Che ci fa un cosmonauta vintage con le fattezze di Adam Sandler in un’astronave che sembra uscita da negozio di ferramenta sovietico insieme ad un ragno alieno grosso come un gorilla, ma saggissimo? Domanda lecita, non c’è dubbio. In effetti è esattamente quel che succede in Spaceman, di Johan Renck, bizzarra pellicola vista in anteprima planetaria alla Berlinale ed in procinto di sbarcare su Netflix (il primo marzo).
Ebbene, Spaceman è un film con tre caratteristiche peculiari che lo rendono diverso dalla maggior parte della fantascienza in cui capita d’imbattersi oggigiorno. Primo, la solitaria missione di Jakub/Adam batte la bandiera della Repubblica Ceca (la cui presidente è curiosamente Isabella Rossellini). Secondo, invece di darsi la caccia reciprocamente come succederebbe in un blockbuster alla Alien, Jakub ed il ragnone passano il tempo a filosofeggiare sul senso della vita, sugli abissi dell’io e dei rapporti umani. Terzo, siamo in un non-tempo che sembra il passato più che un futuro, la nave su cui viaggia Sandler è una specie di barcarola d’epoca con apparecchiature un po’ scassate, con pulsanti e armamentari dall’estetica anni ottanta.
Jakub, lì tra le stelle da oltre sei mesi (un po’ come Ryan Gosling in First Man, Matthew MacConaughey in Interstellar o Sam Rockwell in Moon, per intenderci), è l’uomo più solo al mondo, come gli ricorda con perfido candore una ragazzina collegata in diretta dalla Terra. È in missione alla scoperta dei segreti dell’universo, che si troverebbero in mezzo ad una nebulosa comparsa misteriosamente nei pressi di Giove. È chiaro che l’astronauta dopo tutto questo tempo da solo nello spazio non sta bene. Dorme male, ha le occhiaie, è nervoso, la toilette della navicella è sempre scassata e fa rumori molesti, ma, soprattutto, intuisce che il suo rapporto con la moglie, Lenka, sta andando a rotoli: per forza, dato che lei non risponde più al telefono (ossia su un aggeggio che sembra la cabina di un’ovovia).
In queste condizioni ci vuole poco perché il cosmonauta inizi a dare i numeri. Ha degli incubi spiacevolissimi e delle piccole fissazioni che fanno sì che il suo contatto sulla Terra (anzi, nella Repubblica Ceca), tale Peter (l’attore indo-britannico Kunal Nayyar, preso di peso da The Big Bang Theory), cominci a preoccuparsi seriamente. Per di più la presidentessa Isabella Rossellini, che conta molto sulla potenzialità della missione per rilanciare l’immagine del suo paese, decide di non inoltrare un messaggio a Jakub della moglie (interpretata da Carey Mulligan, candidata all’Oscar per Maestro), nel quale lei gli fa sapere che intende lasciarlo. Perché alla lunga la lontananza del marito pesa, e anche l’egoismo, che gli ha fatto sempre preferire lo spazio alla relazione. Addirittura, Lenka è rimasta incinta e lui se n’è andato a zonzo per le stelle a cercare l’incommensurabile.
Ora, qui c’è la chiave di tutto il film: costruito da Renck (quello di Chernobyl e di alcuni episodi di Breaking Bad, per intendersi) in modo allucinatorio, lascia lo spettatore nel dubbio se quel che vede Jakub sia reale o no. A cominciare dall’immenso ragno che d’improvviso compare, non si sa come, dentro la sua astronave. Ragnone che si capisce essere una forma di vita extraterrestre, ovviamente, ma che parla perfettamente la lingua di Jakub, dato che ha avuto tempo per studiare gli umani e le loro favelle. L’essere – che Jakub deciderà di chiamare Hanus come un tale che aveva conosciuto da ragazzino e che qui è doppiato dallo spielberghiano Paul Dano – a parte qualche comprensibile inquietudine iniziale, lo rassicura quasi subito, parlandogli con voce soave. Dice di volerlo aiutare, dice di percepire la sua sofferenza.
Cosicché i due instaurano un dialogo che pare quello tra Socrate e Platone: Hanus è praticamente un guru e indovina molto (forse è telepatico?) dell’io profondo del cosmonauta umano, il tutto alternato ai flashback della vita di Jakub e Lenka nonché al presente di Lenka (arricchito dal passaggio di una abbastanza inutile Lena Olin), implacabile nel voler lasciare il marito al suo destino, e ad altri ricordi infantili di Jakub, un orfano il cui padre aveva compiuto chissà quale malefatte “in nome del partito”. A sostenere il film, questo va detto, è soprattutto la faccia di Adam Sandler: a cui riesce bene rinunciare completamente al registro comico (l’ironia sparsa in diverse scene è intrinseca alle situazioni, per così dire) ed a incarnare il progressivo (apparente) delirio di Jakub, ennesima dimostrazione che spesso gli attori comici funzionano ancor meglio in ruoli, diciamo così, drammatici.
Tuttavia, il problema di Spaceman – a suo modo un’operazione coraggiosa nella sua bizzarria, a cominciare dalla scelta di sfidare così sfacciatamente gli aracnofibici di tutto il mondo – è che l’apparato retrofuturista (il film è tratto dal romanzo Il Cosmonauta di Jaroslav Kalfař, un emigré ceco di 35 anni che vive da quindici anni a New York) e finanche il suo impianto filosofeggiante (per quanto molto simpatico) vanno a perdersi nel nulla cosmico: purtroppo c’è una morale, ed è che bisogna aver cura dei rapporti personali, delle persone care ed amate, piuttosto che perdersi nello spazio, piuttosto che arrendersi alla ragion di Stato, piuttosto che soccombere alle autorità.
È il ragno alieno (reale o no?) ad insegnargli questa bella verità. Tant’è vero – metafora finale – pure i misteri cosmici così pervicacemente cercati con tanto di astronave (mitteleuropea o meno, non fa troppa differenza) si dissolvono tra le stelle: come a dire che il cuore la vince sui grandi interrogativi dell’universo. Renck, che ha un passato di registi di video musicali (Madonna compresa), in qualche intervista ha tirato in ballo come ispirazione Andrej Tarkovskij, ma forse non c’era bisogno di un viaggio lungo due ore su di un’astronave alla Goodbye Lenin in compagnia di un grosso ragno peloso dai multipli occhioni teneroni per arrivare ad una massima degna di zia Gina.
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