Tanino Liberatore, ricordi ribelli e fumetti selvaggi: “Portavamo i nostri sentimenti all’estremo”

Protagonista del Comicon di Napoli, il grande disegnatore, artista e fumettista si confessa a THR Roma: da Pazienza a Zappa, dal Male a Frigidaire, da Manara a Cannibale. "Eravamo figli del nostro tempo". E Ranxerox, la sua creazione più famosa? "Viene dalle viscere e dal cuore, oggi non lo pubblicherebbero"

Per Tanino Liberatore, 70 anni, autore, fumettista e artista, ospite del Comicon di Napoli, il mondo si divide tra Parigi e l’Abruzzo. Quando non è nella città francese, è in Italia. E quando non è in Italia è in Francia. Ha la praticità di chi fa, di chi ogni giorno si immerge nella materia, e ne cava fuori altro: un’idea, una sagoma, un corpo. È diretto, schietto e anche brusco. Non è cattivo, no: è di una bontà amicale, verace, che non conosce confini e barriere. Per usare le sue stesse parole: è un orso.

In questi giorni, dice, sta disegnando. “E ogni tanto mi capita di accettare qualche commissione, e allora mi metto lì, al computer, e lavoro”. Ha un modo di parlare invitante e, allo stesso tempo, travolgente. Ricorda gli anni Sessanta e Settanta; cita Pazienza, Cannibale e Il Male. Ripete più volte che la musica, per lui, è sempre stata fondamentale.

Fa ordine tra i ricordi, e poi s’infila abilmente negli anfratti della memoria. La scuola, le amicizie, gli incontri. Qui c’è Frank Zappa, lì il gruppo di Frigidaire. E poi Milo Manara, le mostre, i disegni e Ranxerox, l’androide amorale delle storie che ha creato con Stefano Tamburini. E le polemiche, sì: anche quelle. Fa cose per sé, quando disegna. Cose che hanno in comune un unico elemento.

Quale?

La mia testa.

E il fumetto, invece? Sta aspettando una buona sceneggiatura?

No, no. Lì non sto aspettando proprio niente. Ho chiuso definitivamente. Ho detto basta nel, credo, 2007. Ho fatto l’ultimo fumetto vero, e poi solo cose più piccole. Forse i fumetti non fanno per me, non lo so. Oppure, semplicemente, ho bisogno di una buona proposta.

Per esempio?

Parlo di proposte economiche, intendiamoci. Proposte che è davvero difficile rifiutare. Non tanto per le idee.

Se posso, perché?

Un fumetto ti prende tanto tempo e tante energie. Una volta poteva portarti anche dei soldi. Oggi è diventato difficile: ha visto quanti fumetti vengono pubblicati ogni giorno? E poi, se devo essere onesto, non è una cosa che mi fa impazzire.

No?

No. Non mi dà quel piacere che, invece, dà ad altri autori. Non c’è nessuna vera parte positiva nel fumetto. Per carità: devo a Ranxerox la mia notorietà; ma Ranxerox resta un’eccezione felice, non la regola.

 © Simone Florena per Ri-tratti

© Simone Florena per Ri-tratti

 

Segue dall’esterno il mondo del fumetto? Legge qualcosa?

Pochissimo. Decisamente meno di prima. C’è talmente tanta roba che non saprei da dove cominciare. O leggo sempre le stesse cose oppure vado a caso. In Francia, fino a qualche tempo fa, uscivano circa cinquemila titoli all’anno. Si rende conto? È una cosa che non ha senso. Sono più di dieci fumetti al giorno.

Secondo lei questa cosa, a un certo punto, arriverà a un punto di rottura? Voglio dire: qualcuno si accorgerà che si stampano troppi fumetti?

Onestamente penso che se ne siano già accorti. Quanto puoi vendere con così tanta competizione? Mille, duemila copie? Ma se ti va bene, se sei uno dei fortunati che hanno già un pubblico. Sono tre o quattro autori che riescono a vendere bene. Chi cazzo se li può comprare tutti questi fumetti?

Forse, la stessa cosa sta succedendo anche in Italia, dove c’è una crisi di editor.

