Protesta femminista sul red carpet di Woody Allen, le donne sfilano “contro i registi stupratori”

Una trentina di contestatrici ha sfilato alla Mostra, prima della proiezione di Coup de chance, urlando slogan come "lo stupratore non è malato, è solo figlio del patriarcato". Accuse anche a Barbareschi, "nemico della cancel culture"

Non smette la “persecuzione” contro Woody Allen, anche sul red carpet. Una trentina di contestatrici (e qualche uomo) hanno percorso la strada lungo il tappeto rosso della Mostra di Venezia, prima della proiezione di Coup de chance del regista americano, urlando slogan come “lo stupratore non è malato, è solo figlio del patriarcato”, “diamo voce a chi non ce l’ha, contro i registi stupratori” e “spegnete i riflettori sugli stupratori”. Secondo fonti dell’estrema sinistra veneziana si tratterebbe di un mix di militanti anarchici e femministe. Non si esclude un legame tra gli organizzatori di queste proteste e la mano anonima che ha affisso le scritte apparse in diversi luoghi tra Venezia e il Lido. La manifestazione è proseguita con le donne in parata, senza maglietta e in reggiseno, secondo il modello delle Femen (il gruppo femminista ucraino attivo nel primo decennio del 2000, che protestava in topless).

Le donne hanno diffuso un volantino, prima di essere dispersa dal personale della sicurezza del festival, in cui si sottolinea la presenza al festival di tre srtisti – con altrettanti film in programma – coinvolti in procedimenti penali per casi di abusi e violenze sessuali: Roman Polanski, Woody Allen e Luc Besson. “Quest’anno la Biennale del cinema di Venezia ha scelto di dare spazio a registi coinvolti in vicende di violenze sessuali contro donne, anche minorenni”.

Il volantino, in doppia lingua (italiano e inglese) attacca l’istituzione tutta. “La Biennale sceglie di non interessarsi alla questione, ma noi sappiamo – dicono le manifestanti – che lo spazio per parlare di violenza di genere è ovunque, perché ovunque accade. Denunciamo oggi la condotta della Mostra di Venezia, che dovrebbe veicolare la cultura del consenso, del rispetto e della fiducia nei confronti delle vittime di violenza. E che invece sceglie di fatto di legittimare la cultura dello stupro”.

Secondo una delle attiviste l’azione sarebbe stata coordinata da “vari collettivi sociali transfemministi, da Venezia e dal Veneto. Abbiamo deciso di fare questo blitz per denunciare la scelta della Mostra del Cinema di invitare ben tre registi che hanno collezionato in totale 17 accuse di molestia sessuale – ha detto Marta, questo il nome della donna, all’inviata di THR Roma Arianna Di Cori – Parliamo di uomini bianchi, potenti e influenti, nei confronti dei quali c’è particolare indulgenza da parte della giustizia. E noi ci teniamo a dire che invitarli alla Mostra significa normalizzare e enfatizzare la cultura dello stupro e rendere invisibili le vittime. C’è un problema sistemico, e più che mai radicato nell’industria cinematografica: un mondo dove pieno di soldi e ricatti, e lo abbiamo visto col #metoo. Un festival internazionale come questo dovrebbe fungere da esempio e invece fa l’opposto, invitando anche un personaggio come Luca Barbareschi, che si è schierato in conferenza stampa, di fronte a una platea internazionale, contro la cancel culture. Resta agli atti che il festival anche quest’anno è stato poco inclusivo c9n le donne. Su 100 film, solo un quarto sono firmati da registe”. Il collettivo ha protestato pacificamente prima di essere allontanato dalle forze dell’ordine. “Ci hanno spintonato – denuncia Marta – ragazze di 40, 50 chili. Un risposta inqualificabile”
Gli attivisti veneziani non sono gli unici ad essersi indignati: nella notte tra il 2 e il 3 settembre sono apparse al Lido, ai Giardini della Biennale e a Venezia delle scritte polemiche indirizzate a Besson, Allen e Polanski, oltre che contro la premier Giorgia Meloni. “Non siamo stati noi – sottolinea Marta – ma un collettivo di attivisti parigini: sono loro gli autori delle scritte. Siamo in tanti a protestare e la Mostra ne è ben consapevole, perché nelle settimane precedenti hanno ricevuto tantissimi messaggi e e-mail di protesta”.

Secondo il collettivo di attivisti la Mostra dovrebbe “dotarsi di un codice etico, con regole chiare, e fare sì che non possano partecipare registi, produttori e attori con accuse pendenti di molestia sessuale. Questa retorica di apologia e separazione tra ‘uomo e artista’ è quella che continua a legittimare la violenza – conclude l’attivista -, confermando uno squilibrio di potere perpetrato da uomini con prestigio e potere. È facile indignarsi di fronte ai casi di cronaca, ma poi non si può giustificare le persone famose quando sono loro a macchiarsi di certi atti, dandogli anche un palcoscenico internazionale. Avremmo fatto calcare la passerella agli stupratori di Palermo?”.

L’organizzazione della Mostra ha cercato di convincere le manifestanti ad allontanarsi per poi coprirne i cori contro “la cultura dello stupro italiana”, aumentando considerevolmente il volume della colonna sonora jazz loud che accompagna la sfilata degli ospiti (Allen era con la moglie Soon-Yi Previn). Le donne sono state infine disperse dal servizio d’ordine.