Intelligenza Artificiale: pensiamo al futuro con strumenti vecchi

Dal momento che parliamo di parole mi permetto di contestare subito l’aggettivo: artificiale. Abbiamo smesso di essere naturali da almeno un secolo, che l'ultima versione di noi almeno non venga ricordata come luddista, anti-scientista e velleitaria. Ma forse è troppo tardi

Dal momento che parliamo di parole mi permetto di contestare subito l’aggettivo: artificiale.

Continuiamo a pensare al futuro con strumenti vecchi. Mi disorienta pensare che, per comprenderlo, si divida il mondo in naturale e artificiale. Come se questi due termini avessero ancora senso, applicati all’umano. Abbiamo smesso di essere naturali da almeno un secolo, da quando la chimica e la tecnologia sono entrate nei nostri corpi, e questo molto prima che arrivassero i computer.

Chiunque abbia dovuto fare una cura di qualche tipo sa che tra noi e le macchine c’è ormai un legame organico. Che la guarigione dipende in gran parte dal rapporto che si crea tra i nostri organi e misteriosi device, spesso di aspetto umanoide, che inseriscono invisibili diffrazioni nel nostro andamento biologico. Dunque quell’intelligenza che ci mette terrore, verso la quale proviamo diffidenza o comunque non comprendiamo, non è tanto artificiale quanto liberata dal vincolo dell’umano. È quindi capace di scapparsene lontanissimo da quello che noi sappiamo fare grazie alla sua abilità nell’utilizzare l’esperienza, nel mettere a frutto i dati che raccoglie senza sosta.

Sarà con questa velocità che ci seminerà, noi, i creatori.

E in questo modo, accumulando, elaborando, macinando, probabilmente produrrà ragionamenti più articolati dei nostri, più profondi anche e, chissà, forse anche più artistici.

Dal momento che l’arte è stata, oltre che uno sguardo di sé, una “metastasi” del reale.

E di quest’ultima dote si sta dimenticando.

L’intelligenza cosiddetta artificiale tornerà a mettere in scena un teatro della realtà migliore di quello che siamo diventati in grado di produrre noi? È possibile. Di certo qualunque cosa noi penseremo adesso o faremo, non la fermerà. Non credo, siamo usciti da quell’umanesimo nel quale ogni stortura (ma anche ogni novità, gesto clamoroso e bello, ogni miracolo) poteva essere raddrizzata grazie al nostro intervento.
Il mondo in cui siamo e in cui sempre di più saremo è un’eco sempre più lontana dal grido che abbiamo lanciato millenni fa.

Scompariremo, prima o poi, e chi ci seguirà non sarà meno naturale di noi. Nel frattempo mi sembra più utile ascoltare, navigare, imparare piuttosto che opporsi invano. Sarebbe bello se l’ultima serie di noi, l’ultima generazione, non fosse ricordata dai nuovi abitanti della Terra come quella di mitomani luddisti, anti-scentisti, ridicoli velleitari di un ritorno alle origini.

Ma mi sa che è già troppo tardi.