Volete guardare qualcosa che non vi porti via troppo tempo? Ecco le serie tv consigliate di THR Roma.
Drôle - Comici a Parigi
C’è poco da fare, i francesi su certe cose non si battono e la loro comicità caratteristica è irresistibile. Drôle – Comici a Parigi, in sei episodi, è un mix tra la vera stand-up comedy e la riflessione sul “farcela”. Non si ferma qui, ci dice anche come convivere col successo se non ci sei abituato. Negli spazi comici si ride sempre ma in altri momento è meno leggera di quanto si pensi. La serie offre anche uno spaccato sulla Parigi di oggi, multietnica e che non dorme mai, toccando il tema dei francesi di seconda generazione e del razzismo. La creatrice di questa serie è Fanny Herrero, la stessa dell’originale Call My Agent. Chissà se anche Drôle verrà adattata in Italia.
Tuca & Bertie
Una è una tucana freelance emancipata ed esuberante, l’altra un’usignola ansiosa che lavora come data analyst ma sogna di aprire una pasticcera. Sono Tuca & Bertie, le amiche pennute protagoniste dell’omonima serie di Lisa Hanawalt, la matita dietro BoJack Horseman. Ambientata a Bird Town, la serie è un tripudio di colori e bizzarrie. Ma più di tutto è un racconto sfacciatamente onesto su quel momento di passaggio all’età adulta, con tutto il bagaglio di paure che si porta dietro. Una serie realizzata da una donna che parla di femminile con onestà – perché anche le donne possono pensare e agire in modo sconsiderato – e che, nel mentre, vi farà oscillare tra risate e qualche lacrima (in puro stile BoJack). Luci e ombre, tra la libertà dell’animazione e il racconto di tematiche senza tempo: dall’amore ai traumi, dalle molestie all’accettazione dei propri limiti.
La regina degli scacchi
Il classico fenomeno di Netflix: esce in piattaforma, la vedono tutti, la vedono tutti subito, la vedono tutti subito e ne parlano tantissimo. Tempo un mese, e la serie è già storia. Cosa rimane oggi de La regina degli scacchi? Una grande prova d’attrice di Anya Taylor-Joy nei panni di Beth Harmon, una ragazzina borderline con il talento degli scacchi, una storia d’agonismo e disciplina (sì, si può rimanere col fiato sospeso per un arrocco), empowerment femminile e il Grande Nemico Russo che non passa mai di moda. Bonus: deliziosi cappottini e cappellini anni Cinquanta che titilleranno la stilista che è in voi. Sette puntate ancora godibilissime.
Big Little Lies
Basato sull’omonimo best-seller di Liane Moriarty, Big Little Lies a prima vista potrebbe essere liquidato come un’analisi dei falsi problemi dei ricchi. Invece la regia di Jean-Marc Vallée e l’interpretazione di un cast dai grandi nomi che comprende Nicole Kidman, Reese Witherspoon, Shailene Woodley, Laura Dern e Zoë Kravitz, hanno reso la storia un profondo dramma al femminile. Tra segreti e oscuri abusi, fino a un omicidio “giustificato”. Vale la pena guardarlo anche per una Meryl Streep nei panni di una suocera da brividi e perché è uno di quei casi (rari) in cui la seconda stagione alza l’asticella rispetto alla prima.
I am Groot
Vi ricordate quando la Pixar faceva veramente ridere? Quando diagrammi e algoritmi – il miraggio di piacere a tutti, ovunque, sempre, comunque, nei secoli dei secoli glocal – non avevano ancora smorzato il genio, annientato le trovate, mortificato i personaggi? Facciamocene una ragione: quella Pixar non c’è più. C’è la Marvel, però. Che con le cinque brevissime puntate di I Am Groot – spin off dedicato al personaggio di baby Groot, eroe alieno dei Guardiani della Galassia – resuscita tutta l’ironia, la sfacciataggine e l’anarchica creatività dei grandi classici dell’animazione (digitale) di cui la serie animata scritta e diretta da Kirsten Lepore è legittima erede. Unico difetto: ne vorremmo di più.
