Laura Galán, la donna che sfida Barbie: “Grasso è bello”(sì, si può dire)

Al cinema dal 20 con Piggy, l'attrice spagnola, vincitrice del premio Goya, difende orgogliosamente i corpi fuori canone. "Vorrei che ‘grasso’ smettesse di essere un insulto tornando ad essere un aggettivo. Come ‘bruna’ o ‘con gli occhi castani’. Basta demonizzare i corpi diversi"

Quando si dice una sorpresa. Non solo il talento, che dopo anni di gavetta a teatro ha portato la spagnola Laura Galán nel 2018 sul set de L’uomo che uccise Don Quichote di Terry Gilliam – nel cast anche Adam Driver e Jonathan Pryce – e nel 2023 sul palco dei premi Goya, l’Oscar spagnolo, vinto come “miglior rivelazione” per il film Piggy di Carlota Pereda (in sala dal 20: lo stesso giorno di Barbie). Certamente l’aspetto: il corpo dichiaratamente fuori norma – ai confini dell’obesità nel film di Pereda, fuori canone nella vita – e quel volto da ragazzina che le permette di interpretare credibilmente un’adolescente, in Piggy, nonostante di anni ne abbia 37. 

Ma a sorprendere, di Galán, è soprattutto il carattere. L’ostinata volontà di non cedere al compromesso del politicamente corretto, che pure le favorirebbe occasioni, copertine e l’ipocrita notorietà riservata alle testimonial del “curvy”: “Per me il peso non è un problema. Sono sana come un pesce e bisogna dirlo – raccontava all’indomani del Goya – La gente si arroga il diritto di dirti che devi perdere peso per la tua salute, perché ti fa bene. Io sto benissimo. Inventatevi qualcos’altro, per non dover ammettere che non sopportate che le persone abbiano corpi diversi. Vorrei tanto che ‘grasso’ smettesse di essere un insulto e diventasse un aggettivo. Come ‘bruna’, o ‘con gli occhi castani’. 

Nata a Guadalajara da genitori lontani dal mondo del cinema (il padre, Teo Galán, è inserviente in un ospedale), e compagna del regista Patrick Bencomo, Galán è uno dei talenti europei più promettenti in circolazione:  “Sto finendo di girare una serie ambientata nel quindicesimo secolo, Beguinas – racconta a THR Roma –  e sta per uscire sia il film Tu madre o la mía, di Chus Gutièrrez, che la serie Zorras (da ieri sulla piattaforma spagnola Atresplayer, ndr)”.

La storia di Piggy ruota intorno al suo corpo. Come ne ha calibrato, insieme alla regista Carlota Pereda, l’esposizione? Intendo: quanto far vedere, come e perché.

Io non ho problemi a mostrare il mio corpo. Sono un’attrice e so che è il mio strumento di lavoro, soprattutto con un personaggio come questo. Era fondamentale che il mio corpo si vedesse completamente, era chiaro sia a Carlota che a me. Inoltre, personalmente, ne sono molto orgogliosa. Mi sono sentita sempre a mio agio. E Carlota ha un modo incredibilmente originale di filmare i corpi.

Ha detto di non aver subito episodi di bullismo, ma ha anche ammesso che il cinema non potrà mai riservarle il ruolo della “ragazza di cui si innamora il protagonista”. Il tabù del corpo “non conforme” è troppo radicato per superarlo?

È vero che le cose stanno cambiando, ma resta ancora molta strada da fare. I canoni di bellezza attuali esistono da troppo tempo ed è complicato cambiarli. Mi sono arrivati dei copioni in cui non si fa menzione del “tipo fisico” del mio personaggio, ed è una cosa molto giusta e positiva. Ma esistono ancora i cliché. Persiste la demonizzazione dei corpi percepiti come “anormali”.

Cosa si può fare?

L’unica cosa che possiamo fare è continuare a lottare e a parlarne. Perché se non si parla di una cosa, non esiste.

Laura Galán sul set di Piggy con la regista Carlota Pereda

Laura Galán sul set di Piggy con la regista Carlota Pereda

Come definirebbe il ruolo giocato dai social nel film? E lei cosa ne pensa? 

Penso siano un’arma a doppio taglio. Non sono del tutto negativi. Sono anche divertenti, se non gli dai troppa importanza. Io li uso quando mi va e come mi pare, non ne sono ossessionata. Ma per tanti sono un problema. I social possono trasformarsi in un attimo in un gigantesco megafono, nel bene e nel male. Prima i bulli giravano per strada, e la tua casa era un posto sicuro. Con i social, adesso, siamo perennemente esposti. Senza possibilità di fuga. Può diventare una situazione difficile da gestire.

Il teatro è più inclusivo del cinema. Che esperienza ha avuto sul palco?

In effetti ho fatto più teatro che cinema. Lo sento ancora come la mia casa. A teatro ho potuto interpretare personaggi impensabili per il grande schermo: è una libertà meravigliosa. Quando posso, ci torno. È la mia confort zone. Finirò il 2023 a teatro, con Animales de compañia di Fele Martínez. Sono molto contenta.

Quali sono i suoi modelli, ha delle attrici di riferimento?

Sembrerà scontato, ma Meryl Streep è la più grande, non si discute. In Spagna ammiro moltissimo Carmen Machi, che interpreta mia madre in Piggy, e Nathalie Poza. Mi sono d’ispirazione.

Cosa ricorda dell’esperienza con Terry Gilliam?

Fu il mio primo film e non lo dimenticherò mai. Come vivere tra le nuvole per tutto il tempo. Terry è un genio, ebbe una gran cura di me. Fu un’occasione unica stargli accanto e sentirsi partecipi del suo universo, della sua follia. Custodisco quel ricordo con molto affetto.

Conosce il cinema italiano? Le interessa? Sta cercando una carriera internazionale?

Sfortunatamente non abbastanza quanto vorrei. Ho visto i classici di Fellini, Pasolini e Visconti ma vorrei approfondire. Me lo sono data come compito. La carriera internazionale non la cerco. Desidero semplicemente continuare a lavorare come attrice, che è già complicato. Ma se dovesse arrivarmi una bella opportunità, a fare la valigia ci metto un attimo.