Venezia 80, il Piano B di Barbera: sarà “un festival paneuropeo” se lo sciopero fermerà i film americani

Allarme al Lido per un'eventuale onda lunga della mobilitazione degli attori a Hollywood. Intanto il direttore Alberto Barbera allerta i suoi su un programma alternativo, che tenga conto della possibile diserzione delle star di Hollywood

Alberto Barbera sta lavorando al Piano B. Se i film americani non dovessero partecipare alla Mostra del Cinema di Venezia a causa dello sciopero di attori e sceneggiatori la prossima edizione, ha detto il direttore ai suoi più prossimi collaboratori, “sarà un festival paneuropeo”.

Sono ore di lavoro frenetico. Barbera ripete al suo staff che è presto per dire come andranno le cose, ancora fino a ieri sembrava non esserci un’emergenza ma le notizie cambiano di ora in ora. Ha suggerito loro: “Cerchiamo di capire cosa intendono fare produttori e registi americani, intanto ci attiviamo per costruire un programma alternativo”.

Fonti di THR dicono che gli organizzatori del festival di Toronto (le date, 7-17 settembre, si sovrappongono come sempre alla ‘coda’ veneziana) sono già sostanzialmente certi che non ci saranno film Usa in rassegna, appunto a causa dello sciopero: difficile che la vertenza contrattuale si risolva prima di settembre, dicono. Massima è dunque l’allerta a Venezia che fin dal film di apertura, Challengers di Luca Guadagnino, vede a rischio una programmazione complessa, di altissimo livello e già praticamente chiusa.

La conferenza stampa della presentazione del programma della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia è prevista per il 25 luglio, e si terrà.

Guadagnino, in questi giorni al lavoro fra l’Italia e la Francia per il film che ha appena finito di girare, Queer, conferma che la situazione è molto incerta: “Sicuro che gli attori non faranno promozione. Bisogna capire MGM cosa vuole fare, poi decideremo come procedere”. Tutto insomma è nelle mani, in queste ore, dei produttori. I registi infatti potrebbero anche accompagnare i loro film ai festival, se volessero, ma se la produzione decide di ritirare il film la questione non si pone.

Le case di produzione stanno valutando oltre alle ragioni di mercato quelle di opportunità e di immagine: non sarebbe un bel segnale presentare e promuovere i film senza gli interpreti, nel pieno della loro vertenza sindacale. Sono equilibri delicati, i segnali contano. Del resto i registi stessi, almeno alcuni di loro, potrebbero aderire allo sciopero degli attori in segno di solidarietà. È questo il contesto in cui Barbera prepara per Venezia 80 il programma alternativo, che definisce “paneuropeo”. Solo film europei, nel caso, dunque? La risposta è: Vedremo. Il cinema asiatico vive un momento di recupero post-pandemia, in questo senso se non dovessero partecipare gli americani il fuoco sarebbe soprattutto sull’Europa.

A chi lavora con lui il direttore ripete: “Navighiamo a vista. Non diamo niente per perduto né per scontato”.

“Hollywood fa stato a sé”, dice un importante imprenditore del settore, non è dato prevedere o interferire. Le ragioni dello sciopero sono del resto sacrosante, ed è questa la prima occasione dagli anni Sessanta in cui attori e sceneggiatori agiscono di concerto.

Alla prima di Oppenheimer, a Londra, abbiamo avuto un assaggio. La questione oggetto del contendere ruota attorno al calcolo dei diritti d’autore. Questo forse il punto più rilevante: il calcolo attuale dei diritti d’autore si basa sul numero di repliche dei film in sala, ma con le piattaforme streaming non è più quello – di gran lunga – il parametro che misura il successo di pubblico di un film, il numero di volte in cui è stato visto. Il calcolo dei diritti d’autore è importante soprattutto per gli attori di medio e basso livello di ingaggio, cioè la maggior parte degli iscritti al sindacato, perché con la partecipazione a un film o a una serie possono garantirsi un reddito di sopravvivenza. Cosa che non vale per le star, evidentemente, ma la novità è che le star hanno aderito in massa allo sciopero (anche perché sono, in gran parte, in America, iscritte al sindacato).

Dunque al momento di decidere se portare o no i loro film ai festival, se farli uscire o meno secondo convenienza i produttori hanno da chiedersi questo, prima: se i proventi che derivano dalle repliche in streaming, i cui dati sono quasi sempre e direi per questa ragione tenuti segreti, debbano essere appannaggio solo dei produttori o anche degli artisti: di chi il film, con il suo talento, lo scrive, lo dirige, lo interpreta.

Si direbbe una battaglia denaro vs arte. Comanda chi finanzia l’opera o chi la realizza?

Cosa è più importante per l’arte: la visione, il talento, il portafoglio. Serve tutto, certo.

Ma al fondo c’è sempre la questione di quanto sarebbe triste e inutile avere musei senza avere Picasso.