Pesci Piccoli, la recensione: i the JackaL sono diventati degli squali. Della creatività

Il collettivo partenopeo continua a stupire con una serie tv che pesca a piene mani dalla loro autobiografia "aziendale" per puntare a essere universali. E ci riescono alla grande, centrando l'ennesima prova di maturità

Una serie tv è solo una serie tv, e va bene. Siamo tutti d’accordo.

Eppure in Pesci piccoli – Un’agenzia. Molte idee. Pochi soldi c’è la storia dei the Jackal, di quello che sono e che hanno sempre voluto fare.
Hanno cominciato per scherzo, nella provincia di Napoli. Facevano video per Youtube. Riuscivano, chissà come, a coinvolgere grandi nomi dello spettacolo e a ottenere esattamente quello che volevano ottenere (una volta, per esempio, fecero un finto trailer di un finto film su un supereroe, e fecero dire ad Alessandro Gassmann: “Io sono Gas-man”). Poi con il tempo le cose sono cambiate, il gioco è rimasto gioco, ma ha imboccato altre vie.

Pesci Piccoli o anche come sono nati i the Jackal

I the Jackal l’hanno raccontato anche nel loro libro: “Non siamo mai stati bravi a giocare a pallone. Così abbiamo aperto un canale Youtube”, edito da Rizzoli. Tutto è nato con l’amicizia tra Ruzzo Simone, oggi produttore, Ciro Priello, uno dei volti del gruppo, e Francesco Ebbasta, regista. Facevano dei piccoli corti, rubando la telecamera ai genitori. Quindi si è aggiunto Alfredo Felco, e il sogno ha preso una dimensione un po’ più concreta. Forse, si sono detti, possiamo farcela. Youtube per diversi anni è stata la loro vita, il loro unico scopo, la piattaforma dove esprimersi al massimo. Hanno mostrato qualunque cosa. Usato film, citazioni, riferimenti.

Con 30 anni, uscito sette anni fa, c’è stata la svolta.

Francesco Ebbasta, il regista, ha dimostrato di avere altro in mente, di voler raccontare una generazione, la sua. Un anno dopo è arrivato Addio fottuti musi verdi, il primo film dei the Jackal. Non andò benissimo al botteghino, ma fu, a suo modo, una piccola rivoluzione. Innanzitutto perché si trattava di un film di fantascienza in un paese che la fantascienza non la faceva da molto tempo. E poi perché aveva messo insieme Fabio Balsamo, Ciro Priello e Beatrice Arnera. Loro tre, insieme, erano perfetti. E qualcosa, evidentemente, riuscì a colpire anche le produzioni. Quelle con la P maiuscola e le tasche piene. Perché quattro anni dopo, su Netflix, è arrivata Generazione 56K. Tra i protagonisti c’era anche Gianluca Fru, nuovo volto della the Jackal. E i temi erano molto più vicini a quelli del cortometraggio 30 anni.

I the Jackal sono cresciuti e hanno imparato come muoversi tra pubblicità, social e televisione. Il loro punto di forza sono sempre state le idee. E così, quando vengono lasciati liberi di esprimersi, trovano esattamente il modo migliore per farlo. Con Aurora Leone hanno raggiunto un altro equilibrio, e sono riusciti ad arrivare anche in prima serata, conducendo programmi tv, al cinema, con la partecipazione dei loro attori, e sul piccolo schermo in modo indipendente (Francesco Ebbasta è tra i registi scelti per la prossima serie di Sydney Sibilia sugli 883, Hanno ucciso l’uomo ragno. La chiusura di un cerchio, dal momento che 30 anni si concludeva con il cameo di Max Pezzali).

Pesci piccoli è solo il punto di arrivo di una carriera e di un percorso decisamente più ampi. Ed è palese. In questa serie di sei episodi, su Prime Video dall’8 giugno, c’è l’anima stessa dei the Jackal. C’è la loro ironia, c’è la loro visione e c’è la loro capacità di tenere tutto insieme, comico e drammatico, vita vera e finzione. Siamo davanti a una sitcom (a una quasi, pardon, sitcom). Stessi luoghi, stessi toni, ruoli precisi. I protagonisti sono dei creativi. Ci sono Fabio Balsamo, Gianluca Fru, Aurora Leone, Ciro Priello e Martina Tinniriello. E sono bravi. Di più: bravissimi.

Il personaggio di Tinniriello viene costretta a spostarsi al sud, a Napoli, dopo un progetto andato male. Qui trova un altro mondo. Un mondo fatto di piccole cose, di battute, routine, di giochi. Di ragazzi e ragazze che si divertono, mentre lavorano. Il riferimento, ancora una volta, è tutto alla the Jackal, la società, diventata un piccolo, grande colosso dopo l’acquisizione di Ciaopeople.

Pesci piccoli si fonda su quattro pilastri fondamentali. Il primo: la regia di Francesco Ebbasta. Che è cresciuta, ha preso un’altra consapevolezza, e sa – sa perfettamente – su cosa concentrarsi. Poi c’è il montaggio di Nicola Verre e Andrea Ricciotti (Verre scherza, dice che non hanno avuto una vita per sei mesi per arrivare a questo risultato): è ciò che tiene insieme il racconto, che gli dà velocità e dinamismo, che lo rende appassionante, equilibrato, perfettamente musicato (sì, come una canzone).

