Fiorella se ne accorge, anche mentre canta, le vede le vostre facce illuminate, come tanti punti luce disseminati nella platea, intenti a far tutto fuorché seguire il concerto. Mannoia ha affidato lo sfogo ai social, dove è molto attiva: “Ieri c’è stata una signora che è stata tutto il tempo, dico tutto il tempo, del concerto a messaggiare”. Un vero e proprio sfogo, quello della cantante: “Che senso ha stare tutto il tempo a chattare? Non tenete conto che il cellulare vi illumina il viso e dal palco si vede benissimo”. E ancora: “Non solo una forma di maleducazione, perché disturba anche chi vi è seduto vicino, ma distrae anche chi sta sul palco”. Conclude provocatoriamente la Fiorella: “Ma perché non ve risparmiati ‘sti sordi e ve ne state a casa?”.
La questione è significativa dei nostri tempi. Lo sanno i musicisti che ve ne state tutto il tempo dello spettacolo lì, chini sui vostri device, convinti che altrove stia accadendo qualcosa di più importante di quello che state vivendo voialtri, magari una semplice svendita di vestiti online, o uno scambio di opinioni sui social, o la vetrina (quella ancora più illuminata dei nostri volti), delle vite altrui, le vite degli altri, per dirla alla Henckel.
Gli psicologi la chiamano FOMO, un costrutto sempre più studiato: Fear Of Missing Out. E’ la paura di essere estromessi, di perdersi qualcosa. Assume i contorni della nevrosi e ci accompagna ogni momento da quando siamo diventati dipendenti dagli smartphone. Da quando questi hanno assunto i contorni di un vero e proprio prolungamento identitario, senza il quali scattano i sintomi dell’ansia.
Il paradosso è che si va al cinema, ad un concerto, a teatro, ma anche a cena con amici e parenti, senza vivere pienamente il momento presente, svuotandolo dunque di significato, di importanza. Sono qui ma vorrei essere altrove, dove magari qualcuno sta facendo una festa o sicuramente qualcosa di più interessante di quello che sto vivendo io.
Poi c’è l’altro uso nevrotico dello smartphone nei luoghi pubblici, diametralmente opposto, ed è quello di chi invece è convinto di star vivendo l’evento più importante al mondo tanto da sentirsi in diritto e dovere di comunicarlo al mondo intero con una diretta Instagram, con un lungo video che poi posterà, con continue foto. Per farlo si sbraccia, si alza, si protende e oscura la vista di chi è dietro, innescando una sequela di imprecazioni. Ma anche questa persona, come nel primo caso, è presente e assente allo stesso tempo: o meglio: preferisce non vivere il momento presente per riviverlo nella sua rappresentazione asincrona, in differita. Non è più solo una questione di “memoria” da conservare, ma di pura e semplice dimostrazione dell’esserci stato, non importa con quale intensità, non importa se non si è seguito niente dello spettacolo.
L’artista, a sua volta, reagisce stizzito, e spesso lo fa con sani rigurgiti di amor proprio vietando addirittura l’ingresso dei device in sala: vedi Bob Dylan che da quando nel 2019 in un concerto a Vienna ha smesso di suonare dopo aver notato un fan che scattava foto, ha deciso per la politica “no-smartphone”. Poi c’è chi è andato oltre, permettendo al pubblico di tenere il suo prolungamento digitale con sé, ma senza poterlo usare: musicisti come anche Jack White o Alicia Keys impongono l’uso di un sacchetto sigilla-telefono, una custodia magnetica che si può aprire solo in aree specifiche, mai vicine al palco. Ma sono tanti gli artisti stressati dalla compulsione del telefonino. Beyoncé ebbe a dire ad un fan: “Vedi, non puoi nemmeno cantare perché sei troppo impegnato a registrare!”, Bruno Mars si è sfogato più volte.
Si preoccupano gli artisti, e a ragion veduta: nel mondo della post-realtà conta più mostrare di esserci stato che vivere l’esperienza nel profondo. Il passo successivo, quello di assistere e farsi le foto ai concerti eseguiti dagli ologrammi e non dai musicisti in carne ed ossa (vedi il successo dello show degli Abba a Londra) è già realtà.
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