Adrien Beau presenta il suo film sui vampiri all’80esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, e non è il solo. Altri tre titoli hanno come protagonisti le creature della notte, a partire da El Conde di Pablo Larraín in concorso, passando per la balck comedy Vampiro umanista cerca suicida consenziente delle Giornate degli Autori, fino al En attendant la nuit di Céline Rouzet in Orizzonti.
Per il suo The Vourdalak, nella sezione della Settimana della Critica, Beau ha adattato il racconto La famiglia del Vurdalak di Aleksey K. Tolstoy, buttando un occhio alla contemporaneità e ribaltando il ruolo del vampiro fascinoso e attraente. Un film anti-patriarcato, un racconto moderno dall’ambientazione mistica, come le parole di un padre che annuncia ai propri figli il suo ritorno dalla battaglia in forma di “dannato”. Una profezia destinata a diventare realtà, messa in scena da pupazzi volutamente finti e posticci, fatti a mano dal regista.
Quando si è imbattuto per la prima volta nel racconto La famiglia del Vurdalak di Aleksey K. Tolstoy?
È avvenuto per caso. La produttrice, Judith Lou Lévy, voleva che realizzassi un film sui vampiri, così ho cominciato a leggere diverse storie. Tre giorni dopo la nostra conversazione mi ritrovo La famiglia del Vurdalak tra le mani in una libreria. Mi è piaciuto fin dall’inizio. Amo molto i racconti e le ambientazioni fantasy del XIX secolo, sono un grande appassionato di Edgar Allan Poe e di molti scrittori a lui affini. Li leggo da quando sono un adolescente e, all’epoca, erano gli unici libri che mi interessavano.
Cosa l’ha attratta di questi vampiri?
Il vampiro principale di The Vourdalak non è l’archetipo del seduttore aristocratico che vive in un grande castello con un mantello lungo e si innamora della fanciulla. Nel film è un vecchio patriarca. Un padre o un nonno come ne abbiamo tutti. Ed è elettrizzante, perché credo che il mondo si stia spostando da questa figura maschile conservatrice, che deve restare antica. Mi piaceva giocare con l’idea che i vampiri fossero uomini anziani vecchi e tradizionalisti.
Sta dicendo che The Vourdalak è un film contro il patriarcato?
Sì. A suo modo credo di sì. Il vecchio patriarca che cerca di dominare è un problema con cui ci dobbiamo confrontare ancora oggi, ma i tempi stanno cambiando e hanno acquisito sempre più spazio le donne, i giovani, le minoranze e le persone queer.
Ha dovuto apportare delle modifiche al testo originale per arrivare al risultato?
L’adattamento ha richiesto tempo. La storia originale era più misogina, bisogna ammetterlo. Questo ci ha portato a distruggere la narrazione e a ricrearla come un puzzle. Abbiamo tenuto praticamente tutto, modificandone la forma. Nel libro, ad esempio, è la giovane Zdenka a credere che il padre stia ancora bene o a mostrare di più le proprie emozioni. Abbiamo rivoltato il personaggio mantenendo lo spirito letterario e magico della foresta in cui si svolge il racconto, facendolo diventare un film anti-patriarcato.
Un’immagine che sovverte molto quella del vampiro affascinante che citava prima. Restano però creature che continuano ad attrarre, non trova?
Guardiamo a Venezia80, quest’anno ci sono ben quattro film sui vampiri. È pazzesco. Per me la fascinazione arriva dalla passione per il disegno e la scultura, nonché dal trovarmi più a mio agio nel maneggiare storie e personaggi in costume o con scenografie che trasportano in altri tempi o mondi. Non mi ci vedo a raccontare di persone che indossano jeans e maglietta e guidano una macchina.
Quindi non le dispiace non essere l’unico regista con un film sui vampiri?
Affatto, lo trovo fortissimo. Quando ti piacciono cose come i mostri o i vampiri hai sempre la sensazione che gli altri ti credano infantile. Se non ci fossero stati gli altri tre film probabilmente mi sarei sentito solo. Così è più bello, è come avere degli amici.
Ha preso ispirazione, in qualche modo, da Barry Lyndon? The Vourdalak lo ricorda per alcune scelte, vampiri a parte.
È un film che ho visto da giovane ed è normale che abbia esercitato un’influenza. Ma se devo trovare un riferimento più calzante direi che l’ispirazione prima, soprattutto per il marchese di Versailles, è stato Il Casanova di Federico Fellini, un uomo con la parrucca sempre cattivissimo con le donne, pieno di sé, ma che in realtà è profondamente codardo.
In The Vourdalak i vampiri non sono fatti in CGI, né con altri effetti visivi. Come mai?
Non sono tipo da digitale. Gorcha era un pupazzo. C’era la mia mano nella sua testa. Praticamente era come Kermit la rana. Volevamo un effetto scadente in un film moderno. Un’atmosfera da pellicola che risultasse antica, come un manufatto sepolto e ritrovato.
Ma perché proprio dei pupazzi?
Tutto è nato durante la scrittura del film. Tre anni fa mia madre era malata. Ricordo che una mattina andai nella sua stanza e la trovai senza vita. Non era più la stessa. Avevo come la sensazione che fosse solo un involucro, ormai. Come guardare una sua foto o una scultura. Forse un ritratto, ma sicuramente non lei. Mesi dopo realizzai che Gorcha non poteva essere interpretato da un attore. Sarebbe stata una scelta facile, noiosa. Non volevo nemmeno la CGI o degli effetti animati, ci sarebbe stato qualcosa di molto realistico, ma in fondo incredibilmente finto. Avevo bisogno di qualcosa di materiale, che dichiarasse apertamente di essere falso, ma fosse comunque in grado di restituire un’emozione. Così ho creato Gorcha con l’argilla, ho fatto lo stampo e, infine, l’ho dipinto.
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