Jennifer Lee: “La gente non si stancherà mai della Disney”

È direttrice creativa dei Walt Disney Animation Studios dal 2018. Col collega Chris Buck ha conquistato l'incasso più alto per un film d'animazione con Frozen II. E ora presenta Wish, con cui vuole rilanciare la casa di Topolino, festeggiandone il centenario

È la direttrice creativa dei Walt Disney Animation Studios dal 2018. Ed effettivamente lei stessa sembra uscita da un film animato, con la sua risata squillante e il sorriso affabile. Jennifer Lee, dalla Contea di Providence alle più alte cariche della “compagnia dei sogni”, ha diretto i successi Frozen – Il regno di ghiaccio (2013) e Frozen II – Il segreto di Arendelle (2019) prima di assumere un ruolo di rilevanza nella casa di Topolino. Compito affidatole dopo che, col collega Chris Buck, ha raggiunto il più importante incasso per un film Disney grazie al sequel con protagoniste Elsa e Anna.

Un risultato che l’azienda non è più stata in grado di raggiungere negli anni successivi. È per questo che con Wish, in concomitanza del centesimo anniversario della Disney e in uscita in Italia il 21 dicembre, la compagnia spera di tornare alle origini, utilizzando inedite tecniche d’animazione e un’ispirazione che prende ad esempio Biancaneve e i sette nani (1937) e La bella addormentata nel bosco (1959).

Un “watercolor style” raggiunto grazie all’illustratrice Lisa Keene, di cui Lee racconta il processo creativo, insieme all’importanza di mettere al centro le narrazioni. Sempre diverse, grazie alle tanti voci all’interno della loro “story room”. E se l’azienda è aperta al futuro, come dimostra la scelta della cantautrice Julia Michaels, classe ’93, per la colonna sonora di Wish, a tornare dal passato è il mentore Bob Iger.

Com’è essere una donna in un ruolo di potere alla Disney?

Se mi sta chiedendo della mia giornata, devo dire che è alquanto ordinaria. Siamo un gruppo di persone che collaborano insieme. E questa è la parte facile: realizzare film, mettere sul tavolo quante più idee per costruire nuove storie. Riconosco però il ruolo che ricopro e come le persone, soprattutto le donne, mi guardano. Essere in tali posizioni vuol dire impegnarsi ad aprire più porte e mostrare alle professioniste che ci sono più possibilità di quelle che hanno anche solo mai immaginato. Per questo è un ruolo che prendo seriamente. Nonostante lo diamo per scontato, c’è bisogno di vedere donne in posizioni di leadership, e spero di fare del mio meglio per dare il massimo supporto.

Ha visto dei cambiamenti nella Disney da quanto è diventata direttrice creativa?

C’erano sicuramente meno donne nel settore, per questo mi sono impegnata affinché si creassero più posti di lavoro che potessero venir ricoperti da donne. Siamo arrivati ad avere quattro donne registe e, in America, abbiamo il più alto numero di persone di colore che ci sia mai stato nella nostra azienda. E le nostre “story room” sono le più interessanti che si possano trovare, in cui si hanno più punti di vista. Perché è esattamente come si dice: gruppi di persone omologhi trarranno conclusioni simili. E quando realizziamo un film non vogliamo parlare solo a una fetta di pubblico, ma a tutto il mondo. Le nostre idee stanno diventando sempre più ricche e dinamiche. Lo noto durante le sessioni di brainstorming, in cui si toccano picchi profondi e a volte difficili, ma incredibilmente reali. Tra le cose che ho preferito in questi cinque anni da direttrice creativa è stato proprio vedere l’ingresso di così tante voci differenti nella stessa stanza.

Nel novembre 2022, Bob Iger torna alla Disney sostituendo il Ceo Bob Chapek. La motivazione, secondo quanto venne affermato all’epoca, era che la Disney stava attraversando un momento di crisi e l’esperienza di Iger, amministratore delegato della compagnia dal 2005 al 2020, era l’aiuto che le serviva per tirarsi su. Di che tipo di crisi stiamo parlando?

Tutto il mondo ha risentito di un arresto. Pensiamo al Covid-19, innanzitutto. Ha intaccato molti settori affini a quello dell’industria cinematografica, dai parchi giochi ai teatri. Per questo sono grata del fatto che Disney+ abbia permesso al nostro lavoro di trovare uno sbocco. Abbiamo dovuto capire come lavorare da casa, e quando il mondo si è riaperto dovevamo pensare a riaccendere le luci delle sale cinematografiche, per noi fondamentali. La Disney doveva riorganizzarsi, rialzarsi. E, per farlo, aveva bisogno di qualcuno come Bob Iger. È lui che mi offrì nel 2018 il ruolo di direttrice creativa. Per me è un mentore, per questo sono contenta che sia tornato. Mi fido delle sue capacità e dei suoi consigli.

