo dolorosamente lento della stop-motion. Ma con il sostegno di Netflix, Galline in fuga: L’alba dei nugget – annunciato per la prima volta nel 2018 – sarà presentato al BFI London Film Festival, una delle tante importanti anteprime mondiali previste dalla manifestazione, tra cui The Book of Clarence di Jeymes Samuel, il debutto alla regia di Daniel Kaluuya, The Kitchen, e Starve Acre di Daniel Kokotajlo.

Nel primo Galline in fuga, il gruppo – capitanato dalla coraggiosa Gaia (doppiata da Julia Sawalha, in italiano da Nancy Brilli, ndt), insieme al pavido gallo Rocky (Mel Gibson, in italiano Christian De Sica, ndt) – evadeva dalla fattoria della signora Tweedy in una sorta di parodia avicola di Fuga per la vittoria. Ne L’alba dei nugget – con Thandiwe Newton e Zachary Levi al posto, rispettivamente, di Sawalha e Gibson, e Bella Ramsey che dà voce alla loro impavida figlia Molly – il gruppo si introduce in una fabbrica di nugget di pollo, dove la signora Tweedy è una cattiva alla Bond anni ’60, oltre che genio del fast food.

Il sequel – che ha coinvolto una troupe di circa 350 persone, con 45 unità che hanno lavorato contemporaneamente alla produzione – ha anche un nuovo regista, Sam Fell. Collaboratore di lunga data della Aardman, Fell ha già diretto ParaNorman della Laika e Giù per il tubo della Aardman (il primo – e ultimo – film interamente in computer grafica dello studio). È stato anche animatore del primo Galline in fuga, ma, come lui stesso ammette, ha partecipato a una sola scena.

Parlando con The Hollywood Reporter in vista dell’uscita il 14 ottobre di Galline in fuga: l’alba dei nugget, Fell ha raccontato il suo stato d’animo nel vedersi offrire il “gioiello più prezioso” della Aardman, ha ricordato le parole di incoraggiamento che Nick Park gli ha rivolto durante la cena della compagnia e ha spiegato il motivo per cui le restrizioni del COVID hanno fatto sì che anche i modellini dei polli dovessero essere messi in quarantena.

Quando ha saputo che la Aardman stava lavorando a un sequel? E come è stato coinvolto?

È stato molto tempo fa. Credo fosse intorno al 2017. Ero stato via per fare altre cose, ma conoscevo la Aardman e mi ero tenuto in contatto con loro. Ho incontrato Peter Lord a un evento al 10 di Downing St., una specie di anniversario della compagnia diventato una celebrazione dell’animazione in generale. Abbiamo chiacchierato, e lui mi ha detto che avevano dei progetti e che gli sarebbe piaciuto fare qualcosa con me. Così ci siamo incontrati di nuovo poco dopo, e avevano un sacco di idee. Tutte buone. Ma il loro fiore all’occhiello era il nuovo Galline in fuga. Mi ha fatto un effetto strano, spaventoso e allettante. Sapevo quanto fosse importante per lo studio, e che si trattava di una pietra miliare: il loro primo lungometraggio, il loro più grande successo e quello più amato. Quindi, un misto di paura e ambizione mi ha portato a dire: “Sapete, credo che mi piacerebbe provarci”.

A che punto era il progetto quando è entrato a far parte del team?

Avevano una bozza di sceneggiatura e un paio di disegni. C’era lo slogan – “Questa volta spaccano” – e una storia sui polli che irrompono in una grande fattoria. È un film ambientato negli anni ’60, quindi siamo nell’era della produzione industrializzata su larga scala. È cambiato molto dal primo Galline in fuga, ma il punto di partenza resta una domanda: perché quei polli devono fare irruzione nella fattoria?

È vero che ha lavorato al primo film?

