
“Storia diversa per gente normale, storia comune per gente speciale”, cantava Fabrizio De André in un profetico verso di Una storia sbagliata, rivolgendosi ad una società ostile, che condanna i diversi e fatica a comprenderli. E sono sognatori non riconosciuti anche quelli che popolano Electric Fields. Uniti da un comune e bizzarro destino al quale non possono, o forse non vogliono sfuggire. E da alcuni denominatori più oggettivi e spietati, come il canto degli uccelli – che ricorre nelle forme più disparate, dal sottofondo di un documentario, al richiamo degli stessi -, la musica classica, e la morte.
In un racconto a episodi, la pellicola, in concorso al Riviera International Film Festival 2024, narra le atipiche esistenze di vari personaggi, confinati al margine e avversi alla canonicità quotidiana. Qualcuno si impegna con tutto se stesso nella professione che ama, qualcun altro cammina talmente tanto da arrivare a perdersi e qualcun altro sembra prescindere dallo scorrere del tempo. In un mondo che pare viaggiare troppo lentamente per capacitarsi di pensieri che fluttuano rapidi e repentini.
La regista svizzera Lisa Gertsch firma la sua opera prima analizzando la realtà dei margini, di coloro che si distaccano dalla norma e fanno del diverso un valore nuovo. In un contesto atemporale, creato da personaggi “sulle nuvole” e da un bianco e nero volutamente asettico e distaccato, la pellicola porta a chiedersi se davvero le nostre certezze siano considerabili oggettive e insindacabili. A metà tra realtà ed illusione, tra vita e film, si è spettatori di sei storie atipiche, di donne e uomini che vivono lo straordinario come se fosse quotidiano.
Le tante storie di Electric Fields
Le cariche di quei campi elettrici a cui fa riferimento il titolo sono proprio gli stessi personaggi, che elettrizzano il loro contorno, lo modificano, lo snaturano e lo disfano. Solo a modo loro.
È ciò che avviene quando una donna si reca da un tecnico tuttofare per riparare la sua atipica lampadina. Il professionista, ben uso a lavorare con l’elettricità, si prepara dando per scontato di avere davanti a sé un’operazione fattibile, un lume scarico da recuperare per riprendere luce. Ciò che si trova davanti, invece, non è altro che un ribaltamento del suo lavoro e della sua realtà. La donna tira fuori dalla borsa una lampadina che, pur non essendo collegata all’elettricità, rimane accesa perennemente. I due si scervellano: provano a cambiarne il supporto e la base, la smontano, senza risultati provano a studiarla. Ma niente: bisogna romperla, per placarne l’energia. Ecco allora che un caso singolare può rappresentare lo stravolgimento delle logiche di una vita intera e di tutto ciò che sempre è stato dato per scontato.
Ed è lo stesso caso del colloquio tra una datrice di lavoro e una futura dipendente. Quando questa, prima di firmare il suo nuovo contratto, racconta di essersi presa un anno sabbatico post-università per dedicarsi a se stessa, la dirigente reagisce in base alla sua atipica normalità, e si getta dalla finestra. O di un uomo appassionato delle sue piante che, dopo aver rivolto loro l’ultimo saluto, scompare nelle acque di un lago, senza neanche farci capire se il suo epilogo sia accidentale o voluto.
Destabilizzare per portare a comprendere
Electric Fields è un progetto destabilizzante, che mette in discussione ogni certezza e porta a liberarsi dagli stereotipi e da tutte le cose catalogabili. In un’opera un po’ confusionaria e a tratti difficile da seguire (per il ritmo compulsivo e per i dialoghi diradati e essenziali), si dispiegano le esistenze di tanti.
All’interno di una realtà immaginifica ma concreta che, se osservata con la dovuta attenzione, porta inevitabilmente a farsi delle domande e a chiedersi se non siano invece i nostri, di occhi, ad essere deformati dalla consuetudine e dall’esperienza. A capire ancora una volta che, spesso e volentieri, ciò che banalmente viene considerato un limite, non è altro che una forma misconosciuta e diversa di libertà.
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