Silent Night: Joel Kinnaman è un Travis Bickle dei giorni nostri nell’avvincente ritorno a Hollywood di John Woo

L'attore svedese è protagonista della nuova pellicola del celebre regista d'azione. Il film racconta la storia di un padre che si trasforma in giustiziere per vendicare la morte di suo figlio, ucciso da una gang

Quando si parla di film d’azione, il dialogo potrebbe essere meno importante di quanto si creda. È uno dei principali insegnamenti di Silent Night, storia di un padre che si trasforma in giustiziere per vendicare la morte di suo figlio, ucciso da una gang. E il fatto che il film in questione sia diretto da John Woo aiuta di sicuro. Il regista d’azione torna alla ribalta a Hollywood, vent’anni dopo l’uscita di Paycheck, il suo ultimo film americano, prodotto nel 2003.

Il titolo Silent Night fa riferimento sia alla scena d’apertura, sia all’assenza di dialoghi nel film: una scelta coraggiosa che dà i suoi frutti. Il protagonista Brian, interpretato da Joel Kinnaman, appare per la prima volta mentre corre freneticamente per le stradine del suo quartiere, con un’espressione folle sul volto e indossando il tipo di maglione ridicolo che tutti i padri tirano fuori dall’armadio durante le feste. Alla fine riesce a raggiungere delle auto, che si scoprono essere cariche di giovani (e armati) membri di gang che l’uomo sta inseguendo disperatamente.

La sinossi di Silent Night

Il motivo dell’inseguimento si scoprirà solo dopo: l’uomo si stava godendo un momento di felicità nel giardino di casa con la moglie (Catalina Sandino Moreno) e il figlioletto, quando quest’ultimo è stato ucciso da una scarica di proiettili vaganti per una sparatoria tra due veicoli in corsa. Dopo lo sfortunato tentativo di catturare gli assassini del figlio, Brian si risveglia in ospedale. Si riprende in poco tempo, ma perde la capacità di parlare. Un detective solidale (Scott Mescudi, meglio conosciuto come Kid Cudi) gli fornisce il suo biglietto da visita, ma risulta già chiaro che sarà molto difficile farsi giustizia.

Chiaro per tutti, ma non per Brian, che si trasforma lentamente da amorevole padre di famiglia a maniaco della vendetta. Come un Travis Bickle dei nostri giorni, inizia un regime di intenso allenamento fisico, impara a maneggiare i coltelli grazie a video online (un vantaggio che Travis non aveva nel 1976) e impara a usare le armi da fuoco in un poligono di tiro. Acquista anche un vasto arsenale e una radio della polizia per monitorare le attività delle forze dell’ordine, e fotografa di nascosto le immagini segnaletiche dei membri delle gang affisse sul muro della stazione di polizia locale. Dopo aver rapito uno di loro per ottenere informazioni vitali, Brian lascia il delinquente legato alla porta del detective, come un regalo di Natale anticipato, con tanto di biglietto d’auguri.

Naturalmente, tutti i preparativi culminano in una notte non tanto silenziosa di intensa violenza contro la banda, in particolare contro il capo Playa (Harold Torres), il quale prende piuttosto sul personale gli sforzi di Brian contro di lui.

Il ritorno in pieno stile di Woo

I fan dell’azione apprezzeranno la maestria di Woo, che qui è pienamente espressa in una serie di inseguimenti in auto e sparatorie. Nonostante il budget ridotto, le sequenze frenetiche sono orchestrate e filmate in modo superbo, con occasionali dosi di slow-motion che sono il marchio di fabbrica del regista. Nessuna delle sue caratteristiche colombe bianche fa la sua comparsa, ma un uccello atterra sulla finestra della stanza d’ospedale di Brian in modo piuttosto significativo. Il punto culminante del film, tuttavia, non è uno dei tanti combattimenti con armi da fuoco messi in scena, bensì un lungo e brutale combattimento corpo a corpo tra Brian e uno degli scagnozzi di Playa.

Ancora più impressionanti, tuttavia, sono le transizioni visive fluide del regista: dai flashback che ritraggono la precedente vita gioiosa di Brian come marito e padre amorevole alla sua angosciosa esistenza post-tragedia. Questi momenti trasmettono visceralmente la sensazione che il passato fosse solo un sogno e che il presente sia un vero e proprio incubo ad occhi aperti.

È merito di Woo e dello sceneggiatore Robert Lynn, oltre che dell’interpretazione feroce e intensamente fisica di Kinnaman, se l’assenza di dialoghi non si rivela un espediente ma un vantaggio. Norma Desmond avrebbe sicuramente approvato.