Su The Hollywood Reporter sono state riportate delle indiscrezioni che vorrebbero il contratto di Bob Iger, in vigore fino al 2024, allungarsi dopo l’addio di Christine McCarthy, attuale CFO della Disney.

Mi coglie impreparata. Sono stata in viaggio questi giorni, non ho una visione chiara della situazione al momento.

Pensa che Iger possa portare la giusta visione di cui la Disney necessita ora?

Quando ho accettato il ruolo di direttrice creativa Bob mi ha detto: devi essere senza paura e non devi mai chiedere il permesso. In quanto regista, è stata una delle dritte più importanti che abbia mai ricevuto. Non bisogna avere il timore di correre dei rischi. Lui non ne ha. È sempre pronto a provare cose nuove e ho capito che, nella vita, le persone più intelligenti sono proprio quelle che si buttano. È molto stimolante. Bob si fida di noi, ma sa essere anche duro. Vuole che si raggiunga la miglior qualità possibile e, questo, rimane il nostro obiettivo. Vogliamo sia orgoglioso di noi, soprattutto io, visto che è il leader a cui mi ispiro.

Come ci si sente ad essere la regista con l’incasso più alto della storia della Disney con il sequel Frozen II – Il segreto di Arendelle?

È difficile elaborare un pensiero sensato quando ci si trova di fronte a consapevolezze simili, per me sicuramente non è facile, ma mi sento profondamente grata perché in questi dieci anni per me Frozen ha rappresentato il cambiamento. Sono passati quasi cinque anni dall’uscita di Frozen II e non credo riuscirò mai ad assimilare abbastanza il fatto che, a tutt’oggi, la storia di Elsa e Anna significhi ancora così tanto per moltissime persone.

Che è esattamente il contrario di come sta andando il botteghino della Disney con i film successivi a Frozen II (Raya e l’ultimo drago, Encanto, Strange World – Un mondo misterioso). Tre pellicole e quattro anni di insuccessi verranno percepiti al pari di un’eternità per una realtà come la Disney, suppongo.

È vero, non ci sono stati risultati eccellenti. Ma è ciò che riguarda il box office, non le storie in sé. Ho amato la scrittura di Raya e l’ultimo drago e di Strange World. Encanto è ancora al primo posto su Disney+ tra i film più visti in streaming della piattaforma. Trovo il film diretto da Byron Howard e Jared Bush un progetto meraviglioso, che ha dimostrato ancora una volta che il nostro scopo è quello di raccontare storie che provengano da ogni parte del mondo e possano parlare a chiunque. Ma ogni pellicola è diversa dalle altre, ognuna è un racconto a sé. Sono entusiasta delle narrazioni che arriveranno e stiamo affrontando tutti i rischi necessari per continuare a spingerci oltre.

Non dà nemmeno un po’ la colpa a Disney+ per questi risultati?

Disney+ è lì per noi. Come ho già detto, non avremmo saputo come fare durante la pandemia di Covid-19 senza Disney+. Senza la piattaforma non avremmo avuto l’opportunità di metterci a lavoro sui nostri nuovi progetti seriali. La gente sa che c’è una divisione televisiva di Disney Animation e finalmente potrà vedere il lavoro che stiamo svolgendo sulle serie, cosa che non abbiamo mai fatto prima. C’è la serie su Oceania, su Tiana de La principessa e il ranocchio. Abbiamo molti più registi con cui lavorare rispetto al passato. Perciò adoro che Disney+ ci faccia da sponda. Stiamo sviluppando insieme nuovi talenti, cosa che sarebbe impossibile girando solamente un film all’anno. Ci sono grandi cose che ci attendono sulla nostra piattaforma, anche se il prossimo film Wish è stato pensato interamente per le potenzialità della sala cinematografica. Quando guardi un film a casa il telefono squilla, non sei completamente concentrato. Stiamo vedendo il pubblico tornare alla sala, è quello che vogliamo. Sono ottimista e credo stiamo arrivando a un giusto equilibrio.

Con Wish sembra esserci una volontà di ritorno alle radici. Scegliendo una storia più semplice, in linea con le grandi narrazioni Disney.

Tutto riguarda la narrazione. È il cuore di quello che facciamo. Cerchiamo racconti che risuonino nella vita delle persone. Che li portino a casa con loro, che sentano di volerne essere i protagonisti. I film d’animazione possono diventare parte integrante della vita della gente. Si riscontra sempre un certo riconoscimento nei confronti di un’opera che parte da sentimenti così intimi e umani, non condizionati per forza da agenti esterni. C’è bisogno che il pubblico si ritrovi in quello che narriamo.

Vale anche per l’innovazione della tecnica animata?

