Gli altri fumavano oppio, lei ballava. Gli altri se ne andavano in giro nudi, lei – quando accavallava le gambe – mostrava con gentile malizia una giarrettiera nera. Gli altri, i cartoni animati maschi – Felix the Cat, Flip the Frog, Willie Whooper – bevevano fino ad avere le allucinazioni, erano politicamente scorretti, spesso violenti, si prendevano gioco di istituzioni e religioni. Lei, Betty Boop, era solo Betty Boop.
L’assassinio di Betty Boop
Creata il 9 agosto 1930 per flirtare col pubblico, morta dopo 90 cortometraggi nel 1939, perché – in apparenza – il pubblico l’amava troppo. Sconveniente, scostumata, irricevibile secondo il codice della censura dell’epoca, il codice Hays, quel manualetto responsabile di tagli irreversibili che colpirono ciecamente film, cortometraggi, animazioni. Nata cane nel 1930, nel cartone Dizzy Dishes, e diventata donna nel 1932 con il corto Bamboo Isle, Betty non fu l’unica vittima del codice, ma certamente la più sfortunata: a Titti il pulcino, “colpevole” di essere stato colorato di rosa (e dunque inequivocabilmente nudo) fu cambiato il colore del piumaggio. Ma con lei ci fu poco da fare. Disegnata in bianco e nero, arrivò al colore nel 1934, con Poor Cinderella, e ai disegnatori venne spontaneo attribuirle una sensuale chioma rosso fuoco (Jessica, la fatalona di Chi ha incastrato Roger Rabbit, se ne sarebbe appropriata 54 anni dopo). Fu l’unica e ultima volta che a Betty fu concesso di uscire dalla bicromia. Troppo. Troppa.
Il prossimo 19 novembre Betty risorgerà con lo spettacolo musicale BOOP! The Betty Boop Musical, al CIBC Theatre di Chicago, diretto da Jerry Mitchell (Hairspray), con musiche del vincitore del Grammy David Foster, testi di Susan Birkenhead e il libretto del premio Tony Bob Martin. Eppure il personaggio creato da Max Fleischer e Grim Natwick resta, a 34 anni dalla sua scomparsa, ancora invendicato: chi ha ucciso, per davvero, Betty Boop?
Il sospettato numero uno
Per trovare il primo indiziato bisogna tornare alla fine degli anni Venti, quando la rivoluzione del sonoro spinse gli studios a saccheggiare dialoghi e numeri musicali di Broadway. Ricette che funzionavano a meraviglia con lo smaliziato pubblico newyorkese, ma non altrettanto nel resto del paese, dove la chiesa cattolica – sull’onda dello scandalo seguito alla morte dell’attrice Virginia Rappe, deceduta in circostanze misteriose durante un party a San Francisco nel 1921 – invitava il cinema alla morigeratezza dei costumi, pena il boicotaggio da parte delle commissioni censorie locali.
Nella speranza di evitare l’intervento del governo, i dirigenti del cinema arruolarono l’anziano presbiteriano Will Hays, per fissare su carta una serie di regole valide per il grande schermo. Via ogni allusione “all’immoralità sessuale” (“talvolta necessaria per la trama”, non doveva “mai sembrare giusta o lecita”), nessun riferimento all’omosessualità o alla religione, bandito l’amore interrazziale e qualsiasi forma di violenza. Ideato nel febbraio 1930, il Codice Hays fu applicato rigorosamente solo dal 1° luglio 1934. Mentre Betty Boop muoveva i suoi primi passi, sfuggendo a una lunga serie di corteggiatori animati (oggi, onestamente, li chiameremmo molestatori), i cartoni maschi si prendevano gioco impuniti del codice: Mickey’s Gala Premier, del 1934, con protagonista nientemeno che Topolino, satireggiava il dominio di Hays su Hollywood, rappresentandolo con corona e abiti regali.
Il movente antisemita
Non fu Hays, tuttavia, ma il giornalista cattolico Joseph Breen (impersonato, nel film The Aviator di Martin Scorsese, da Edward Herrmann) il principale censore. Fu lui a strappare a Betty la giarrettiera, a nasconderle la scollatura e a proibirle la minigonna, trasformandola in una studentessa per nulla interessata agli uomini. Fervore moralizzante? Forse. Nell’assassinio di Betty Boop, tuttavia, la storia assegna a Breen un movente più grave: le sue note posizioni antisemite potrebbero aver giocato un ruolo importante nella “fretta” del censore di sforbiciare un personaggio nato dalla fantasia di un animatore di origine ebraica, Max Fleischer, al cui successo aveva contribuito la voce della cantante – ebrea ortodossa – Mae Questel.
Castigata nei costumi e privata di storie all’altezza del suo carisma, Betty avrebbe ancora potuto essere una Minnie, una Paperina, una Clarabella, accontentandosi di assecondare lo stesso destino delle colleghe, divenute popolari come “spalla” dei più fortunati consorti. A pugnalarla alle spalle, invece, fu ancora una volta un uomo. Non uno a caso, ma quello che lei stessa aveva contribuito a lanciare in uno dei suoi corti, Braccio di Ferro: il marinaio di mezza età, il maschio alfa dai muscoli possenti che flirta con Betty (anche lui) nel suo primo corto Popeye the sailor, in cui ballano insieme accanto alla gelosa fidanzata di lui, Olivia.
Meno problematico per il codice Hays, Braccio di Ferro aveva una “regolare” fidanzata innamorata e il truce rivale Bruto contro cui battersi, esempio di virtù (Olivia non la tradirà mai) capace di riaffermare in ogni cartone la propria personalità: nel giro di pochi anni, la sua popolarità divenne talmente grande da competere con quella di Topolino. Lasciando alla diva, ormai colpita a morte, un ultimo guizzo.
Chi ha ucciso Betty Boop?
Rhythm on the Reservation, del 1939, è l’ultimo cartone di Betty. Dopo aver insegnato a una comunità di indiani d’America come suonare lo swing, Betty Boop saluta i suoi allievi e il suo pubblico. “Addio, Penna Rossa” cinguetta, salendo su una spider. Ma il capo tribù, con cui ha ballato fino a pochi secondi prima, non vuole lasciarla andare e monta in macchina con lei. Ci risiamo, lo schema è sempre lo stesso: Betty inseguita dai predatori e puntualmente salvata da qualcun altro. Ci penserà la compagna del capo indiano, stavolta, a riprendere per la collottola l’uomo e punirlo, picchiandolo selvaggiamente. La virtù (del maschio) è salva.
Betty Boop, nemmeno nella sua ultima apparizione, riesce ad essere protagonista del proprio destino. Vittima passiva e predestinata all’estinzione, ad ucciderla non è stato un solo assassino. Come direbbe la più emancipata Jessica Rabbit, Betty è morta “perché gli uomini l’hanno disegnata così”.
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