Fargo 5: viaggio nella pancia degli Usa, tra omicidi, rapine e scene alla Looney Tunes

Lo showrunner Noah Hawley riporta il pubblico nell'America di Trump, con digressioni nell'allegoria, nel folklore e nella storia. Tutto condito da un ottimo cast. E se nella quarta stagione il riferimento era Crocevia della morte, questa volta è proprio... Fargo

Fargo sembra tornata con una marcia in più. Siamo in Minnesota e North Dakota, dopo una lunga deviazione nell’area di Kansas City. La quinta stagione – su Sky e NOW dal 22 novembre – è forse meno ambiziosa dal punto di vista tematico? Sì, anche se i colpi di coda dell’era Trump, che aleggiano su una trama guidata da rapimenti e omicidi, sono potenti. Ed è anche recitata meravigliosamente bene, con un buon ritmo e spunti divertenti.

La storia è ambientata nel 2019, con una riunione del consiglio scolastico in cui scoppia una rivolta. Nel tentativo di fuggire dalla bolgia con la figlia Scotty (Sienna King), l’allegra casalinga e partecipante alla comunità Dorothy “Dot” Lyon (Juno Temple) finisce accidentalmente per colpire con un taser un agente.

Il crimine di Dot porta alla registrazione e al rilevamento delle sue impronte digitali, il che fa scattare un campanello d’allarme perché la donna non è sempre stata il ritratto della buona condotta, cosa di cui non sono al corrente né il marito Wayne (David Rysdahl), né la sua disapprovante madre dell’uomo, Lorraine (Jennifer Jason Leigh). Dot ha infatti un passato oscuro di cui fa parte lo sceriffo Roy Tillman (Jon Hamm), uomo di frontiera del North Dakota, che onora le regole di Dio più delle fastidiose norme degli Stati Uniti.

Dot, si scopre, è una sopravvissuta e una feroce Mamma Leone (o Lyon, un gioco di parole che la stagione non lascia mai dimenticare). Ha una serie di abilità particolari, che sorprenderanno Wayne, Lorraine, Roy e i poliziotti locali – Indira Olmstead di Richa Moorjani e Witt Farr di Lamorne Morris – i quali cercano di dare un senso al crescente numero di cadaveri nei due Stati. In agguato nell’ombra, ad aumentare il numero delle vittime, c’è l’enigmatico Ole Munch (Sam Spruell), forse il cattivo più primitivo nella storia di una serie che ci ha dato V.M Varga (David Thewlis) e Lorne Malvo (Billy Bob Thornton).

Il legame con il cinema dei Fratelli Coen

Con una nuova stagione di Fargo si è sempre tentati di indovinare quale film dei fratelli Coen abbia ispirato Hawley. Nella quarta stagione, i legami con Crocevia della morte erano evidenti. Nella terza stagione, c’era una piacevole quantità di A Serious Man mescolata al DNA della serie. La quinta stagione di Fargo è probabilmente quella che ricorda di più, beh, Fargo – e probabilmente più le prime due stagioni della serie tv che il film.

In realtà, la pellicola che questi primi episodi ricordano è una versione coen-izzata di Mamma, ho perso l’aereo, con Dot e la sua abilità nell’elaborare trappole esplosive. La serie non ha mai mancato di rappresentare la violenza in modo onesto, ma questa è roba molto più bizzarra, che si muove verso il territorio dei Looney Tunes in un modo che impedisce alle molteplici scene di intrusione domestica di essere troppo spaventose e, a sua volta, strizza l’occhio ad Arizona Junior. Il tutto fa parte di una stagione che tende più al “divertimento” che a qualcosa di eccessivamente umorale o, come nel caso della quarta stagione, a qualcosa di eccessivamente impegnativo.

Hawley ha ancora qualcosa da dire. Il ritorno alle formule più tradizionali della serie – la stagione inizia addirittura con una definizione sullo schermo del concetto familiare di “Minnesota Nice” – è un buon modo per sottolineare alcuni temi ricorrenti. Lorraine ha fatto fortuna nel settore del recupero crediti e molti altri personaggi si sono ritrovati con debiti finanziari o spirituali, consentendo a Hawley di riflettere su un sogno americano che, sempre più spesso, è accessibile solo a chi è disposto a mettersi in mora, e di rappresentare la disperazione che ne deriva quando il conto arriva a scadenza.

Il conflitto centrale della stagione deriva dalla polarizzazione di un paese che aspira alla democrazia nonostante un quarto della popolazione insista a vivere in una teocrazia. Il carattere trumpiano della nostra situazione attuale si limita a un’unica clip televisiva dell’ex-presidente più volte sottoposto a impeachment. Grande esempio di satira diretta. Ciò che sembra mancare è giusto una certa consapevolezza del peso che deriva dall’ambientazione di una stagione che vede i poliziotti contemporaneamente tra i personaggi più e meno simpatici dell’area di Minneapolis, meno di un anno prima del caso George Floyd.

Testo e sottotesto di Fargo 5

La maggior parte dei fan, tuttavia, sarà felice di lasciarsi alle spalle il sottotesto per concentrarsi sul testo, spesso meraviglioso. Con Hawley che ha scritto i primi cinque episodi e in parte il sesto, questa è una Fargo linguistica d’epoca, tutta sintassi contorta, vernacolo antiquato e digressioni nell’allegoria, nel folklore e nella storia. Hawley costruisce personaggi con motivazioni torbide, nomi suggestivi e una verbosità unica.

I suoi dialoghi hanno una qualità naturalmente musicale, con cadenze che devono più a Sondheim che a uno sceneggiatore televisivo medio, e il piacere delle interpretazioni di Temple e Leigh deriva in particolare dalla loro capacità di comprendere il loro compito. Entrambe le interpretazioni sono esagerate – Temple con l’accento regionale forse più esagerato mai tentato in Fargo e Leigh che sembra cercare di superare i suoi manierismi di Mister Hula Hoop – ma ogni lettura delle battute è un piccolo viaggio lirico. La finta allegria di Temple e l’acredine stratificata di Leigh sono particolarmente efficaci quando i personaggi si scontrano.

Lo sceriffo Tillman è un ruolo grandioso per Hamm, probabilmente il suo migliore dai tempi di Don Draper: un uomo di una minacciosità soave e di una stupidità inaudita, che disarma le persone sia con le minacce che con i piercing ai capezzoli. Spruell è agghiacciante e bizzarro, mentre voglio riconoscere a Foley il merito di aver dato la performance più sobria che si possa immaginare nel ruolo di un personaggio chiamato “Danish Graves” con una benda sull’occhio e baffi buffi.

Se c’è una cosa che manca all’inizio, è una relazione sentimentale efficace – si pensi a Gus e Greta nella prima stagione o a Loue Betsy nella seconda – in mezzo a tutta la cupa stravaganza. È possibile che questa volta Hawley non fosse dell’umore giusto per un’eccessiva dose di amore. Lui, come il pubblico e a differenza dei personaggi, sa che il mondo – sia reale che fittizio – è sul punto di diventare ancora più caotico. Fortunatamente per noi, Fargo è una serie che prospera sul caos.

Traduzione di Nadia Cazzaniga