Come gli scrittori che scrivono le loro memorie, fare film sul fare film è un rito di passaggio per molti registi. Fellini lo ha fatto con 8½, Truffaut con Effetto notte, Godard con Il disprezzo e Fassbinder con Attenzione alla puttana santa. Più recentemente, Tarantino ci ha regalato C’era una volta a… Hollywood, Spielberg The Fabelmans, Michel Hazavanicius ha realizzato Final Cut e Damien Chazelle Babylon. Tutti questi film sul dietro le quinte sono accomunati dallo stesso tema: il cinema è un lavoro duro e stressante che pesa molto su tutte le persone coinvolte, soprattutto sui registi stessi. È certamente anche uno dei principali insegnamenti che si possono trarre dalla variazione sul tema, molto francese, di Cédric Kahn, Making Of, presentato in anteprima fuori concorso a Venezia.
Kahn è sia un attore (ha interpretato l’amante imbranato in Cold War di Paweł Pawlikowski) che un regista di talento, con una serie di lungometraggi di spessore che includono thriller di grande impatto come L’Ennui, Red Lights e The Prayer. All’inizio di quest’anno, ha presentato in anteprima a Cannes la saga storica Il caso Goldman, acclamata dalla critica. È sufficiente dire che di set cinematografici se ne intende e l’esperienza si manifesta in questo dramma scherzoso e realistico su una pellicola che sfugge al controllo fin dal primo giorno. Passando dal film in lavorazione – una storia grintosa e collettivistica di operai che prendono il controllo di una fabbrica dopo che l’azienda minaccia di trasferirsi all’estero – alle scene di ripresa dell’affannato autore cinquantenne Simon (uno svagato Denis Podalydès), Making Of fonde gradualmente e in modo piuttosto intelligente i due racconti in uno solo. Gli operai in sciopero del film iniziano a somigliare alla troupe di Simon, sovraccarica di lavoro e sottopagata, che alla fine deve decidere se rimanere per amore dell’arte o abbandonare.
Ciò accade alla fine della storia, quando il volubile produttore di Simon, interpretato dall’attore-regista Xavier Beauvois, lo informa che hanno finito i soldi. Il cast comprende anche gli attori-registi Emmanuelle Bercot (che interpreta la spietata produttrice di Simon) e Valérie Donzelli (che interpreta la moglie di Simon, che vuole divorziare). È una sorta di guida dei talenti francesi d’essai, ma Kahn li ha scelti bene. Tra le due trame sovrapposte il regista inserisce anche la nascente storia d’amore tra il regista in erba Joseph (il promettente Stefan Crepon di The Bureau), una comparsa che Simon arruola per girare il documentario sul “making of” del film, e l’attrice protagonista Nadia (Souheila Yacoub), le cui scene vengono continuamente rubate dall’insopportabile star Alain (un divertente Jonathan Cohen).
Kahn si destreggia con disinvoltura tra le varie trame e utilizza l’ambientazione della fabbrica come location principale, contribuendo ad aumentare la natura claustrofobica di una produzione che finirà per intrappolare Simon e il resto della sua équipe. Ma a differenza, ad esempio, delle teste calde di Hollywood de Il giocatore di Robert Altman o di altri film sul dietro le quinte non ancora citati, i personaggi di Making Of (tranne Alain) sono tutt’altro che cinici. Credono nel cinema e vogliono fare un film importante sulle lotte della classe operaia. La domanda diventa quindi: è possibile realizzare una pellicola di questo tipo senza sfruttare le persone e quindi fare la stessa cosa che il film dovrebbe denunciare? All’inizio, questo dilemma colpisce Simon in pieno quando i principali finanziatori si presentano il primo giorno di riprese, informandolo che vogliono cambiare il finale con uno più felice, che apparentemente esisteva in una precedente bozza della sceneggiatura. Simon, da vero autore, ovviamente rifiuta, ma mentre la produzione si trascina e sorgono altri problemi, è tentato di cedere solo per salvare dalla rovina il suo film, anche se questo potrebbe rovinarlo.
Making Of si pone molte domande difficili senza mai dare una risposta esauriente – non vale la pena di svelare il finale, ma diciamo solo che alcuni potrebbero considerarlo una scappatoia – e Kahn sembra aver realizzato il film solo per porsi tali domande apertamente. Il paziente ma esausto Simon è chiaramente un surrogato del regista e, mentre assiste al disfacimento delle riprese, giura che sarà la sua opera ultima. Sembra quasi che Kahn abbia girato Making Of come un esercizio di auto-aiuto per poter finalmente eliminare questi pensieri dal suo sistema e continuare a girare film.
Traduzione di Pietro Cecioni
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