Dannato, si legge come suo significato, sta per “condannato”, in particolare colui che è costretto alle fiamme dell’inferno. Si parla delle anime dei dannati, gli spiriti dannati, e tutte le figure retoriche in cui Dante Alighieri si è sperticato quando ha steso i suoi tre canti della Divina Commedia: Inferno, Purgatorio e Paradiso.
I dannati della stretta di Lucifero sono suddivisi in gironi, ci sono i lussuriosi, i golosi, gli avari e prodighi, gli iracondi. Ci sono gli eretici, i violenti, i fraudolenti, insieme ai traditori. Per nove cerchi il poeta si districa nel viaggio nel cuore degli inferi, dove a dare inizio al percorso diabolico è lo stato comatoso e immutabile del Limbo.
Considerato, nella concezione teologica del cattolicesimo e sempre stando al suo valore semantico, un luogo privo di pena, ma anche della visione beatifica di Dio, in cui vengono a trovarsi le anime dei defunti che non hanno ricevuto il battesimo, macchiati ancora del peccato originale.
L’infinita attesa
È a questo girone a cui appartengono I dannati di Roberto Minervini, in anteprima a Cannes 77 nella sezione Un certain regard e in sala dal 16 maggio. I soldati americani di una guerra di Secessione immobile e gravosa per una parte di esercito, di cui un gruppo di volontari nel 1862 accetta di intraprende una missione per sondare la frontiera inesplorata delle terre a ovest. Solo che, al posto delle fiamme, è l’inverno che brucia loro la pelle.
I dannati
Cast: Jeremiah Knupp, René W. Solomon, Cuyler Ballenger, Noah Carlson, Judah Carlson e Tim Carlson
Regista:
Sceneggiatori:
Durata: 88 min
È il ghiaccio che entra fin sotto l’epidermide, che arrossisce la carne fino a bruciarla, a renderla rosso vivo, nera. È un inverno bianco e in questo bianco fermo, bloccato. È un’attesa che non finisce mai. La guerra che ha perso di senso.
Tornando al cinema di finzione, lasciato indietro per più di dieci anni dopo Bassa marea del 2012 – e con una produzione che vede tra i suoi nomi Teresa Mannino – Minervini scrive assottigliando i confini del vero e dell’immaginario. Dell’opera in parte fiction, che non può però del tutto veder calare il sipario su ciò che è reale.
Il limbo, dunque, non riverbera soltanto nell’attesa dei commilitoni seduti a raccontarsi le loro vite e i propri dubbi, in un progressivo avanzamento verso l’incertezza delle proprie azioni, con un occhio sempre rivolto verso i destini che sembra aver tracciato (o meno) Dio. Ma è nel genere prediletto dall’autore.
Non del tutto costruito, non del tutto improvvisato. Un mondo e la maniera in cui viene ripreso che non abbandonano un briciolo di reale, anche quando la regia, le scenografie, le acconciature e i costumi hanno fatto la loro parte. Stando nel mezzo, precisamente. I dannati è la linea sottile di uomini che hanno deciso di diventare soldati e che desiderano tornare uomini.
I dannati e la (non) ricerca di Dio
Attori dai volti sconosciuti, di cui vediamo principalmente le nuche da dietro, sempre di spalle. Che camminano, camminano, camminano in continuazione, senza una meta. Trasformando gli spettatori, a volte, in compagni di disavventure. Dando però al pubblico la possibilità di scappare in ogni momento, quando invece ai personaggi, bloccati nella loro missione ormai priva di logicità, viene richiesto di sorvegliare, di perdersi, di aspettare.
I continui rimandi alla volontà del Signore, la sfiducia che muta nei cuori dei soldati, il rendersi conto di star forse sprecando la propria vita – vita che, sanno bene, potrebbe presto essergli tolta – sembrano rifarsi più alla sospensione del Purgatorio, che alla cristallizzazione del Limbo. Ma in fondo anche Lucifero abitava e credeva di poter legiferare sul paradiso prima di essere scaraventato all’inferno.
Sospeso, quanto più umano perché gradualmente privo degli ideali della guerra, delle conquiste della terra, della prevaricazione sull’avversario, I dannati lascia i personaggi nei conflitti che non esplodono mai, ma logorano comunque l’anima fin dall’inizio dei tempi. Gli scontri che devastano, l’incertezza che avanza. Un cinema che è al confine, ogni cosa è vera, ogni cosa è falsa. Di autentico rimane sol ciò che manca: la redenzione, la vittoria, la libertà.
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