Il futuro dei cinema – Esercenti e festivalieri alleati riportino la sala al centro del villaggio

Dopo il nostro editoriale sulla chiusura del cinema Odeon e su come impedire altri eventi simili, interviene nel dibattito il presidente dell'Associazione Festival Italiani di cinema, l'Afic, Giorgio Gosetti. Che ci dice perché bisogna ripartire dai festival. Per costruire un nuovo gusto comune, un nuovo patto generazionale tra spettatori, un nuovo pubblico

La chiusura del Cinema Odeon a Milano – davvero un bellissimo tempio del cinema che abbiamo lasciato smorire nell’inerzia generale e di cui parla con passione meritoria Boris Sollazzo su THR Roma – è certamente sia un dato pratico che un fattore simbolico.

È lo specchio di una decadenza della sala e della modalità del vedere a fronte del quale non ha molto senso il rimpianto del tempo passato e la dichiarazione di impotenza verso l’incalzare del nuovo. Personalmente non mi è mai piaciuta la difesa dello status quo  in nome della “magia della sala buia”, quella voglia di trasformare la visione collettiva in un grande utero materno in cui rifugiarci come nel sogno.

Ogni volta che se ne parla così mi viene l’urticaria e i cinefili passatisti mi ricordano i loggionisti incardinati in un mondo che non esiste più. Ogni volta mi viene invece in mente la brillante metafora con cui un allenatore di calcio (Rudi Garcia, ex coach dell’As Roma) si presentò alla sua squadra e alla città dicendo “Sono qui per rimettere la chiesa al centro del villaggio”.

Ecco, penso il cinema – e la sala – debbano assomigliare a una chiesa con il suo bel campanile che svolge la funzione di un catalizzatore della comunità. Se perdiamo l’idea di comunità, la voglia di ritrovarci in spazi fisici e umani da condividere, perdiamo un valore assoluto e una ragione di vita. Quella stessa ragione per cui l’uomo esiste come essere sociale.

Tutto questo è tra l’altro un formidabile antidoto alla solitudine e all’angoscia post-covid di cui sentiamo urgente il bisogno. Non è solo questione di confort e qualità tecnologica della sala – per quanto siano fattori oggi indispensabili – ma di funzionalità sociale di quello spazio comune in cui il film respira e vive nella sua dimensione naturale, fianco a fianco con altri aspetti della qualità di vita: dal cibo ai libri, dal caffè al gioco per bambini.

Il futuro della sala: come evitare altri cinema Odeon

Ha ragione Boris Sollazzo a evocare oasi felici in questo senso, dall’Anteo o il Mexico fino all’Arlecchino a Milano, dal Troisi a Roma all’Alfieri a Firenze, dal Lumière a Bologna al Massimo a Torino. Ma nel suo appassionato editoriale tocca un aspetto apparentemente in controtendenza rispetto all’attuale situazione dell’esercizio: mentre si registra la scomparsa di un’intera classe di spettatori (i “fedelissimi” in età matura) e la polarizzazione del gusto dei più giovani (la Marvel Generation), assistiamo a un autentico boom di presenze ad ogni festival lungo tutta la penisola. In numeri assoluti è certamente un mercato di nicchia; ma in termini tendenziali è un fenomeno spettacolare e capace di indicare una via.

Scrive Sollazzo: “forse dobbiamo partire proprio da qui: com’è possibile che un’esperienza fondamentalmente anacronistica come quella festivaliera sia ancora così potente ed efficace, attiri ancora, quando di valore e supportata da aiuti privati e pubblici, pubblico, interesse, vitalità culturale e intellettuale? Perché, avendo noi ormai device di ogni tipo usciamo per partecipare a un evento culturale incentrato su proiezioni e incontri con artisti? La risposta più banale ma centrata è: l’unicità di quell’evento… E poi, ogni giorno quella realtà cambia, viene vissuta in un contesto urbano che nelle migliori delle occasioni si adatta, si modella sulla rassegna e la ospita diventandone parte, come comunità e luogo.”

Quello che da portavoce di una ricca e appassionata comunità di operatori (i festival della nostra associazione, l’Afic – Associazione festival italiani di cinema – ,  sono ormai più di 100 e altrettanti se ne potrebbero aggiungere in breve) mi sento di aggiungere è che quest’esperienza collettiva forma un gusto, un piacere del nuovo e del diverso che pian piano diventa abitudine e normalità anche fuori dal momento  singolo.

Non sarà un caso che la maggior parte degli spettatori da festival sia giovane, ma si unisca in modo naturale alle “pantere grigie” che arruola senza imbarazzo nelle discussioni post-spettacolo, proprio come fanno i giovani animali nel branco: riconoscendone quell’esperienza e quella memoria che un tempo anche noi amavamo nei genitori e nei nonni.

La centralità dei festival

I festival hanno altri pregi: in larghissima parte si svolgono proprio nelle sale cinematografiche e  talvolta contribuiscono alla loro esistenza in vita o perfino alla loro riapertura. Formano un pubblico inedito che altrimenti andrebbe in sala meno di una volta l’anno e ignorerebbe tutto della memoria del secolo e della grammatica delle immagini. Inoltre sono ormai lo spazio privilegiato per scoprire e promuovere film altrimenti penalizzati dalla distribuzione normale, a cominciare da quelli italiani e da quelli indipendenti o più coraggiosi. In fin dei conti sono ormai un circuito parallelo che fa respirare il sistema-cinema.

Ecco perché insieme ai colleghi del Direttivo dell’Afic (Pedro Armocida di Pesaro, Joana Fresu del Festival del Cinema di Porretta, Claudia Maci del Festival dei Popoli, Sheila Melosu di SiciliAmbiente, Federico Pommier di MoliseCinema, Laura Zumiani del Trento Film Festival) progettando con una qualificata società di analisi dei flussi dello spettacolo (Ergo research), con l’auspicato sostegno determinante della Direzione Cinema del MIC, abbiamo deciso di realizzare una ricerca approfondita sul pubblico dei festival, mettendo a disposizione le cento realtà delle nostre manifestazioni come specchio di un movimento in rapida trasformazione.

“Cinema di oggi – spettatore di domani” si chiama questo “carotaggio” che va dalle grandi città ai piccoli paesi, dai grandi festival alle rassegne in territori abbandonati dall’esercizio e a fine anno potremo ottenere una prima istantanea di questo fenomeno diffuso. Allora in molti dovranno tenerne conto e si scoprirà che proprio l’alleanza tra festivalieri di talento ed esercenti appassionati potrà rimettere la chiesa al centro del villaggio.

Come scrive Sollazzo: “noi suggeriamo di portare in un unico luogo, in un unico spazio – non solo una multisala – una multiesperienza in cui il cinema sia il centro di gravità permanente”.