Io, prima, parlavo della Francia. Non so molto dell’Italia. Ma anche in Francia di questi cinquemila titoli la stragrande maggioranza è una merda, mi creda.

Qual è l’eredità di Ranxerox? Qualcuno ha saputo raccoglierla?

Più che Ranxerox, sono stati quegli anni lì, in Italia, a essere eccezionali. E sono contento, dico la verità, di averli vissuti. Non era un periodo felice solo per il fumetto. C’è stata una rivoluzione in tutte le arti, soprattutto, forse, nella musica. Non so dirle chi sia l’erede di Ranxerox. Abbiamo lavorato a quel personaggio vivendo il presente, senza concentrarci sul futuro.

E quindi?

Quindi abbiamo portato all’estremo i nostri sentimenti, quello che provavamo. Prendevamo l’attualità e la distorcevamo. Eravamo, come si dice, figli del nostro tempo. E Ranxerox veniva da qui: dalle viscere e dal cuore. E questa cosa, secondo me, si sente.

E oggi?

Oggi non faranno Ranxerox, per carità. Ma se lavorano così, con questo approccio, con questa stessa passione, sono sicuro che riusciranno a creare qualcosa di ugualmente unico, di ugualmente legato alla loro vita e alla loro attualità. Quelli che non si fanno troppi problemi, che non si muovono a freddo, possono fare delle cose buone. Poi, per carità, serve anche altro.

Tanino Liberatore

Cosa?

Il talento. Non basta il culo, no. Devi saperle, le cose. Io dico sempre che sono fortunato. Ma è anche vero che io la fortuna l’ho cercata, e in un certo senso me la sono costruita.

Qualche giorno fa, ho sfogliato la raccolta di Ranxerox che ha pubblicato Comicon Edizioni. Oggi, secondo lei, verrebbe pubblicato?

Quando è uscito Ranxerox, se avessimo dovuto portarlo a – che ne so – Linus, non avremmo trovato le porte spalancate. Anche loro ci avrebbero detto di no. Non per la storia o per la protagonista minorenne, attenzione. Semplicemente perché, per loro, le persone non erano pronte. A quell’epoca, ecco, non c’era questo malessere che c’è attualmente. Le persone vivono tutto in modo diverso. Non che, in quel periodo, fosse giusto fare sesso con le minorenni. Ma c’era un altro approccio. Ranxerox era un fumetto, e veniva visto come un fumetto. Ora c’è un moralismo del cazzo, che capisco anche, ma che non si sa da dove arrivi.

Il Male, insomma, è stata una salvezza.

Sul Male abbiamo potuto fare quello che volevamo, senza nessuna censura. E la gente ha finito per accettare Ranxerox. Ci si rivedevano. C’erano elementi, al di là della violenza o del sesso, che parlavano della nostra attualità. A Roma, in quegli anni, tutti vivevano nello stesso ambiente. La droga era ovunque. Non parliamo, poi, della violenza. Il personaggio più controverso, più tosto, in Ranxerox non è lui. Non è questo colosso di muscoli e circuiti. È proprio la ragazzina, è lei che è tremenda. E la gente, questa cosa, l’ha capita.

Che cosa resta di quel periodo? Degli anni Sessanta e Settanta, intendo.

Non lo so. Voglio dire: in quel periodo, come dicevo, abbiamo fatto qualunque cosa. Tanta merda, certo, ma anche tanta roba di qualità. Chissà perché, e chissà come poi, adesso si parla solo della merda. Pubblicare Ranxerox, oggi, sarebbe impossibile. Ma è assurdo che tutti si concentrino sulla stessa cosa, solo sulla ragazzina. C’è tanto altro, in quella storia.

Ha seguito la polemica su Bastien Vivès? È criticato per i suoi fumetti pornografici con protagonisti minorenni.

Le dico la verità: l’ho sentita dopo. Non l’ho seguita subito. Quel caso lì, però, è diverso. Vivès ha volutamente esagerato. E anche nelle interviste è andato oltre. Però, sinceramente, io non avrei chiesto la censura. Al limite, sa cosa?

Mi dica.

Non l’avrei letto. L’avrei ignorato.

