Luca, il viaggio in Italia della Pixar: amicizia, identità e appartenenza attraverso stereotipi autoironici

Distribuito in streaming durante il Covid nel 2021, l'esordio al lungometraggio di Enrico Casarosa racconta una Liguria immaginaria, tra mostri marini e metafore della diversità. Parte del percorso Pixar "fuori" dagli Usa

L’Italia di Enrico Casarosa non entra all’improvviso nei Pixar Animation Studios, ma fa parte di un percorso di oltre dieci anni, di cui il lungometraggio Luca è una parte essenziale.

Opera prima del regista genovese, lanciata solo su Disney+ nel 2021, Luca arriva dal 25 aprile in sala in Italia, grazie alla ridistribuzione internazionale post-pandemia.

I fan più attenti degli Studios di animazione forse ricordano il nome di Casarosa già dal 2012, quando il cortometraggio che di consueto precede i lunghi Pixar era La luna, ambientato su una piccola barca nel mare della Liguria e ispirato a un racconto delle Cosmicomiche di Italo Calvino.

Quell’anno il titolo di punta della produzione era Ribelle – The Brave, avventura femminile (e femminista) nella Scozia medievale. Una delle poche, rarissime, deviazioni della Pixar dal mondo statunitense. Quando non immaginano universi di fantasia o megaminimondi di insetti, infatti, registi e sceneggiatori ambientano spesso i film Pixar in luoghi specifici, ma profondamente americani. La Route 66 di Cars, la San Francisco di Inside Out, la Manhattan di Soul e e la Toronto di Red sono solo alcuni.

Pixar, non solo Made in Usa

Il primo film che rompe in modo evidente la centralità geografica degli Stati Uniti è Ratatouille (2007), per il quale gli animatori costruiscono gli sfondi basandosi su oltre 4500 fotografie di Parigi. La vera rivoluzione, tuttavia, è ovviamente Coco (2017). Co-diretto e co-scritto da Adrian Molina, statunitense di origine messicana, Coco è il primo film Pixar davvero attento alla rappresentazione di una cultura altra. Rispettoso e curioso di una diversità evidente, messa al centro e al servizio della storia.

E se Coco è il punto di svolta (e forse la vetta ancora non eguagliata) della Pixar, Luca è anche qualcosa in più. È un racconto che parte dall’identità italiana ma la stravolge, la piega, l’adatta e la restituisce a un pubblico (soprattutto) statunitense, dopo aver imparato a giocare con gli stereotipi di cui è spesso vittima.

Silenzio, Bruno!

Dal Quartetto Cetra a Mina, le voci italiane risuonano fin dall’inizio in Luca. La lingua, primo elemento culturale di riconoscimento, esiste parallelamente all’inglese della versione originale, anche nei personaggi. Resta il mistero su chi sia, tra gli altri, Bruno, però Luca e Alberto – mostri marini che sulla terraferma si trasformano in bambini – ripetono il suo nome tuffandosi giù per le colline. Silenzio, Bruno. Silenzio, Bruno! Per farsi coraggio, per non pensare e per sentire l’adrenalina dell’avventura che stanno vivendo.

Si nascondono, confondendosi tra gli abitanti di Portorosso, curiosi di scoprire il mondo degli umani come lo era Ariel ne La sirenetta. Spaventati, però, di mostrarsi come sono davvero, come in Il gobbo di Notre Dame o La bella e la bestia. I temi, cioè, non si allontanano da ciò che il pubblico dei più ampi Walt Disney Studios conosce già. A cambiare è il tono, la voglia di non prendersi troppo sul serio, senza permettere al tempo stesso allo spettatore di inscatolare il film dentro un’italianità trita e ritrita. E anzi prendendola un po’ in giro.

Una scena di Luca © 2021 Disney/Pixar. All Rights Reserved.

Una scena di Luca © 2021 Disney/Pixar. All Rights Reserved.

L’americano medio riconosce solo Marcello Mastroianni? Bene, Casarosa fa sì che si materializzi dal nulla una sua fotografia, del tutto fuori contesto, e per questo divertentissima. Nel frattempo però, negli sfondi delle scene compaiono le locandine dei film di Fellini e i grandi scrittori italiani fra i nomi delle vie e delle piazze. L’immancabile pasta (al pesto, ovviamente) rifiuta il ruolo di aneddoto folkoristico, tra un gelato e un pezzo di focaccia ligure. Diventa, invece, un momento di condivisione e affetto familiare, fondamentale tema del film.

E la Vespa rossa, nuova e lucente, che Luca e Alberto sognano, a confronto con i loro piedi scalzi e gli stracci di cui sono vestiti, rappresenta già bene il passaggio dall’Italia del dopoguerra agli anni Sessanta, pur senza alcun riferimento sociale esplicito.

Intanto il film si allontana da Roma, da Napoli, Firenze o da ogni altra grande città. Riscopre piccoli e stupendi paesi, cinque antichi villaggi di pescatori, con le casette colorate, visibili dal mare aperto. Le Cinque Terre liguri rivivono infatti in Luca in una nuova forma, fondendosi una con l’altra. Portorosso, luogo immaginario, prende in prestito il molo da Riomaggiore, i palazzi arroccati da Manarola, la piazza centrale da Vernazza e il nome da Monterosso.

E della gente di mare il film non riscopre e racconta soltanto le abitudini ma soprattutto l’accoglienza e l’apertura, dietro una maschera spesso burbera e diffidente. Nella scoperta del mondo di Luca e Alberto, cioè, la favola Pixar espone la sua chiara morale: è la paura del diverso che crea i mostri, non viceversa.