La nostalgia di noi e il rituale senza tempo del nannimorettismo

Vedere Il Sol dell'avvenire nel pomeriggio di un giorno feriale, in mezzo a chi vede Moretti da una vita e vuole da lui i pezzi forti, dal passato al presente: compresi i tic, gli ammiccamenti e le auto-citazioni

Un autore, mi disse una volta un regista non granché prestigioso, non è uno che fa un film lento e noioso: “È uno che ne vedi un minuto e dici: questo l’ha girato Nanni Moretti“. Mi è tornato in mente durante la scena più bella delle molte scene di assurdità palombellarossiana del Sol dell’avvenire, una scena in cui tutti squarciagolano una canzone di Noemi, e – mentre cantano apparentemente irrealisti – Giovanni Moretti detto Nanni, nel ruolo di Giovanni il regista d’un film su una sezione del PCI negli anni Cinquanta, fa una specie di mezza piroetta e urla “motore”.

“Mi piace dire che non ci penso”

Ho pensato: se un copione con scritto “E qui per un minuto si canta tutti in coro ‘e fingersi felici di una vita che non è come vogliamo’” agli attori gliel’avesse proposto uno che non è Nanni Moretti, gli avrebbero riso in faccia, ma forte. Solo che Nanni Moretti è Nanni Moretti e sa che noi siamo lì perché è Nanni Moretti (a un certo punto un personaggio gli chiede se pensi mai al pubblico quando gira, e lui prima mente poi ha un guizzo di nannimorettismo: “Mi piace dire che non ci penso”).

Le citazioni citabili e la coetaneità

Sappiamo tutti perché si viene a vedere Moretti, l’unico a non saperlo era Dino Risi, gli altri sono qui, nel cinema dove in un pomeriggio feriale ci sono una cinquantina di persone e lo scioglimento del sangue di quel napoletano è meno miracoloso, sono qui a vedere Nanni Moretti che cita Nanni Moretti, emenda Nanni Moretti, fornisce nannimorettianamente un repertorio di citazioni citabili come fa da poco meno di cinquant’anni: quando Nanni Moretti comincia a fare Nanni Moretti io ho come orizzonte culturale lo spannolinamento, e questo invalida tutta la questione della coetaneità che mi accingo ad affrontare.

Elenco non esaustivo di morettismi del Sol dell’avvenire che pronostico citeremo con la voluttà con cui finora ci siamo appropriati di “faccio cose, vedo gente”, di “più acqua, meno acqua”, di “chi parla male pensa male”, di “di’ una cosa di sinistra”. In ordine sparso. “ma se sono delizioso” (il re dei portatori di caratteraccio a qualcuno che ne sottolinea il caratteraccio). “Come, ci siamo lasciati? Io non sono d’accordo!”. “Il nuotatore avrei dovuto girarlo quarant’anni fa, quand’ero magro”.

Ma soprattutto, “nella vita nessuno cambia mai veramente, è una cosa che si vede solo nei film”.

Trentenni con la memoria storica di un dodicenne

C’è anche il nuovo “trend negativo”, credo, ed è il giovane imbecille di successo che gli dice che il suo obiettivo è “accecare il male illuminandolo”. Ma, soprattutto, c’è un (altro) giovane imbecille che lo interrompe la prima volta in cui Moretti parla, nel film, e lo interrompe per chiedergli incredulo, il trentenne di questo secolo, che ha lo sviluppo cerebrale e lo spessore culturale e la memoria storica d’un dodicenne del secolo scorso, “ma quindi in Italia c’erano i comunisti?”.

Ho ripensato al passaggio più commovente dell’intervista che ha dato a Michele Serra, in cui parlando delle sue cosceneggiatrici Moretti diceva suppergiù: non è che posso mettermi a scrivere con dei trentenni. Ho pensato a noialtri che lo consideriamo un pezzo della nostra giovinezza, quindi immutabile, ho pensato a lui che sbuffa a Fabio Fazio che da Michele Apicella son passati trent’anni (se posso citare Martin Amis: è andata un po’ tanto in fretta, cazzo).