Atypical
Atypical è la storia di Sam, un diciottenne affetto da autismo. Un dolce racconto di formazione alla scoperta dell’amore, del sesso, delle dinamiche familiari. Anche se la rappresentazione dell’autismo ha ricevuto un’accoglienza contrastante, la serie ha il merito di aver messo in scena il disturbo del neuro sviluppo, mettendo al centro non solo Sam ma anche le persone che gravitano intorno a lui. Un buon motivo per guardare la serie è che gli episodi durano 30 minuti, un tempo perfetto per poter essere “gustati” in qualsiasi momento della giornata.
Midnight Mass
Essendo nato a Salem, città del processo alle streghe, era quasi scontato che Mike Flanagan sviluppasse una passione per il genere horror. Basta guardare la sua filmografia, da Doctor Sleep, sequel di Shining, a The Haunting. Ma tra i suoi vari progetti ce n’è uno particolarmente ispirato: Midnight Mass. La miniserie, lodata da Stephen King e ispirata al suo mondo letterario, intreccia soprannaturale, filosofia e orrore grazie ai misteri che avvolgono Crockett Island, isolotto in cui accadono fatti inspiegabili che gli abitanti associano all’arrivo di un nuovo sacerdote, Padre Paul (Hamish Linklater). Al centro del racconto la fede e le sue sfumature – positive e negative -, il perdono, l’amore e la famiglia. Un momento imperdibile: il (doppio) monologo sulla morte del quinto episodio. “Come stelle nel cielo, un attimo sono qui, poi vengo disperso nel cosmo”.
Glow
Le fantastiche ragazze del wrestling: tratta da uno show vero (di botte, appunto), la serie piazza sul ring un gruppo di ragazze ai margini – attrici fallite, freaks, emarginate, eccentriche d’ogni sorta – che se le danno di santa ragione, più o meno per finta, sotto la guida di un misogino ex regista di B movie con il vizietto della bottiglia. Dentro c’è tutto quello che si può chiedere a un passatempo feel good per l’estate: gli anni ‘80, le spalline, i capelli cotonati, i calci volanti, un cast eccellente (che splendore, Alison Brie). Femminista con grande ironia. Può bastare una sola stagione, la prima.
Pam & Tommy
Se avete poco, pochissimo tempo, basterà un episodio. Il secondo. Quello di cui tutti hanno parlato quando la serie è stata distribuita, nel 2022: racconto romanzato della vicenda del video hard sottratto a Pamela Anderson negli anni ’90, la serie porta per la prima volta in un prodotto Disney (Hulu, negli Stati Uniti) nientemeno che un pene parlante. Quello di Tommy Lee, il batterista dei Mötley Crüe – al tempo compagno dell’attrice di Baywatch – impegnato in una furiosa discussione col suo stesso membro. Esilarante. Ottimo anche il resto della serie, diretta (tra gli altri) da Craig Gillespie di Tonya, con protagonisti calati a perfezione nei rispettivi personaggi e un’interessante taglio sul piratesco e scorrettissimo mondo dell’internet degli esordi.
Hill House
“Il silenzio si stendeva uniforme contro il legno e la pietra di Hill House, e qualunque cosa si muovesse lì dentro, si muoveva da sola”. L’adattamento Netflix in 10 episodi de L’incubo di Hill House di Shirly Jackson inizia con le stesse memorabili parole. Ma invece che da un narratore invisibile, sono ora pronunciate da Steven Crain (Michiel Huisman), il nostro nuovo protagonista. La serie trasporta la storia ai giorni nostri, ed è vera benzina per gli incubi: spettri, porte chiuse, scricchiolii notturni, incredibili protagoniste femminili. E quell’incipit che sembra dire: “D’ora in poi siamo solo tu, io e qualunque cosa che si muova da sola a Hill House”. Da guardare di giorno.
