Dante Alighieri, professione proto-regista. Così il padre della lingua italiana ha nobilitato il cinema (anticipando le grandi saghe)

L'Inferno del 1911 della Milano Films, tratto dalla Divina Commedia, cambiò la storia della settima arte. Una produzione ponderosa: dal numero delle comparse alla pubblicità per le strade fino alla lunghezza della pellicola. Che noi ricordiamo in occasione del Dantedì, che cade ogni 25 marzo

Incredibile come, nell’epoca delle grandi saghe, non si sia mai pensato di realizzare un adattamento cinematografico della Divina Commedia di Dante Alighieri: 33 canti, 14.233 versi, l’epopea letteraria del padre della lingua italiana è una vera sfida per il grande schermo. Moderno, almeno. Navigando nella storia del cinema, tornando indietro ai tempi in cui la settima arte era ancora in fasce, tanto che non veniva definita tale, un esempio virtuoso di trasposizione è stato portato a termine, legittimando in Italia la scoperta dei fratelli Lumière tredici anni dopo la sua venuta alla luce.

La struttura della trilogia, poi, è insita di per sé nell’opera: Inferno, Purgatorio, Paradiso. Con tanto di giorno dedicato all’artista, il Dantedì in calendario ogni 25 marzo, giorno di partenza del viaggio dello scrittore/protagonista – un po’ come il Star Wars Day il 4 maggio (“May the Force be with you”). È pur vero che, come accade a buona parte delle saghe, il primo film potrebbe rimanere imbattuto, vista anche la complessità del tessuto narrativo e l’ambiguità dei suoi personaggi. E infatti è proprio L’Inferno della Milano Films il titolo preso in questione.

Ma non si potrebbe dire certo che le due pellicole successive mancherebbero di spunti e di zone d’ombra da poter indagare, tutto prima di poter uscire finalmente fuori a riveder le stelle. La verità, comunque, è la più semplice: benché la Divina Commedia sia bella che pronta di fronte a sceneggiatori arditi e registi vanagloriosi, la sua versione cinematografica migliore è già stata fatta. Ed era solo il 1911.

Divina Commedia, Inferno, inizio

La storia della Divina Commedia al cinema negli anni Dieci è seminale. Per prima cosa ha elevato il cinematografo non più a un mero intrattenimento, ma a autentico contenitore in grado di trasmettere pensiero critico e cultura, diventando a tutti gli effetti cinema narrativo. Secondo poi anticipò di tre anni il concetto di “colossal” incorporando in sé la natura delle grandi produzioni prima dell’avvento di Cabiria di Giovanni Pastrone del 1914.

L'inferno del 1911, tratto da La Divina Commedia di Dante Alighieri

L’inferno del 1911, tratto da La Divina Commedia di Dante Alighieri

Seppur ancora ancorato a un immaginario “d’attrazione”, tanto da risultare una versione amara e tetra delle magie di Georges Méliès, il film muto di Francesco Bertolini, Giuseppe De Liguoro e Adolfo Padovan fu il primo esempio di risultato intellettuale per il cinema, riconosciuto dalla stessa classe che tanto lo aveva bistrattato.

Un regalo per i 50 anni dell’Unità dell’Italia incarnati da un’icona risorgimentale come Dante Alighieri, con la prima che si svolse il 1 marzo 1911 nel prestigioso teatro Mercadante di Napoli, dopo che i registi avevano già maneggiato nel 1909 una sua variante ridotta. Ma ciò che ancor più attribuisce a L’Inferno un’aurea grandiosa è come la sua uscita fu anticipata da un film omonimo che si sbrigò ad essere pronto tre mesi prima della sua première.

Dante Alighieri, proto-regista

Una pellicola diretta da Giuseppe Berardi e Arturo Busnengo e prodotta dalla Helios Film di Velletri – in seguito anche dietro il “sequel” Purgatorio, sempre del 1911 – che fece di tutto per soppiantare l’ambiziosa uscita della rivale – e ben più nota – Milano Films.

Fino a quel momento nessuno si era avventurato in una produzione considerata da tutti abnorme per l’epoca, con 1000 metri di lunghezza di pellicola che corrispondono a circa un’ora e due minuti di durata e un rigore filologico per il racconto mai avuto prima. Dal 1907 al 1910, infatti, erano stati più i singoli canti o i soli personaggi ad aver preso piede sul grande schermo, con ben cinque opere dedicate a Francesca da Rimini, un paio su Pia de’ Tolomei e Il conte Ugolino del già nominato Giovanni Pastrone del 1909, proprio accanto a Giuseppe De Liguoro.