Sì, ma in una sola scena. Il film è stato realizzato alla fine degli anni ’90 e io ero già un regista. Ero stato animatore per la Aardman, a partire dai primi anni ’90, e avevo iniziato a dirigere spot pubblicitari, cortometraggi e serie per loro. Si è presentata l’opportunità di fare l’animatore in quel film, ma avrei dovuto lavorarci ogni giorno per 18 mesi. E io ero più interessato alla regia. A un certo punto però, arrivati alla fase più critica del progetto, avevano comunque bisogno di arruolare nuovi animatori. Non sono molto bravo ad animare la creta. Non perché non sappia farlo, ma perché non riesco a mantenerla pulita. Ogni traccia di sporco o di grasso sulle nostre mani finisce sul pupazzo. Le facce sono grandi come un pollice, ma quando vengono ingrandite per lo schermo si nota ogni minima macchia. E per qualche motivo io non riesco a tenerle pulite. Quindi non sono tagliato per quel lavoro. Nella mia inquadratura c’è Rocky su un triciclo, che si allontana dalla macchina da presa verso la collina. Fortunatamente si vede solo la nuca.

Nel 2005 un incendio alla Aardman ha distrutto molto del materiale d’archivio. Gli appunti e i modelli del film originale erano ancora integri?

L’incendio ha distrutto la maggior parte dei modelli e dei disegni. Si sono salvate solo due scatole che contenevano giusto una gamba, mezzo stampo e un pezzo di carta con degli scarabocchi. Ma il responsabile dell’animazione della Aardman è un accumulatore, quindi nella sua soffitta abbiamo trovato altro materiale. Ma la cosa che ci ha fornito più informazioni è stato il libro del “making of” del primo film. Abbiamo esaminato al dettaglio molte delle foto contenute in quel volume.

Quando il sequel è stato annunciato per la prima volta, era con StudioCanal. Quando e come è stata coinvolta Netflix, e che impatto ha avuto sul progetto?

Quando fai un film d’animazione in stop-motion, il problema è che il processo è lungo e lento. E l’intero mondo si trasforma mentre lo stai realizzando. I miei film io li giro in tre anni, ed è più o meno quello che avevo in mente. Ma per fare Galline in fuga 2 ne sono serviti sei. I primi due anni li abbiamo spesi nella ricerca e nell’individuazione del tipo di film che volevamo fare. Ma intanto il mondo è cambiato e gli studios si sono evoluti. Abbiamo anche voluto fare una pausa creativa. La storia padre-figlio su cui si basava il film, a un certo punto, non mi sembrava più giusta. Mi pareva che il racconto dovesse essere incentrato su Gaia, che è una grande eroina e una pioniera. Volevo raccontare il capitolo successivo della sua storia. Quindi bisognava fermarsi e tornare a mettere mano alla sceneggiatura. In quel periodo Netflix, che credo stesse già realizzando Robin Robin con Aardman, stava entrando nel mondo dell’animazione. E sembrava avere un’ottima conoscenza del settore. Sono stati i partner perfetti, arrivati giusto in tempo, mentre riscrivevo la storia intorno al personaggio di Gaia.

Le riprese sono iniziate durante il COVID. La produzione è stata colpita dalla pandemia e dalle restrizioni di isolamento?

Molto. La prima ondata è arrivata mentre realizzavamo lo storyboard e la progettazione: ci è andata bene, visto che lavoravamo in remoto. Ma la seconda ondata ci ha travolti quando eravamo in studio. È vero che l’animatore lavora da solo, ma per mettere in scena le sue idee servono addetti alle luci, maestranze… È un processo interattivo, in cui le persone devono lavorare insieme. Quindi tutti indossavano la mascherina e rispettavano le regole sulla distanza. Anche i pupazzi, essendo stati fatti a mano, dovevano essere messi in quarantena (in quel periodo tutte le superfici dovevano essere trattate come potenziali veicoli di COVID). C’era un’area di quarantena per i pupazzi, con luci UV. Babs, la gallina, doveva essere messa in quarantena per 10 giorni, o tre settimane, non ricordo. Quindi sì, il COVID ci ha rallentati.

Dal primo Galline in fuga a oggi la stop-motion ha fatto progressi tecnologici o state usando gli stessi metodi?

In fondo si fa la stessa cosa da 100 anni. È come un vecchio gioco di prestigio: spostare un po’ alla volta gli oggetti, e riprodurne il movimento. Ma qualcosa è cambiato. Al posto delle tele giganti usiamo i green screen, su cui inseriamo gli oggetti in digitale. Guardando molto attentamente l’originale Galline in fuga, riesco a vedere il fil di ferro quando i polli saltano in aria. Ora invece li mettiamo su una piattaforma e li facciamo volare in digitale.