Certamente. Siamo tornati alla tecnica della pittura originale a colori fatta a mano. Ciò che l’artista crea è esattamente quello che viene visto sullo schermo. La computer grafica ha permesso di sbizzarrirsi, creare molte più cose. Con Wish vogliamo dimostrare che non c’è nessuna separazione tra le due tecniche. Sembrano come due generazioni distanti, ma l’obiettivo dell’industria dell’animazione è combinare l’immaginazione con la creazione manuale. Per questo lavoriamo da anni per trovare la giusta chiave con cui ispirarci ai classici della Disney, e in Wish ci ha aiutato l’eccellente illustratrice Lisa Keene, i cui quadri sono stati poi uniti ai migliori strumenti tecnologici per rendere i sogni realtà.

Questa voglia di puntare su una nuova tecnica di animazione è influenzata dal fatto che, negli ultimi anni, i progetti più interessanti, almeno per la maggior parte del pubblico e della critica, sono arrivati da opere come Pinocchio di Guillermo Del Toro o l’attuale saga animata di Spider-Man? Ha mai paura che la gente possa essere stanca della Disney?

Posso facilmente rispondere con una parola: no. Neanche un po’.

Mi piace ogni singola cosa che facciamo. Ogni volta che finiamo un film ci domandiamo: cosa possiamo raccontare dopo? E siamo entusiasti quando l’animazione prospera, sotto qualsiasi punto di vita e con qualsiasi altro film. Il fatto che la gente continui ad avvicinarsi all’animazione e a volere quanti più stili differenti ci rende felici. C’è gente di tutte le età che va al cinema e la cosa migliore che può capitare è che la piccola comunità dell’animazione riesca finalmente ad allargarsi. Facciamo il tifo gli uni per gli altri. E ognuno ha la propria visione. Quella della Disney è dare voce ai propri registi, far avverare ciò che hanno sempre sognato. Lavoriamo duramente e non ci intimorisce affatto la competizione. L’ho già detto, quando Bob mi ha insignito dell’incarico mi ha avvisata: non avere paura. Quindi non ne avrò.

Allora qual è il desiderio che avete per il futuro di Wish?

È il nostro modo per omaggiare i cento anni della Disney. Vogliamo che sia un’opera divertente e gioiosa. Amiamo fare le cose in grande, amiamo l’epica. E, in particolare, i nostri personaggi. Abbiamo di nuovo un vero e proprio cattivo, anche se la sua personalità è più complessa di quello che sembra. Abbiamo Asha, che deve forgiare il proprio destino. Abbiamo questa nuova tecnica animata, che rappresenta solo l’inizio per noi. I cortometraggi degli ultimi anni sono state tutte palestre per avvicinarci sempre il più possibile al tratto di Wish. In più, da questo film in poi, l’obiettivo è di far conoscere al pubblico quanti più nuovi registi possibili, ognuno con le proprie storie. È questo che amo dei desideri. Che aprono ponti di comunicazione. Come quelli tra veterani e nuove generazioni. Pensiamo a Julia Michales, cantautrice e realizzatrice delle sette canzoni originali di Wish. Aveva solo vent’anni quando ha fatto la corista per noi in Frozen ed è il collegamento tra il passato e l’introduzione a un nuovo futuro grazie alla sua musica.

A doppiare i protagonisti ci saranno Ariana DeBose (Asha), vincitrice dell’Oscar come migliore attrice non protagonista per West Side Story nel 2022, e Chris Pine (Re Magnifico), che abbiamo già sentito cantare in Into the Woods. Cosa hanno portato di loro in Wish?

Abbiamo avuto modo di lavorare con Chris Pine ai tempi di Nelle pieghe del tempo (2018) e quando abbiamo iniziato a parlare del cattivo del film abbiamo pensato che dovesse avere il suo carisma. Re Magnifico è un uomo intelligente, che sa muoversi con sicurezza e ha il polso del comandante. Chris era la scelta ideale. Ci sono delle motivazioni dietro alle azioni di Re Magnifico, e lui riesce a dargli tridimensionalità. Era importante per noi sapere di averlo dalla nostra parte. Poi è arrivata Ariana DeBose. La tengo d’occhio dai tempi di Hamilton e il suo contributo non è stata solo la splendida voce con cui esegue i brani, che canta tutti tranne uno, ma ha soprattutto trasmesso il calore necessario per il carattere di Asha.

È rimasta un’artista umile, nonostante il grande successo che ha avuto rapidamente. Proprio come Asha, rischia di subire la pressione di non sentirsi all’altezza della situazione. Ma non ha paura di divertirsi, di non prendersi troppo sul serio. Anche in questo la rivedo molto nella protagonista. Dico sempre che quando inizio a lavorare col cast scrivo meglio, perché riesco davvero a sentirli, in ogni senso. Parlare con Ariana, per me, era diventato come parlare con Asha. Mi ha aiutata a trovarla ancora di più, a renderla più genuina.