Nimona, la mutante universale che segna il punto di contatto tra cinema e fumetto

Il film conserva la stessa anima vibrante e innovativa delle tavole di ND Stevenson, ma a colpire sono anche la profondità degli spazi e dei personaggi, dove niente è come sembra. Nonostante ciò i due registi, Nick Bruno e Troy Quane, sono riusciti costruire un racconto coerente, mai schizofrenico

Sulla carta, Nimona sembra solo un altro film d’animazione: l’ennesimo tentativo di Netflix di trovare la sua strada, di imporsi in qualche modo sui suoi competitor, e di ritagliarsi uno spazio nel mercato. In realtà, è qualcosa di più. È una sintesi tra due linguaggi: quello del cinema, appunto, e quello del fumetto. E rappresenta tecnicamente un ottimo utilizzo della computer grafica.

Il mondo di Nimona è un mondo vivo, moderno, ricco di riferimenti alla tradizione cavalleresca occidentale. Siamo in un futuro imprecisato, e una città resiste grazie alle sue alte mura, convinta di essere circondata da mostri terribili. La vita è allo stesso prevedibile e strana. C’è gente che va a piedi, altra che ha navicelle. Le armi sono spade, cannoni, laser. Ci sono cellulari e tablet, eppure la conoscenza è ancora intrecciata alla carta, alle pergamene, alla loro fuggevolezza materiale.

I villain sono i personaggi necessari di un racconto che, senza cattivi, non avrebbe alcun senso. E i cavalieri sono gli eroi. Senza macchia, invincibili, degni di rispetto e onorevoli. Sono i protettori dello stile di vita dei cittadini (e già qui, come potrete notare, iniziano i riferimenti al nostro mondo e alla nostra attualità, a quest’idea di sicurezza che si mischia a quella di libertà, e finisce per schiacciarla). Ma c’è di più.

Nimona, e stavolta parliamo del personaggio, non è una persona e non è nemmeno una cosa. È Nimona. Può cambiare forma, trasformarsi, essere animali differenti e assumere le sembianze di altri individui. Ma non si definisce. Non vuole nessuna delle etichette che questa società così avanzata e allo stesso tempo così bigotta le vuole affibbiare. Sceglie, per modo di dire, il ruolo della villain perché così può essere libera.

ND Stevenson, che ha firmato il fumetto, in Italia edito da Bao Publishing, ha avuto un’idea semplice quanto illuminante. Ha capito di dover usare il genere per raccontare una storia universale, per tutti. E ha anche capito l’importanza del design, della costruzione dei luoghi e della caratterizzazione dei singoli personaggi. Il punto di partenza è stata la sua esperienza.

Nimona, il film, è diverso rispetto a Nimona il fumetto. E comunque ne conserva la stessa anima vibrante e innovativa. E poi è bello. Da vedere, da ascoltare, da seguire. Le immagini sono piene e ricche. Le sequenze di azione hanno una loro fluidità e coerenza visiva. Ballister Blackheart è l’altro grande protagonista del film. È nato uomo comune, figlio di gente comune, senza legami né con la nobiltà né con gli altri eroi, ed è stato in grado di far valere il suo desiderio di diventare un cavaliere.

Anche lui, però, si ritrova di colpo dall’altra parte della barricata, inseguito e accusato di essere un villain. Ballister e Nimona finiscono per incontrarsi, e per creare, insieme, una nuova famiglia (altro giro, altro tema attualissimo: il sangue è un filo resistente, viscerale; ma dove c’è scelta, c’è consapevolezza).

Si parla di apparenze, in questo film. E di luoghi comuni e di qualunquismo. E l’animazione per la sua natura dinamica, fluida e priva di barriere è il linguaggio ideale per la messa in scena di questa storia. Perché qui la velocità acquisisce una dimensione precisa, irrefrenabile. A tratti incontenibile. E perché le infinite trasformazioni di Nimona assumono un’altra consistenza. Ma pure l’ambientazione, che non è né innovativa né totalmente edita, riesce ad aggiungere qualcosa alla narrazione.

Dicevamo: la profondità degli spazi e dei personaggi. Ecco, quest’aspetto viene fuori anche grazie agli ambienti, alle stanze, ai palazzi e alle strade in cui avvengono certe cose. Niente, ovviamente, è come sembra. E i due registi, Nick Bruno e Troy Quane, sono stati così bravi da costruire un racconto coerente, mai diviso o schizofrenico, ma di una linearità chiara ed evidente. La musica di Chritophe Beck, poi, aggiunge un altro livello a tutta la trama. Come se ci fosse un pozzo da scavare, e le note fossero la pala con cui andare in profondità.

Nimona, il film, ha avuto una storia travagliata. Acquisito, cancellato, acquisito nuovamente. Ora prende vita grazie a Netflix e ad Annapurna. Ed è libero. Questo è importante ribadirlo. Libero di esprimersi su qualunque argomento. Dall’uguaglianza alla sessualità, dalla possibilità di amare chi si vuole a quel passo fondamentale, e spesso così sottovalutato, di accettare – pacificamente, senza nessuna dura contrattazione – l’unicità dell’altro, del vicino.

Non c’è nessuna chiusa retorica o banale. Anzi. Anche in questo Bruno e Quane sono stati bravi. Nimona è un personaggio brillante, ricco, in continuo mutamento – e non solo per modo di dire. E parte di questa sua incredibile caratterizzazione viene dall’interpretazione di Chloë Grace Moretz (se potete, e qui entriamo nel campo dei consigli spassionati, recuperate il film in lingua originale).

Nimona è un simbolo. Perché rompe i legami con una particolare tradizione, e perché trova la sua voce. I mostri, alla fine, non esistono. O meglio: certo, esistono. Ma non vivono all’esterno delle nostre case. E nemmeno oltre i confini dei nostri paesi e delle nostre città (ancora politica: e siamo a tre). A volte sono proprio in mezzo a noi. Ci sembrano perfetti, esempi da seguire. Punti di riferimento. E invece sono proprio loro, convinti delle loro idee, sicuri di conoscere la verità, a rappresentare la minaccia più pericolosa. Non per noi, non per la nostra salute, ma per la nostra convivenza. Che è un altro modo, se volete, per parlare di futuro.

Nimona di Nick Bruno e Troy Quane arriverà su Netflix, in streaming, il 30 giugno. Non aspettatevi una rivoluzione: aspettatevi, semmai, un bel film. Che non è mai un male.