The End of the Fucking World
James e Alyssa sono due adolescenti incapaci nei rapporti umani. Lui, apatico alla ricerca disperata di emozioni, pensa che l’unica strada possibile sia quella di diventare un serial kiler. Lei, turbata da drammatici trascorsi familiari, vede nella fuga l’unica possibilità di riscatto. I due iniziano una relazione sui generis, con un romanticismo e un’intimità commisurata ai rispettivi caratteri. Due apparenti psicopatici si rivelano personaggi nel pieno della crescita, impauriti dal mondo e dalle modalità con cui affrontarlo. The End Of the Fucking World è un mix di ironia, avvenimenti inaspettati e tenerezza: è impossibile non affezionarsi a questi due ragazzi disoorientati, che nonostante tutto si mettono in gioco per cercare di imparare a vivere e ad amare, insieme.
Vinyl
Durò un battito d’ali prima di essere rottamata dopo una stagione appena. Eppure Vinyl, serie tv firmata (anche) da Mick Jagger e Martin Scorsese, andrebbe certamente recuperata. Per tre motivi: il realistico racconto dell’ascesa di rock e punk nella New York anni Settanta, tra guerre tra etichette e pulsioni autodistruttive; le citazioni, i cameo e una colonna sonora da urlo (letteralmente: ci sono tutti); Bobby Cannavale, attore dallo sguardo triste e il gran talento, cui la serie regalò un azzeccato ruolo da protagonista, quello di un produttore musicale dalla disastrata vita personale. Se amate la musica, non fatevelo scappare.
Sex Education
Sarebbe riduttivo definire Sex Education una teen serie. O meglio lo è, ma non solo. Otis, Meave e i loro amici vivono – non senza conflitti e drammi personali- la crescita e la scoperta del mondo (e del sesso), in una location nota e riconoscibile da qualsiasi adolescente: il liceo. Si parla di tematiche non esattamente nuove, come il passaggio dall’adolescenza all’età adulta o il rapporto coi genitori, sollevando tuttavia interrogativi più profondi, come la scoperta di sé e della propria sessualità. Intento didattico, sensibilità e umorismo: Sex Education sa arrivare a tutti i tipi di pubblico, non solo a coloro cui è esplicitamente diretto.
Cyberpunk: Edgerunners
Giù nel cyberspazio la vita non è un granché, come sanno bene i cultori di quel genere tra l’apocalittico e il tecno-fantascientifico -il cyberpunk – che ha in William Gibson e Philip K. Dick i suoi profeti. Ultra violenta e disperata, Edgerunners racconta l’ascesa nella criminalità e nella cyberpsicosi di un ragazzo dello sprawl di Night City (la periferia, chombatta). Non mentiamo, non è una serie per tutti. Lo è sicuramente per chi il cyberpunk l’ha conosciuto attraverso i giochi di ruolo (Cyberpunk 2020, della Talsorian Games) o i videogame (Cyberpunk 2077, di CD Projekt), da cui la serie attinge gloriosamente. Titoli di testa su This Fire dei Franz Ferdinand: fomento.
Chernobyl
Terribile come un horror. Ma è una storia vera, quella del disastro della centrale nucleare di Černobyl, quando un guasto al reattore dell’impianto, nel 1986, provocò la morte di 65 persone rischiando di contaminare l’Europa intera. Le cinque, tesissime, puntate della serie ricostruiscono il dramma ora dopo ora, con gelida precisione. Chiunque sia nato prima degli anni Ottanta ripiomberà nell’incubo, ricordando lo spettro della “nube tossica” evitato dal sacrificio degli abitanti della città di Pryp’jat’. Per la Gen Z è una lezione di storia contemporanea – utile anche a misurare i pericoli “collaterali” della recente aggressione russa in Ucraina. A dirigere è lo svedese Bo Johan Renck, autore di videoclip e fedelissimo di David Bowie. Un cult.