A lei è mai capitata una cosa del genere?

Ho fatto una mostra a Firenze, nel ’94 o nel ’95: non ricordo con precisione. Era una selezione dei miei lavori preferiti. Non c’era nessuna voglia di fare scandalo o di polemizzare; erano solo disegni a cui tenevo particolarmente. Una mostra molto bella, se posso. Allestita nella Limonaia dei Medici. Ripeto: non c’era nessun intento provocatorio, lo giuro sulla testa di mia figlia. Tra le tavole, però, ce ne era una in cui Maria Maddalena fa sesso orale a Gesù Cristo. Il giorno dell’inaugurazione non è successo niente. Subito dopo, invece, è scoppiato un casino. Sono arrivati a chiedermi di toglierla. E io, visto che non volevo davvero creare problemi, ho detto di sì. A un certo punto è intervenuto anche il vescovo.

E che cosa ha detto?

Che in Italia c’era ancora la libertà di pensiero, e quindi la cosa migliore era lasciare quest’illustrazione nella mostra. Insomma, all’epoca c’era un altro modo di pensare. Adesso ci troviamo in un’epoca di merda. Non mi piace per niente quello che succede. Noi avevamo uno spirito sognatore, pronti a rischiare. I giovani di oggi non hanno lo stesso spirito. Qualcosa si sta muovendo, sì. Ma è poco.

Per esempio?

Non le so fare dei nomi; è una sensazione che sento quando parlo con gli altri. Sono comunque persone interessate agli anni Sessanta e Settanta.

Prima citava Il Male, dove avete potuto pubblicare Ranxerox. Lei, però, non andava molto d’accordo con quel tipo di lavoro.

Ma sì, certo. Perché dice così?

Mi riferisco alle scadenze e alle consegne: quello era un impegno abbastanza costante.

Ma le scadenze non mi piacciono nemmeno adesso. Non c’entrava niente Il Male. Sta scherzando? Io non ero portato a parlare di, che ne so, politica. Ma c’era Andrea (Pazienza, ndr) che era un vero e proprio fenomeno: le sue strisce e i suoi fumetti politici fanno ridere ancora oggi. Io a quei tempi non riuscivo a tenere il passo. Ho fatto un sacco di disegni, quelli sì, e di copertine.

A proposito di velocità, mi ricordo che a un’edizione di Lucca Comics and Games, guardando Milo Manara al lavoro, si arrabbiava.

Faceva tutto, porca miseria, e lo faceva bene. Io invece ho bisogno dei miei tempi, di lavorare a fondo alle mie cose. Siamo diversi, io e Milo. A me non piace per niente lavorare. E poi dipende molto dal giorno.

In che senso?

Se i disegni mi escono subito bene, vado avanti. Se invece mi escono male, m’incazzo, divento antipatico, mi fermo. Agli altri vanno pure bene, intendiamoci. A me, però, no.

Mi racconta la storia della groupie di Frank Zappa?

Da quello che ho saputo io, a un suo concerto c’era una ragazza che si era presentata come giornalista di Frigidaire. E aveva con sé o un album di Ranxerox o il primo numero di Frigidaire, dove c’era una storia di Ranxerox: non ricordo bene, adesso. Zappa, vedendolo, chiese immediatamente di incontrare me e Tamburini.

E la giornalista?

Ah, non lo so. L’ha mandata via, e si è tenuto il nostro album.

Poi avete incontrato Zappa in un albergo di via Veneto.

Sì, all’Excelsior, in una suite meravigliosa. Ed è lì che Zappa disse la famosa frase: “dopo Michelangelo Liberatore è il più grande disegnatore italiano”.

E lei, sentendolo, come ha reagito?

E come dovevo reagire? Io non capivo nemmeno l’inglese. Quando mi hanno tradotto la frase, mi sono messo a ridere. Ma mi sta pigliando per il culo?, ho chiesto. E invece no, ci credeva davvero.

Se la definisco maestro, come mi risponde?