Perché avete ripreso solo alcuni membri del cast originale? Julia Sawalha era infuriata perché non l’avete richiamata nel ruolo di Gaia.

Tornando a quel che dicevo prima, cioè il mix tra la voglia di affrontare questa sfida e il nervosismo e l’ansia da prestazione, per quanto io adori assolutamente il primo film, che ritengo un capolavoro, non volevo farne una copia carbone. Così, nei primi due anni, ho preso le mie decisioni. Ho pensato che 23 anni, per quanto riguarda il casting, sono un periodo di tempo veramente lungo. Questo film è quasi un reboot. C’è un nuovo regista, una nuova epoca. Mi sono chiesto se le scelte di casting di fine anni ’90 fossero ancora giuste oggi. È una cosa molto personale: alcune voci non mi sembravano più adatte. Altre, invece, potevano rimanere invariate. Questo film doveva evolversi rispetto al primo. Il mondo, intanto, è cambiato.

Come mai ha deciso di sostituire Mel Gibson?

Mel era un’ottima scelta quando Rocky era un gallo playboy e una star del cinema. Era perfetto. Ma ora Rocky è più vulnerabile. È un padre alle prime armi. Il film è su Gaia, il suo ruolo è diverso.

Quando Zachary Levi è stato scritturato per il ruolo di Rocky, un suo tweet considerato no-vax è finito sulle prime pagine dei giornali. Le sue esternazioni l’hanno preoccupata?

No, non proprio. Devo ammettere che non guardo troppo i social media. Ho cose più importanti da fare. Zachary ha una bella voce e un grande senso dell’umorismo. Dà vita a Rocky in modo fantastico.

Quanto sono stati coinvolti Nick Park e Peter Lord? Ha dovuto avere la loro approvazione?

Sono rimasto in contatto con loro per tutto il tempo e ci siamo confrontati a ogni tappa della sceneggiatura del film. Sono stati molto disponibili, ma anche molto chiari sul fatto che si trattasse del mio film. Aardman è un luogo molto accogliente per i registi, è gestito da registi. Un giorno, i primi tempi, ho incontrato Nick in fila a cena e gli ho detto: “Scusa, mi dispiace di averti rubato i pupazzi”. E lui mi ha risposto: “Va tutto bene, Sam, ce l’hai fatta”. È un uomo umile e gentile. Ed è così che sono riuscito a fare mio Galline in fuga 2 senza perdere l’essenza dell’originale: ho ricevuto la fiducia necessaria per creare un ponte tra i due mondi.

La stop-motion ha appena vissuto un altro momento importante grazie al Pinocchio di Guillermo del Toro, che ha vinto l’Oscar quest’anno. Ha dato una spinta alla produzione?

Del Toro è venuto nel nostro studio. Io credo che la stop-motion non morirà mai. In parole povere, è una tecnica meravigliosa per produrre cose molto belle. Ed è ancora in grado di competere con qualsiasi tecnologia moderna. Conoscevamo metà delle persone che hanno lavorato a Pinocchio. Frank Passingham è stato il direttore della fotografia di Pirati e ha lavorato al primo Galline in fuga. Sono tutti nostri collaboratori. Quando hanno finito di girare Pinocchio, sono tornati da noi. Viaggiano in tutto il mondo per lavorare a progetti in stop-motion.

Per gli appassionati di Galline in fuga: se si dovessero guardare i due film uno dopo l’altro, si noterebbero richiami e collegamenti tra un titolo e l’altro?

Guardarli entrambi sarebbe perfetto. Il film originale è come il primo atto di una storia che cresce e si evolve. Se il primo è Fuga per la vittoria, il secondo è Mission Impossible o Bond. Quindi sì, credo che i due film si parlino. Il che non è poco per due progetti che distano 23 anni l’uno dall’altro.

Pensate di girare altri Galline in fuga?

Sento che là fuori c’è un intero universo di polli. Piccole creature che vivono in un mondo grande e pericoloso, proprio come noi umani. Abbiamo sicuramente pensato ad altre storie. Speriamo di non metterci tanto tempo a realizzarle. Ecco, questo non posso assicurarvelo.