Bodies, la recensione: quattro detective per un cadavere, la fantascienza si tinge di giallo (e funziona)

Ispirata alla graphic novel di Si Spencer, la serie di Paul Tomalin, su Netflix dal 19 ottobre, si sviluppa tra più piani temporali intrecciando una storia che parla di apocalisse, tecnologia e libero arbitrio. Cast in stato di grazia, con Shira Haas di Unorthodox a rubare la scena

Non un solo errore in otto ore di densa trama: il dramma poliziesco di Netflix, Bodies, riesce nell’impresa che altri prodotti dello stesso genere hanno fallito, nonostante le ottime partenze, diventando a lungo andare frustranti.

Non si può dire che Bodies abbia sempre senso. Ma riesce a raggiungere un sano equilibrio tra il ridicolo divertente e il ridicolo puro e semplice, con una storia coraggiosa, valorizzata da un cast di prim’ordine e da una produzione di alto livello. Come Progetto Lazarus di Sky Max, è un giusto mix di brividi di media intensità e viaggi nel tempo: un regalo gradito per tutti gli appassionati di fantascienza.

Bodies, la trama

La serie inizia nel presente, quando Shahara Hasan (Amaka Okafor), una poliziotta di Londra impegnata in un inseguimento a piedi durante una manifestazione di estrema destra, incappa in un cadavere a Longharvest Lane. Nel 1941, nella Londra devastata dalle bombe, un detective (Jacob Fortune-Lloyd’s Whiteman) riceve una misteriosa chiamata che lo indirizza a Longharvest Lane per ricevere un incarico. Lì, mentre infuria un acquazzone torrenziale, trova un cadavere. Nel 1890, un detective di Whitechapel (Hillinghead, interpretato da Kyle Soller) viene convocato in un vicolo di Longharvest Lane, dove trova – anche lui – un cadavere.

Per tutti è lo stesso cadavere, nudo. Ha una ferita da arma da fuoco all’occhio, ma non c’è traccia del proiettile. E ha uno strano glifo tatuato sul polso. Nel futuro, nel 2053 in una Londra apparentemente controllata da un “comandante” che dice solo banalità (Stephen Graham), l’elegante auto elettrica di una detective (Maplewood, intepretata da Shira Haas) va in tilt nei pressi di Longharvest Lane, dove troverà – ebbene sì – lo stesso cadavere.

Si tratta quindi di quattro detective su quattro diverse linee temporali, e di un cadavere. A collegarli una setta apocalittica, una tragedia indicibile avvenuta nel 2023 e un futuro in cui il progresso tecnologico e l’uguaglianza utopica si accompagnano a una forma di autocrazia che – spoiler – raramente è benigna.

Ispirandosi alla graphic novel del compianto Si Spencer, il creatore di Bodies Paul Tomalin si muove efficacemente tra le quattro sottotrame, mantenendo mirabilmente l’interesse dello spettatore per ciascuna delle storie. La natura di Londra – città in cui passato e presente si incrociano in ogni vicolo – consente un passaggio naturale tra le epoche, mentre le scenografie e i costumi aiutano a mantenere distinto e autonomo ogni periodo storico.

Storie che si intrecciano

Nonostante alti e bassi nel racconto, ogni detective riceve informazioni cruciali in momenti diversi. Ma è quando le trame iniziano a incrociarsi – nel terzo o quarto episodio – che si accende la curiosità dello spettatore sul cadavere, sulla possibilità di un’apocalisse, sull’importanza del personaggio di Graham e sulle macchinazioni – fantastiche o scientifiche – che mettono in moto l’intreccio.

A guidare la serie sono tre diversi tipi di discriminazione e pregiudizio, a cavallo tra presente e passato. Hillinghead, che ha moglie, figlia e un prevedibile Grande Segreto, è testimone di comportamenti omofobici. Whiteman, che nasconde a tutti di essere ebreo, è coinvolto in un intrigante rapporto con una ragazza che parla yiddish (Esther di Chloe Raphael), vittima di antisemitismo. Nonostante sia una musulmana praticante, Hasan non è vittima di islamofobia, ma le proteste e i messaggi reazionari da cui è circondata si avvertono, se si presta attenzione.

Sono elementi che aggiungono sfumature, ma è subito chiaro che la serie non “parli” di omofobia, antisemitismo o dei pericoli del suprematismo bianco. Si tratta piuttosto di ondate semi-generiche di odio per l'”altro”, che servono soprattutto a giustificare il plausibile fascino della sottomissione egualitaria del futuro – questo prima che gli spettatori si ricordino che i fascisti che urlano frasi ad effetto di rado portano a qualcosa di buono, anche se quella frase ad effetto è “Sappi che sei amato”.

Una serie di paradossi temporali

Se siete dei cultori dei paradossi dei viaggi nel tempo, probabilmente già a metà serie immaginerete dove la storia vada a parare. Ma anche se non siete appassionati, Tomalin riesce ad essere sempre chiaro pur tessendo una trama frammentata e complicata. Quando Bodies si addentra nelle parti più assurde della storia, avrete abbastanza a cuore i personaggi e i loro sentimenti da rispondere alla domanda più importante – “I pezzi funzionano tutti?” – con una risposta conciliante: “Abbastanza”.

La serie è un po’ da nerd, ma non così nerd da richiedere un alto livello di nerditudine. Si può prendere la serie come un giallo e tollerarne serenamente l’eccentricità. Qualcuno è morto. Qualcuno è colpevole di questa morte. E probabilmente non è andata come avreste previsto.

Bodies funziona

È qui che gli attori sono fondamentali. Haas, spettacolare in Unorthodox di Netflix, è particolarmente brava a “reggere” i momenti più complicati e stravaganti. Centrale nella parte finale della serie, interpreta in modo convincente un personaggio costretto a scegliere tra un’utopia di schiavitù e una distopia libera; lo fa senza sbagliare una nota. Ci sono diversi episodi in cui i registi – Marco Kreuzpaintner per i primi quattro e Haolu Wang per i successivi – si rendono chiaramente conto che, disponendo di un budget limitato per gli effetti speciali, è sufficiente mettere Haas in primissimo piano e farla piangere per far credere allo spettatore qualsiasi cosa.

Reduce da un’ottima interpretazione in Andor, Soller regala una solida serietà all’archetipo del padre di famiglia segretamente gay, l’elemento meno originale della serie, mentre Okafor ha una fisicità potente che frena la parte della storia che avrebbe bisogno di essere maggiormente propulsiva. Sia Fortune-Lloyd, con la sua aria da vecchia Hollywood, sia il sempre affidabile Graham, eccellono mettendo in scena gli aspetti più oscuri dei loro personaggi, in grado di compiere con lucido pragmatismo azioni difficili da perdonare.

Nel cast tra i non protagonisti si distinguono Tom Mothersdale, Synnove Karlsen, Greta Scacchi e altri ancora. Anche se alcune parti della serie sembrano più superficiali di altre, nessuno prende con leggerezza il proprio ruolo.

È così che Bodies finisce per funzionare assai bene. Forse non sarà sufficientemente ambizioso da lasciare il segno a livello emotivo, ma in generale rende giustizia all’assurdità delle premesse, riuscendo a creare un’umana, autentica partecipazione per i personaggi coinvolti.

Traduzione di Nadia Cazzaniga