Non mi incazzo, no. Ma all’inizio, quando hanno cominciato a chiamarmi così, pensavo mi stessero prendendo per il culo. Non essendo granché come insegnante, ero convinto che fosse uno scherzo. Poi, con il tempo, mi ci sono abituato. Lo dicono e basta. Invece di chiamarmi Tani’, mi chiamano maestro. Ora ho una certa età: posso anche accettarlo.

Che rapporto ha stretto, nel tempo, con Milo Manara?

All’inizio ci siamo semplicemente ritrovati. Provavamo un rispetto reciproco. Si trattava solo di lavoro, non ci conoscevamo. A me piaceva come disegnava. Lo Scimmiotto, per dire, era stupendo per me. I suoi disegni sono sempre stati i disegni erotici più belli. Ho adorato quello che ha fatto con Pratt, Tutto ricominciò con un’estate indiana, e quello che ha fatto con Fellini. Con il tempo, siamo diventati amici. Al di là del lavoro. Siamo un po’ all’opposto, e ci vogliamo bene.

Ha incontrato Andrea Pazienza a scuola, mentre entrambi frequentavate il Convitto.

Sì, era più piccolo di me. Io ero al terzo anno e lui al primo.

Che cosa le manca di quegli anni?

Sai che le cose belle non possono durare in eterno; le vivi e basta. Con il tempo capisci l’importanza del periodo che hai attraversato. All’epoca, no: non ci facevi caso. Io disegnavo sempre. Ero un orso. Non pensavo di fare questo come lavoro. Io facevo le copertine dei dischi, non i fumetti. I fumetti li leggevo, mi piacevano. Ma ero un illustratore.

Quando c’è stata la svolta?

Quando ho visto una storia breve di Andrea, Armi. Mi piaceva tantissimo. Era dettagliata, precisa, piena di particolari. Colorata su carta millimetrata. Io avevo ancora contatti con i suoi genitori. Suo padre mi chiedeva sempre di farlo disegnare meno come un fumettista. Ma Andrea aveva la stoffa, c’era poco da fare. Comunque, vista quella storia, ho telefonato a casa sua, e mi ha risposto la madre. Andrea, mi disse, non c’era; sarebbe tornato quell’estate. E così andai a trovarlo. Erano passati circa vent’anni dall’ultima volta che c’eravamo visti. Eravamo nella sua stanza, e mentre parlava con me disegnava, senza nessuna esitazione. Mi raccontò di questa rivista che stava facendo a Roma con alcuni suoi amici; mi promise di chiamarmi, e di presentarmi agli altri.

E così fu.

Ci vedemmo a casa di (Massimo, ndr) Mattioli. Io non abitavo lontano. Portai i miei disegni. Ricordo che c’erano Mattioli, Stefano (Tamburini, ndr) e Andrea. (Filippo, ndr) Scòzzari non c’era. E ricordo che all’inizio, guardando le mie prove di fumetto, erano un po’ freddi, perché erano fumetti un po’ classici. Portai però anche dei ritratti che avevo fatto, ritratti di cantanti, e fu in quel momento che Stefano si convinse e mi chiese di lavorare per Cannibale. Ero strano, trasandato, ma gli piacevano i miei gusti musicali.

Tutto parte sempre dalla musica.

Sempre. La musica è stata fondamentale nella mia vita e nella mia carriera. Le persone che ho conosciuto in Francia erano o musicisti o avevano i miei gusti.

Sa suonare qualche strumento?

Per niente. Forse giusto la batteria sulle gambe. Ma la musica mi piace.

Perché?

Per me è l’unica, vera arte. Nel periodo del boom dei videoclip, mi incazzai come una bestia. Toglievano una parte fondamentale dell’esperienza della musica. Quello che mi è sempre piaciuto è immaginare. Con i videoclip, l’immaginazione veniva castrata.

Qual è la cosa più importante per lei, il talento o l’esperienza?

Più che l’esperienza, è importante l’impegno. E la stessa cosa vale per il talento. Puoi essere un fenomeno, ma se non lavori puoi fare poco. Non credo molto all’ispirazione. Le cose non ti arrivano all’improvviso. Le idee nascono mentre sei chino alla scrivania, mentre ci provi, mentre sei nel tuo elemento. Eccola, la verità.