Quindi c’è la scrittura, firmata da Luca Vecchi, uno dei the Pills, altro collettivo di videomaker e creativi; Alessandro Grespan e Stefano Di Santi e dallo stesso Ebbasta. È una scrittura fresca, credibile, pulita. Nessun giro di parole. Nessuna esagerazione. Anche la battuta più assurda e la situazione più surreale hanno una loro coerenza. Infine, ci sono gli attori. Ne abbiamo già parlato, ma è importante – fondamentale, anzi – ritornarci.

Il cast della serie

Leone, Priello, Fru e Balsamo sono collaudati, si spalleggiano, sanno quando intervenire e quando farsi dietro, quando lasciare che a parlare siano le espressioni e non le parole. Con la presenza di Tinniriello, raggiungono, se è possibile, un’altra spinta e un’altra marcia. Balsamo, in particolare, è il prototipo di una nuova maschera napoletana: mai macchietta, mai banale, mai già vista, ma figlia, decisamente, di Troisi e della grande tradizione; sempre un po’ malinconica, sempre un po’ triste, ma profondamente brillante. Priello è un altro tipo di talento: uno che è cresciuto con i the JackaL, che è scattante, nervoso, che sa passare naturalmente da una scena all’altra. È energetico e delicato allo stesso tempo. Esplosivo e concentrato. È l’uomo in più.

Leone, invece, rappresenta l’essenza di una certa comicità: quella della vita di ogni giorno, mai sopita, mai eccessiva, sempre pronta però a fare centro. È un’attrice fantastica. Una che gioca molto con la faccia e l’espressività, che sa pesare le parole e i silenzi, che con un’alzata di sopracciglia dice tutto. Fru, che è uno dei più giovani, è il ponte di collegamento con un altro mondo – uno più vicino alla sensibilità americana, internazionale, pronto a fare black humour, a esagerare, a calcare la mano. La sua ironia è affilata, quasi cattiva, e per questo meravigliosa. Di chi sta ridendo? Di sé o di noi? Martina Tinniriello, in questo fuoco incrociato, trova subito – immediatamente – il suo posto. E non fa nessuna fatica a partecipare a questo ballo di gruppo tra fuoriclasse. La partita a quattro diventa a cinque, e non c’è nessuna sbavatura o rallentamento.

Pesci piccoli è un esperimento. Perché non si fanno tante comedy così, in Italia, e pure perché questa è la prima produzione, sul grande palco dell’intrattenimento, dei the Jackal (affiancati da Mad Entertainment, casa napoletana di successi come L’arte della felicità, e sostenuti da Prime Video). Il reparto tecnico, che ha dato il massimo per costruire una confezione convincente, ha fatto tutto nel migliore dei modi. Citiamo in ordine casuale: Mario Rotili e Alfredo Felco per l’effettistica, Davide Manca per la fotografia, e infine Michele Braga alla musica.

Pesci piccoli è una serie italiana, napoletanissima, che però guarda all’estero, a The Office. Che parte da una storia vera, vissuta sulla propria pelle, e che poi prende un’altra strada. Siamo nella provincia dell’Impero, dove tutto sembra impossibile e irraggiungibile (e qui la critica sociale si fa sentire). Eppure un gruppo di ragazzi, che vogliono solo divertirsi, che vogliono fare della propria passione il proprio lavoro, decidono di sfidare il sistema. Si fanno resistenza. Alzano le barricate. Proprio come, ai tempi di Lost in Google, hanno fatto i the Jackal, che non hanno mai abbandonato il capoluogo campano.

Ultimo appunto: in Pesci piccoli ci sono tanti, tantissimi ruoli secondari; l’ufficio in cui è ambientata la storia è vibrante, pieno, caloroso. E ognuno di questi ruoli secondari ha una sua caratteristica, una sua riconoscibilità (proprio come in The Office). Vanno perciò citati anche questi attori, tutti perfetti, scelti in modo intelligente dal casting. E quindi: Amanda Campana, Anna Ferraioli Ravel, Angelo Spagnoletti, Veronica Mazza, Giovanni Anzaldo, Sergio Del Prete, Flavio Pellino, Sara Penelope, Dino Porzio, Francesca Romana Bergamo, Alessia Santalucia, Gianni Spezzano, Marina Zanchi, Mario Zinno.

Pesci piccoli può, e non esageriamo, fare scuola. Può essere – deve essere, anzi – una spinta per l’industria e per il piccolo schermo italiani (e pure, ci permettiamo, per la stessa Amazon). Un modo per fare bene, risparmiando sulle risorse e dando massimo spazio al talento, c’è. Ed è questo. Un po’ piratesco, un po’ sciacallo, un po’ vecchia scuola di Youtube. Ma funziona. Convince. E racconta una storia che non si ferma alla banalità delle polemiche: ma che va a fondo, che dà spazio a temi come il precariato, le responsabilità del lavoro, il diventare adulti (rieccoci con 30 anni, il cortometraggio), e che parla di vita, di rinunce, di ansia e della paura di rimanere soli.

Pesci piccoli, insomma, per modo di dire: questi sono squali della creatività.