Entrambi L’Inferno traggono spunto dallo stesso bacino iconografico. Ovviamente, sopra a tutto, c’erano le illustrazioni di Gustave Doré, curate nel 1861 della Commedia. Ma bisogna tener da conto che lo stesso Dante Alighieri è stato considerato, tempo dopo, tra i primi proto-registi della storia. Abile nel descrivere scene, sentimenti e accadimenti così come si dovrebbe fare con la sceneggiatura di un film, disegnando dei quadri nella mente dei lettori, dettando con meticolosità cosa debba avvenire e riprendere il centro dell’obiettivo.

Scandalo, erotismo e grandiosità

Per colpire dritto nella curiosità degli spettatori, col mormorio attorno all’uscita del film che cominciò molto prima e contribuì a far velocizzare la pellicola di Berardi e Busnengo, la Helios Film puntò sull’eroticità ancora mai trasposta per il grande pubblico e che portò alla prima “scoperta” del corpo nel cinema. Nella loro versione del quinto canto di Paolo e Francesca, la donna mostra visibilmente un seno, evento mai avvenuto fino all’ora sullo schermo.

Ma nonostante lo scalpore che cercarono di suscitare, fu presto chiaro che il film di Bertolini, De Liguoro e Padovan non sarebbe stato da meno, con comparse lascive che facevano da sfondo agli affreschi dell’Inferno – immobili, scene statiche, proprio come litografie – che con panni leggeri calati addosso mostravano più di quanto l’occhio della camera avesse mai disvelato.

Sia dal punto di vista dei fisici dei suoi attori, sia dell’impiego di forze che torna a sottolineare l’ingente lavoro produttivo dell’opera del 1911. Sia per il tempo prolungato – e inatteso – della pellicola che le centinaia di persone chiamate al rapporto per riempire le sequenze, arrivando alla fattura qualitativa e costosa del progetto, che ne alzò spropositatamente i costi produttivi del periodo.

Dopo l’inferno

Un’attenzione testuale come se non era ancora vista nella proposta cinematografica del lavoro dantesco, accompagnato da una onerosa campagna pubblicitaria e dal rivestimento di intere città imbandierate col tricolore per elevare a valore nazionale la sua uscita.

L'inferno del 1911, tratto da La Divina Commedia di Dante Alighieri

L’inferno del 1911, tratto da La Divina Commedia di Dante Alighieri

Nessuno ci avrebbe più provato in futuro. O, semmai, nessuno ci sarebbe più riuscito. Soltanto l’omonimo L’Inferno del 1924 di Henry Otto, altra opera muta, avrebbe portato a termine l’impresa. Un film che mescolava all’epopea religiosa e etica di Dante il contrappunto letterario del Canto di Natale di Charles Dickens, dove un protagonista egoista e avido con gli altri vive un’esperienza infernale – letteralmente: scende nelle gole degli inferi danteschi – per poi risvegliarsi, accorgersi che è tutto un sogno e decidere di diventare un brav’uomo.

Un rimaneggiamento del testo originario, che è il massimo a cui ha ambito il cinema. Con chi, purtroppo, non ha potuto portare mai a compimento i suoi desideri, come Federico Fellini con Il viaggio di G. Mastorna, personale rivisitazione della Divina Commedia che, non andata a termine per i produttori che gli negarono la nudità per i dannati, ha poi frammentato i richiami danteschi spargendoli per tutto il suo cinema (dalle pubblicità di Amarcord alla marionetta di Ginger e Fred).

Chi, invece, lo ha adattato alla propria, di poetica, come il cammino finale nella pancia dell’inferno de La casa di Jack di Lars Von Trier. E chi ancora ha destinato l’adattamento a una dimensione diversa, televisiva, come Peter Greenaway e Tom Philips nella miniserie A TV Dante del 1990.

Dante Alighieri ai giorni nostri

Nel 2024, ad attenderci, è In the hand of Dante, tratto dal libro di Nick Tosches, che mischia due linee narrative tra il XIV secolo siciliano in cui il poeta si addentra per raccogliere materiale sulla sua opera e il 2001 in cui il protagonista – versione romanzata dell’autore – deve autenticare un manoscritto originale della Divina Commedia per conto di un’organizzazione criminale.

Un film con alla regia Julian Schnabel e su cui Johnny Depp ha messo le mani nel 2008 acquistandone i diritti. Una lunga lotta prima della produzione, in cui è entrato anche Martin Scorsese, con un cast stellare composto da Gal Gadot, Jason Momoa, Oscar Isaac e Gerard Butler.

Un’altro spunto, ma nemmeno uno, nemmeno un tentativo per prendere i tre canti della Commedia e farne la più stratosferica visione cinematografica contemporanea. Forse, chissà, prima o poi, qualcuno si ritroverà più di cento anni dopo a vagare per una selva oscura.