E nel Garrone-Day il suo direttore del casting rimane bloccato in Marocco: “L’Italia mi ha negato il visto. Perché sono camerunense”

Henri-Didier Njikam è il responsabile delle comparse, delle figurazioni e delle controfigure del film che oggi approda alla Mostra. "Dall'ambasciata a Rabat un atto di razzismo, mi sento umiliato". E sulla pellicola dice: "Darà fastidio, spero inneschi un dibattito sulle migrazioni". L'intervista con THR Roma

Lasciare il proprio paese e non tornarvi più. Nel giorno di Io, Capitano, storia d’emigrazione di due ragazzi africani che sognano l’Europa, c’è qualcuno della troupe del film di Matteo Garrone che dal suo paese – per arrivare a Venezia – non è proprio riuscito a partire. “L’ambasciata italiana a Rabat mi ha negato il visto”, racconta in videochiamata il camerunense Henri-Didier Njikam, 45 anni, responsabile delle comparse, delle figurazioni e delle controfigure del film: più di 100 persone nelle scene girate a Casablanca e nel deserto. “È ironico: ho curato la direzione del casting, lavoro da 13 anni nel settore, ho persino un piccolo ruolo nel film. L’ambasciata ha giustificato il rifiuto sostenendo che non c’erano garanzie che avrei abbandonato il territorio italiano una volta ‘entrato’, a Venezia. In pratica mi hanno trattato come un migrante, come se volessi approfittare della situazione per scappare. Ma io ho un lavoro, una tessera professionale del Centro Marocchino del Cinema, due film in preparazione qui in Marocco. E, sinceramente, se avessi voluto lavorare in Europa, lo avrei già fatto”.

Responsabile del casting anche per film come Tolo Tolo di Checco Zalone, Mediterranea di Jonas Carpignano (a Venezia come presidente di giuria della sezione Orizzonti) e la serie Sky Zero Zero Zero di Stefano Sollima, Nikham era stato invitato a Venezia dalla produzione – la Archimede Film di Matteo Garrone – ma si è dovuto rassegnare. “Auguro comunque tutto il bene del mondo a Matteo e al suo film, che racconta una storia importante per tutti, per l’Africa e per l’Italia”.

Perché importante?

Perché descrive molto bene la realtà dei migranti, la quotidianità e lo stile di vita dei sud-sahariani. Sul set, Garrone continuava a chiedere: “La scena è giusta? Vi sembra vero?”. Aveva accanto a sé un consulente, un uomo che ha davvero compiuto, a piedi, il cammino dei due protagonisti. Si chiama Mamadou Sani e in questo momento è a Venezia con lui. Credo che abbia contribuito al successo del film.

Come pensa che sarà accolto Io, Capitano in Italia?

Ci saranno persone che non lo ameranno, certamente. Darà fastidio ad altri. Ma spero che inneschi un dibattito. La migrazione è un fenomeno che esiste da sempre, e che la politica in Europa non sa affrontare se non con misure di rigido controllo. La verità è che la politica non conosce e non considera il nostro punto di vista, quello di chi parte:  per questo penso che Garrone sia un visionario, perché ha scelto di raccontare la storia attraverso due protagonisti africani. Non è un dettaglio secondario. Il primo passo per risolvere la questione della migrazione è ascoltare i migranti, chiedersi perché lascino il loro paese e cosa cerchino nella vita.

Che ruolo ha avuto nel film?

Ho insegnato alle comparse, la maggior parte delle quali non avevano mai recitato, come comportarsi sul set. Matteo era molto preoccupato, ma tutti hanno dato il massimo. Alla fine ho anche avuto anch’io una piccola parte, recito nel ruolo dello scafista: avrebbe dovuto interpretarlo un altro, un francese, ma nel mezzo delle riprese Matteo ha cambiato idea. Ha detto “proviamo Didier”, e ha funzionato.

La produzione del film ha provato ad aiutarla con il visto?

La Archimede Film ha fatto il possibile per smuovere la situazione, ma non sono riusciti. Mi sono sentito umiliato. Io credo che l’ambasciatore abbia compiuto un atto di profondo razzismo: non ha guardato il mio curriculum né i miei documenti, ma solo il colore della mia pelle. E guardi che questo problema esiste solo con l’ambasciata italiana in Marocco, perché i miei colleghi dal Ghana e Dalla Costa d’Avorio sono riusciti a partire. Se fossi stato bianco, non credo che sarei stato trattato così.

Lei è del Camerun: perché ha chiesto il visto in Marocco?

Perché ho il diritto di farlo, avendo un regolare permesso di soggiorno in Marocco. Ma non è la prima volta che ho problemi del genere con l’Italia: alla fine delle riprese del film, lo scorso 4 luglio, Matteo mi firmò un permesso di lavoro per seguirlo in Italia e assistere al montaggio del film. Ho una formazione da regista, sto lavorando al mio primo film e mi piacerebbe, appena troverò una produzione, esordire. Sarebbe stato bello, ma niente da fare: in quel caso l’ambasciata non mi ha nemmeno risposto.

Con Garrone ha parlato?

No, non sono in contatto personalmente con lui. Mi dispiace molto non essere a Venezia perché avrei voluto vedere il mio nome nei titoli di coda e godermi gli applausi. Non è stato facile integrarsi nell’industria cinematografica europea, sarebbe stato un sogno essere a Venezia insieme agli altri. È andata così: farò il tifo per il film, ma da lontano.