Moretti dolente maestro

Ho pensato a lui che cerca di cambiare, di diventare dolente maestro, far morire il figlio, seppellire la madre, ma noi vogliamo che ci dica quant’è insofferente ai sabot, e allora per la disperazione inverte i ruoli e fa un film in cui è lui a restare immobile e gli altri vorrebbero vederlo diverso. “Da anni mi aspetto che Giovanni cambi, e invece niente, non succede mai”, sospira la moglie a un analista.

Non va bene che faccio un film ogni cinque anni, dice alla figlia Giovanni, il personaggio. Lo dice come i Rolling Stones mettono in scaletta You Can’t Always Get What You Want: sapendo che il pubblico vuole i pezzi forti, e i pezzi forti nel caso di Nanni sono i tic di Nanni stesso, e quindi il pubblico annuirà riconoscendone la lentezza produttiva, e il pubblico è il pubblico di Nanni da tutta la vita, e quindi ha quell’età per cui ad annuire troppo ti sloghi la cervicale. (A un certo punto un personaggio gli dice che i trapezisti sono metafora del cinema, e m’è venuta in mente quella vignetta di Altan in cui la trapezista s’è staccata e l’altro prima di agguantarla le ingiunge: dimmi che mi ami mi stimi e mi desideri. Se non è una metafora del rapporto di noialtri del Novecento col cinema di Moretti, lui sempre malmostoso e noi sempre a dirgli quanto lo amiamo).

Lessico famigliare firmato Nanni

L’ammicco di Giovanni a Nanni che fa un film ogni troppi anni sta nella scena del rituale, quella in cui Nanni chiede alla figlia (una femmina, quasi solingo argine all’autobiografismo; una femmina dotata d’un colossale complesso di Elettra, perché cosa sei Nanni Moretti a fare se tua figlia non è innamorata di te) di guardare insieme lo stesso film che guardano ogni volta subito prima che lui cominci le riprese. I rituali sono importanti, che è quasi una citazione di Moretti, ma d’altra parte ve l’ho detto: quando è uscito Ecce bombo ancora non avevo finito l’asilo, mi ha fornito quasi più lessico famigliare Moretti di Guccini.

Di recente una redattrice mi ha fatto timidamente notare che in un libro su cui stavamo lavorando avevo scritto circa centocinquanta volte “le merendine di quando eravamo bambini non torneranno più”, e io non sapevo come spiegarle che Palombella rossa uscì quando stavo per cominciare il quarto anno di liceo, e Proust si faceva in quinta, e insomma per me quella cosa della memoria a mezzo sapori se l’è inventata Nanni, e il francese poi era derivativo.

Vedere Moretti nel cinema in cui vidi Palombella rossa

Il mio rituale è vedere Nanni Moretti nel cinema in cui vidi Palombella rossa, come allora al primo spettacolo del primo giorno. Solo che allora esisteva il cinema: eravamo talmente tanti che lo vidi seduta per terra, i posti erano finiti e delle capienze e della sicurezza non fregava ancora niente a nessuno. Ieri quando si sono accese le luci mi sono voltata a guardare e non mi capitava da decenni: ero la più giovane.

Ho fatto in tempo a essere la ventenne che guardava con ammirazione estranea Moretti che diceva “sono uno splendido quarantenne”, e a diventarne coetanea ora che siamo due vegliardi che sanno che in Italia ci sono stati i comunisti, che hanno vissuto il secolo in cui si andava al cinema, e che hanno visto la morte “dell’arte, del comunismo, dell’amore, della morale: è proprio la fine di tutto”.

Ma che ancora apprezzano i classici; dai quali, tra le altre cose, hanno imparato che if you try sometimes, you get what you need.