Funny Woman, la recensione: Gemma Arterton brilla, la sceneggiatura un po’ meno

Disponibile su Sky e Now dal 2 giugno. Tratta dal romanzo di Nick Hornby, la serie tv è un tuffo nella Londra degli anni Sessanta per sfatare il mito che le donne non sanno far ridere. Ci riesce, anche se la lotta agli stereotipi non va in profondità

Funny Woman, disponibile su Sky dal 2 giugno, è la serie tv in cui Gemma Arterton diventa il volto della Funny Girl del romanzo del 2014 di Nick Hornby. Woman perché girl suonava forse troppo paternalistico per un titolo che vuole indagare, oggi, su luoghi comuni e stereotipi di classe e di genere.

Primo tra tutti il classico per cui le donne non sanno far ridere, ancor meno se sono belle. 

Funny Girl è molto meno conosciuto rispetto ai classici di Hornby come Febbre a 90’ o Alta Fedeltà, quindi la storia risulterà nuova per molti. Gli amanti di Hornby ritroveranno una delle sue intuizioni geniali, quasi irritanti per quanto ovvie: “E se esistesse una Lucille Ball (la prima e più grande mattatrice comica statunitense) inglese?”. Nonostante questo, il fascino dell’adattamento firmato da Morwenna Banks (Slow Horses) si basa tutto sull’interpretazione di Gemma Arterton e sulla colonna sonora.

La serie Amazon Prime Video The Marvelous Mrs Maisel ha già calcato un terreno simile, ma con una sceneggiatura più incalzante.

La trama di Funny Woman

Arterton è Barbara Parker, reginetta di bellezza di un piccolo paese del Nord dell’Inghilterra, Blackpool, negli anni Sessanta. Ma il suo sogno è fare l’attrice. Si trasferisce allora nella Swinging London, dove inizia a farsi strada nel mondo dello spettacolo. Sostenuta da lontano da un padre amorevole (David Threlfall) che condivide con lei il senso dell’umorismo, si unisce a una troupe che sta realizzando una sitcom. Il capo della tv a cui si propone è scettico: “Nella mia vasta esperienza, il bell’aspetto e l’abilità comica raramente vanno di pari passo. La ragazza è nello spettacolo per interpretare la voce della ragione, non per fare la sciocca”. 

Ma Barbara lo convince e lo spettacolo diventa un successo. Da lì, seguiamo la traiettoria della carriera di Barbara, che diventa Sophie Straw, sotto consiglio dell’agente teatrale Brian (Rupert Everett). La vediamo combattere sia gli atteggiamenti sessisti (“Non voglio che tutto riguardi le mie tette!”) sia il pregiudizio contro le sue radici operaie. 

Nel mondo dei Swinging Sixties

Barbara si innamora del suo co-protagonista, Clive (Tom Bateman) ma troverà, forse, il vero amore col produttore Dennis (Arsher Ali). Le vicende romantiche sono più coinvolgenti dei tentativi a volte superficiali di affrontare temi come razzismo e omosessualità. Il punto è che – nel 2023 – tutti i personaggi per cui dobbiamo fare il tifo sono troppo moderni per la Gran Bretagna degli anni Sessanta. Non pretendiamo Mad Men, ma non possiamo credere a Dennis quando dice che vorrebbe che il suo sceneggiato parlasse “di povertà, privilegi, rivoluzione sessuale e disuguaglianza di genere”. 

Le cose vanno un po’ meglio quando si parla di classe. La serie mostra i giorni in cui un commesso poteva andare a Londra e tentare la fortuna perché non pagava 800 sterline al mese per una stanza singola e la mobilità sociale era una possibilità concreta. E Sophie Straw è infatti una coraggiosa nuova arrivata che affronta un establishment di uomini privilegiati. 

Tutto troppo leggero. Tanto che il momento più autentico, in questo dramedy patinato, finisce per essere quello in cui Barbara si rende conto di aver iniziato a sanguinare sui suoi pantaloni color crema proprio mentre sta per entrare in scena.