L’eterno addio del maestro Miyazaki? È una battaglia senza fine di linee, colori e passioni

Dopo aver annunciato il ritiro nel 2013, il Maestro dell'animazione Hayao Miyazaki è tornato sui suoi passi. Il 14 luglio uscirà in Giappone il suo nuovo film, How do you live?, atteso in Italia alla fine dell'estate

Nei film di Hayao Miyazaki c’è tutta la sua vita. Ci sono la guerra e la disperazione, c’è la voglia di rialzarsi e di andare avanti, c’è l’amore per gli altri e per sé stesso, e c’è la passione per l’aviazione. C’è, poi, sua madre: incarnata nei tanti personaggi femminili che Miyazaki ha raccontato nel corso del tempo. Non c’è, invece, suo padre: come nella vita vera, la sua assenza si fa notare. Miyazaki ha usato i suoi film per raccontare il mondo, per concentrarsi sul grande disegno, e per provare a fotografare il dettaglio più piccolo.

Nelle sue mani, l’animazione ha assunto un’altra consistenza. Con Isao Takahata, tra i membri storici dello Studio Ghibli, ha visto una nuova strada, e ha deciso di percorrerla. Non si è mai abbandonato all’idea disneyana di star facendo il lavoro più bello del mondo: Miyazaki ha sempre sofferto, si è sempre impegnato in prima persona, e non ha mai lasciato nulla di intentato.

I temi del cinema di Miyazaki

I suoi film sono stati costruiti durante mesi, a volte anni interi. Sono sfide, più che progetti creativi. Sono vere e proprie battaglie di linee, battute e colori. Non feste di buoni sentimenti e speranza. Miyazaki, come suoi tanti contemporanei, ha cercato di dire qualcosa attraverso il suo lavoro. Di dare una forma definita, e definitiva, ai suoi pensieri e alle sue convinzioni.

L’antimilitarismo, l’importanza del pianeta e del nostro rapporto con la natura; la paura e l’insofferenza per il nucleare, la voglia costante degli uomini di distruggersi a vicenda; l’utilizzo, spesso sbagliato, che facciamo delle cose che ci circondano. E poi, in un sostrato più nascosto ma non per questo meno importante, l’infanzia, il rapporto con gli altri, con i propri genitori, l’ingenuità – paradossale, sì – degli adulti e la maturità inconsapevole dei bambini.

Miyazaki ha rivoluzionato il cinema mondiale, e l’ha fatto rimanendo sempre nel suo studio, a Tokyo, allontanandosi solo occasionalmente per visitare i musei europei, l’Italia e per ritirare premi alla carriera. Non è un uomo semplice o accomodante. Il rapporto difficile e turbolento con suo figlio Gorō ne è un chiarissimo esempio. Non riesce a non giudicarlo, a non tenerlo costantemente sotto pressione. Ci sono delle sequenze, in certi documentari, dove Miyazaki prova a leggere gli storyboard del prossimo film del figlio per correggerlo.

Forse è la storia che si ripete. Forse, non essendo riuscito ad andare particolarmente d’accordo con suo padre quando era più piccolo, Miyazaki ha gli stessi problemi con suo figlio. Chi lo sa. Con sua madre, al contrario, ha avuto un altro tipo di relazione. E tratti del suo carattere – così forte e determinato, anche se piegato dalla malattia – si possono ritrovare ovunque.

Nell’eroina coraggiosa, nella donna anziana e matura; in chi offre consigli senza chiedere nulla in cambio. Miyazaki non ha mai usato i suoi film per analizzarsi o per processare la sua vita. Se l’ha fatto, l’ha fatto senza pensarci. Perché sono un’estensione di sé stesso, come dicevano. Come un terzo braccio o un’altra testa. E dunque contengono estremi e opposti, sfumature più o meno grigie e colori più o meno pieni.

Il produttore Toshio Suzuki e Hayao Miyazaki in una scena de Il regno dei sogni e della follia

Il produttore Toshio Suzuki e Hayao Miyazaki in una scena de Il regno dei sogni e della follia

Il ritiro. O forse no.

Con Si alza il vento (2013) aveva annunciato il suo ritiro: dopo questo, basta. Nei momenti immediatamente precedenti alla conferenza stampa, Miyazaki si muoveva poco, stringeva tra le dita un foglietto con alcune indicazioni, e guardava fuori da una finestra. Era silenzioso. Sembrava convinto. Successivamente, è tornato sui suoi passi e ha deciso: farò ancora un film, e questo sì, sarà l’ultimo. Si chiamerà How Do You Live?, e sarà liberamente ispirato al romanzo di Genzaburo Yoshino.

Nel corso del tempo, la carriera e la produzione film di Hayao Miyazaki hanno seguito un andamento preciso: non prevedibile, attenzione; ma facilmente, per chi lo conosce, leggibile. I suoi primi film, fatta eccezione per Il castello di Cagliostro, parlavano di mondi post-apocalittici, dove la guerra aveva distrutto la civiltà. C’era il cielo, e quindi c’era la sua grande, grandissima passione per il volo. Ma i personaggi, compresi quelli più piccoli, avevano una maturità consumata, tipica di chi ha visto qualunque cosa (la morte, per esempio). Poi, andando avanti, al suo tono si è aggiunto uno strato di delicatezza: le cose venivano dette, ma con un’altra cautela.

E una consistenza quasi favolistica, addirittura onirica, finiva per avvolgere la storia. Con Si alza il vento, è ritornato un tono serio, più definitivo, e lo stesso, con buone probabilità, succederà anche con How Do You Live? (l’uscita in Giappone è prevista per il 14 luglio; poco dopo, probabilmente tra agosto e settembre, dovrebbe arrivare in Italia). Ma perché Hayao Miyazaki, dopo aver annunciato il suo ritiro, ha deciso di ritornare sui suoi passi? Probabilmente, per quello che abbiamo detto all’inizio: nei suoi film, c’è tutta la sua vita.

E un uomo così convinto e appassionato, con le sue idee e la sua visione, se vuole sentirsi di nuovo vivo può fare solo quello che ha sempre fatto. Nel caso di Miyazaki, si tratta di girare film, tornare dietro la scrivania e disegnare. Raccontando il mondo, certo, e raccontando soprattutto sé stesso.