Non ho mai...
Devi Wishwakumar è un’adolescente americana di origini indiane che, durante gli anni del liceo, ha soltanto un obiettivo: perdere la verginità. Non importa che le sia appena morto il padre, che abbia perso per l’intera estate l’uso delle gambe – handicap recuperato in un baleno, così come era arrivato – e che sia evidente che la sua parlantina e le battute sagaci non siano altro che un modo per evitare di elaborare un lutto troppo pesante. Le premesse per una storia tragica sono in realtà lo spunto per una delle serie teen più divertenti di Netflix. Merito della penna e dell’umorismo di Mindy Kaling e Lang Fisher, con l’intuizione geniale di affidare il ruolo del narratore all’ex tennista John McEnroe.
Maid
Una volta visto l’ultimo episodio, non smetterai di pensarci. Premerai di nuovo play sul primo e uscirai di casa per comprare il romanzo di Stephanie Land, da cui Maid è tratta. Vorrai dire a tutti di guardarla. Ma soprattutto vorrai parlare con chiunque di cosa siano violenza e povertà di genere. Perché se la mitologia della povertà ha più spazio nell’immaginario collettivo rispetto alla realtà della povertà, in Maid – storia di una lavoratrice domestica che sogna di fare la scrittrice, cresce una bambina e lotta contro tutto: famiglia, burocrazia e un ex violento – è mostrata senza veli la vita vera di milioni di madri single. E la vita vera delle donne abusate.
Black Mirror
“Il destino è quel che è, non c’è scampo più per me” gridava nel sonno Gene Wilder in quel geniale capolavoro che è Frankenstein Junior di Mel Brooks. Una frase che abiterà anche i vostri incubi dopo aver visto almeno una puntata di Black Mirror di Charlie Brooker: una serie antologica in cinque stagioni – ogni puntata ha protagonisti e ambientazioni diverse, per non dormire la notte basta un episodio – ambientata in una versione futura, e terribilmente distorta, della nostra società. Cinica come Ai confini della realtà, oscura come La porta sul buio, Black Mirror ha presagito le conseguenze dell’iper-connessione, i rischi della democrazia digitale, l’avvento delle IA. È la Cassandra delle serie tv: vede, prevede e sono sempre sventure. Dal 15 giugno la nuova stagione.
Platonic
Seth Rogen e Rose Byrne ancora in coppia, per la terza volta insieme al regista Nick Stoller che li ha già diretti in Cattivi vicini e nel suo sequel. Un trio collaudato che si diverte (e si vede) con la comedy Platonic, che affronta la crisi di mezza età e il significato dell’amicizia dopo gli “anta”. Una serie che brilla per la chimica fra i protagonisti e le loro eccellenti interpretazioni: Rogen e Byrne sono campioni dell’improvvisazione, lo spettatore si sente coinvolto e ne gode. Una sola stagione, dieci episodi da mezz’ora l’uno, si ride forte e il tempo vola. A gran voce si richiede una seconda stagione.
Atlanta
Se c’è un confine sempre più sottile tra commedia e dramma, Atlanta ha avuto un ruolo fondamentale nel ridurne i margini. Ideata da Donald Glover – anche nei panni del protagonista – e composta da quattro stagioni, la serie è uno show sull’America moderna afroamericana, che parte dalla storia del manager musicale Earn (e dal privato della sua famiglia), e arriva ad analizzare il tessuto sociale di un’intera comunità. Rap, hip hop, sparatorie, erba e tensioni razziali: una regia di soluzioni metaforiche e surreali, una comicità sarcastica, di dialoghi e situazioni stranianti. Struttura agile, puntate brevi, si divora. E resta impressa.
A cura di Manuela Santacatterina, Ilaria Ravarino, Livia Paccarié, Martina Barone
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