Se avete visto una parte di voi in Baby Reindeer non dovete vergognarvi. Non dovete vergognarvi affatto

La serie Netflix, diventata un fenomeno col passaparola, racconta la storia vera del comico e attore Richard Gadd, che crea e interpreta lo show in cui racconta di come una donna cominciò a invadere (e stalkerare) la sua vita

È strano dire di rivedersi in Baby Reindeer. È strano, ma è anche normale. Forse è più normale che strano. Di certo, strano, lo è. Ma anche normale.

Nella tragicissima storia vera di Richard Gadd, che ci auguriamo abbia seguito con accortezza vari percorsi di terapia durante la lavorazione prima del suo spettacolo teatrale omonimo, poi dell’adattamento per la serie Netflix – e, guardando lo show sulla piattaforma, si capisce proprio che è stato mettere “per iscritto” ciò che è avvenuto ad avergli permesso di trovare la pace – una parte di tutti noi può ritrovarsi nella storia del comico che venne stalkerato da una donna mentalmente instabile da cui, a sua volta, aveva difficoltà ad allontanarsi.

La vicenda di Gadd, che crea e interpreta impressionando al solo pensiero che abbia voluto re-interpretare tutto l’accaduto ancora una volta sulla propria pelle (ma, se ci riflettiamo, stessa cosa l’aveva fatta qualche anno fa Michaela Coel con I May Destroy You) ha un briciolo di universalità che può venire estratta dalla specificità della sua storia personale, così da poter riguardare tutti quanti.

Se, come prima impressione, si può pensare che a riguardarci sia il discorso sulle attenzioni e su come la celebrità sia un falso obiettivo che serve solo a sentirsi bene con se stessi, Baby Reindeer scava in profondità, tralasciando ciò che ci si ostina a dire (con banalità) sui tempi di oggi e di come la costruzione del sé sia un’invenzione moderna  dettata dai social.

Baby Reindeer

Commento breve Scioccante
Data di uscita: 11/04/2024
Cast: Richard Gadd, Jessica Gunning
Regista:
Sceneggiatori:
Durata: 30 min

Baby Reindeer e la costruzione del sé

Già da prima, da tempo immemore, l’uomo ha voluto mettersi sul piedistallo. Ha trovato nelle rappresentazioni teatrali il modo di spiegare gli avvenimenti terreni, ultraterreni e umani, ma quando quel riconoscimento, quello status è diventato fama e ha posto una distanza tra chi stava sul palco e chi sotto, allora un altro mito si è andato creando generando l’avvento del successo.

Una scena di Baby Reindeer

Una scena di Baby Reindeer

Successo che, come una coperta di Linus, ha spesso coinciso con una maschera dietro a cui gli interpreti potevano nascondersi. Donny/Richard Gadd lo dice in Baby Reindeer: non volevo che vedessero me, volevo essere quello divertente. Diventare famoso e permettere alle persone di vedere solo questo, li avrebbe scoraggiati dall’avere qualsiasi altro giudizio. Nessuno “sfigato”, “cretino”, qualche altro turpiloquio. Essere soltanto quello divertente.

Il nascondersi dietro a una falsa-edificazione della propria persona è alla base dell’identità del protagonista di Baby Reindeer. E, ancor più, nello scoperchiare i meccanismi per cui cerchiamo di essere per gli altri un riflesso di ciò che desideriamo, non volendo rivelare altro. La vergogna – parola che a volte è vergognoso addirittura pronunciare – è il sentimento comune con cui il racconto di Gadd accende l’antenna d’allarme per ammettere che molte volte, per quanto si possa pensare di essere individui integri e realizzati, è soltanto questa a muoverci nella vita. La pura vergogna.

Per questo a domande come “perché lo hai fatto?” o “perché è successo?”, corrispondono spesso tre parole che fanno male quanto una coltellata: “Non lo so”. Non lo so è l’espressione di una confusione che annebbia la testa e che fa procedere il protagonista e, fuori dallo schermo, le persone nei loro sbagli. E più gli sbagli aumentano, più non si sa bene cosa fare. Il punto di ebollizione, ovviamente, è sempre più vicino. Ma non è detto che si debba per forza scoppiare. Il problema, infatti, è semmai implodere e scomparire.

Sebbene di Baby Reindeer ci siano milioni di angolazioni sotto cui lo si può studiare, un oggetto così scioccante proprio perché attinente al reale che ci sorprende per quanto possa essere più traumatizzante della finzione, la vergogna rimane il terreno comune con cui il protagonista è condotto verso ogni svolta del racconto.

Offrire un tè ad una persona perché se ne aveva pietà e vergognarsi di essersi sentito superiore. Vedere che quella stessa persona cominciare a prestargli le attenzioni che nessun altro riesce a dargli, e vergognarsi perché è in realtà ciò che vuole. Provare un certo attaccamento, una dipendenza da una situazione di sofferenza in cui, però, ci si sente al sicuro. Vergognarsi perché ci è stata impartita la vergogna come conseguenza al non rispettare gli standard imposti dalla società. E vergognarsi anche perché si vuole provare a liberarsene. Vergognarsi perché non si è capaci di farlo.

La scrittura brillante di una storia tragica

Sofferente, dolorosissima e impeccabilmente scritta, Baby Reindeer tocca lo spettatore che attraverso gli accadimenti di un aspirante comico – mestiere che, forse anche più dell’attore, gioca costantemente con le mentite spoglie sotto cui si cela il bisogno di consenso – riesce per una volta a non giudicare chi ha di fronte, vedendo la lotta interna che lo anima.

Richard Gadd in una scena di Baby Reindeer

Richard Gadd in una scena di Baby Reindeer

La ricerca di accettazione diventa una gabbia in cui la stima per se stessi è la merce di scambio che alimenta il sogno, ma al contempo l’odio che si prova per chi si è veramente.

Trovare confortante la premura di una stalker non è follia, in questo caso. Diventa desiderio umano: essere visti non per quello che si è, ma per ciò che si vorrebbe. Non una condizione per tutti, ma di certo per chi è stato già mortificato. “Chi ti ha ferito, piccola renna?”, chiede Martha al protagonista Donny. Perché chi è stato ferito sa riconoscersi. E, il problema, è che sa anche dove infierire.

Mentre Baby Reindeer conduce a un’attenta riflessione sull’andare lentamente a pezzi, il pubblico non dovrà aver vissuto le esperienze di Donny/Richard per capire ciò che ha passato. Basterà ricordarsi di quella volta che non ha aperto bocca per l’imbarazzo provato, quando ha dovuto insultare qualcun altro per essere accettato, o quando sapeva di star facendo qualcosa di sbagliato, ma non si è comunque fermato. Quando vedrà la vergogna saprà riconoscerla, perché l’ha provata. E che non è mai facile fare il passo successivo, cercando di superarla.