Nel Breviario di Predrag Matvejević il Mediterraneo è un “profondo sepolcro”

Un “poema in prosa”, un “diario di bordo”, un “romanzo sui luoghi” (così diceva la critica), una “gaia scienza” (così l’ha chiamata lui), del Mare Nostrum: un classico che ha saputo sfidare i generi letterari

Ha camminato lungo tutte le coste, si è fermato, scosso dalla bellezza dei paesaggi, dai profumi delle erbe, dalla luce delle pietre o dal colore della terra. Narratore, viaggiatore, cartografo, ha assorbito gli antichi greci che evocano il mare: nulla sfugge al suo Breviario mediterraneo. Predrag Matvejević ha costruito un “poema in prosa”, un “diario di bordo”, un “romanzo sui luoghi” (così diceva la critica), una “gaia scienza” (così l’ha chiamata lui), del Mare Nostrum: un classico che ha saputo sfidare i generi letterari, l’opera croata più tradotta al mondo, un’inedita miscela di poesia, tragedia e filosofia. Un libro – la prima edizione è del 1987, ci ha rimesso le mani di anno in anno fino al 2007 – al quale non è possibile rinunciare quando si parla di Mediterraneo. Che “non è solo geografia”, spiega con pazienza Matvejević: è geo-politica, geo-storia, geo-poesia. Come minimo.   

Predrag Matvejević il contestatore

Fino a quell’87, Matvejevic, nato nel 1932 da padre russo e madre croata e morto nel 2017, faceva il professore di letteratura all’Università di Zagabria ed era conosciuto per i suoi lavori sull’estetica e il marxismo. Non sorprendentemente, nell’ex Jugoslavia si era guadagnato una solida reputazione di contestatore. Come quando scrisse una lettera a Tito per chiedergli di ritirarsi a causa dell’età. Matvejević lasciò Zagabria dopo lo scoppio delle guerre jugoslave e tre colpi di pistola alla sua cassetta delle lettere, riparando in Francia e in Italia. Non è un caso se l’italianista Sanja Roić ha visto nel Breviario del caro amico la ricerca di una sua “terra promessa”, tra asilo ed esilio.

Una filologia del mare

Oppure, per dirla con Claudio Magris nella sua prefazione, la “filologia del mare” del Breviario ricorda l’unione di rigore e audacia dell’orologiaio catalano conosciuto da Matvejevic ad Alessandria, “che tentava di ricostruire, sulla base dell’esiguo numero di dati a disposizione, il catalogo della devastata biblioteca di quella città, la più grande dell’antichità”: il catalogo del principio della nostra civiltà, appunto, nata intorno al nostro mare.

Passo dopo passo, attraverso tutte le epoche e tutti i luoghi, questa ”filologia del mare” è anche il sangue che sgorga da una ferita, un grido di ribellione, ora che il Mediterraneo non è più Mare Nostrum, ma cimitero di migranti tra Africa ed Europa. E ancora una volta, alla fine, la definizione migliore del Mediterraneo l’ha data Predrag stesso: “Un immenso archivio e un profondo sepolcro”.