Ormai è assodato: il cinema e la fisica quantistica sono la stessa cosa. In fondo i film cosa sono, se non particelle che si muovono nello spazio e nel tempo creando traiettorie imprevedibili, incontrandosi a volte in modo casuale ma sapiente, creando significati e rimandi ai quali non avremmo mai pensato? Il film del 2023 è Oppenheimer, lo sappiamo tutti. Ma Venezia sta facendo il suo. L’ordine del tempo di Liliana Cavani (Leone alla carriera) è una riflessione in chiave quasi sit-com su temi di ardua divulgazione, e non a caso si ispira al libro omonimo di Carlo Rovelli che è appunto un fervente divulgatore della fisica quantistica e delle sue implicazioni nella nostra percezione del tempo.
Il film che però compie, a nostro parere, l’operazione più sottile è La teoria del tutto, che rappresenta in concorso la Germania. Film di grande fascino, fotografato (tranne l’inizio, molto breve) in un bianco e nero bellissimo e motivato; a differenza di Maestro, il film di Bradley Cooper su Leonard Bernstein, dove il bianco e nero sembra invece una scelta “arty”, un po’ snob e scarsamente logica.
La teoria del tutto si intitola in tedesco Die Theorie von allem e ha lo stesso titolo di The Theory of Everything, film britannico del 2014 imperniato sulla figura del famoso fisico Stephen Hawking. Non che il film precedente sia, da noi, così famoso, ma certo la confusione è possibile. Die Theorie von allem – usiamo, per evitare ambiguità, il titolo tedesco – è diretto da Timm Kröger e racconta una storia di finzione.
Il prologo si svolge nel 1974: un romanziere, Johannes Leinert, viene invitato a una trasmissione tv per parlare del suo libro che si intitola appunto Die Theorie von allem, ma se ne va in malo modo quando il conduttore si rifiuta di credere che i fatti raccontati nel libro siano realmente avvenuti. Dal colore si passa al bianco e nero e si va all’indietro nel tempo di 12 anni, nel 1962, quando il giovane laureando Leinert viene portato dal suo docente, il dottor Strathen, a un congresso sulle Alpi svizzere, nel cantone dei Grigioni (doppia curiosità “veneziana”: si svolge sulle Alpi svizzere anche il film di Polanski, e inizia nei Grigioni Lubo di Giorgio Diritti, in concorso fra qualche giorno: la Svizzera regna!).
Leinert sta scrivendo una tesi forse poco scientifica ma molto audace, con teorie rivoluzionarie che Strathen tenta di frustrare; al congresso c’è un altro fisico, il dottor Blumberg, che invece sostiene con forza il lavoro del giovane. Leinert si trova insomma nel mezzo di una “guerra” tra teorie fisiche, aggravata dal fatto che Blumberg ha un passato ambiguo di collaborazionismo con i nazisti. Nell’albergo c’è anche una misteriosa pianista, Karin, della quale Leinert si innamora ma che sembra provenire letteralmente da un’altra dimensione…
A metà fra thriller nevoso e disquisizione accademica, Die Theorie von allem è un film a tratti faticoso ma molto insinuante, in cui la cosa più interessante è lo stile. Kröger è un regista giovane (38 anni) e talentuoso, che gioca con il bianco e nero e ricrea atmosfere che possono rimandare da un lato a Hitchcock e a Fritz Lang, dall’altro alla grande tradizione degli Heimatfilm e dei film “di montagna” che furono i generi fondanti del cinema tedesco classico. Ma il ricordo più immediato, anche per le scelte di inquadratura, è Carol Reed, da Il terzo uomo a Idolo infranto. Se Nolan, con Oppenheimer, usa un’estetica molto “pop” per raccontare l’invenzione della bomba atomica, Kröger va all’indietro nel tempo realizzando un thriller che sembra un film degli anni ’40, e nel finale trascolora quasi impercettibilmente nella fiaba.
Non tutto è perfettamente risolto nello sviluppo della trama, ma alla fine resta il ritratto dolente di un ragazzo che forse è un genio, ma che si ritrova coinvolto in un gioco scientifico e politico più grande di lui. Uscirà in Italia distribuito da Movies Inspired, tenetelo d’occhio.
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