Ricordando Adriano Aprà, la sua versatilità, la sua avventura intellettuale: critico, storico, attore, regista, direttore di festival, persino proiezionista

Maestro della critica con la 'm' maiuscola, ha insegnato a tutti noi che poteva esistere una pedagogia dello spettatore. Dai "critofilm" ai leggendari incontri con grandi autori (Godard, Pasolini, Olmi...), al protagonismo nei cineclub e in tanti festival, fenomenologia di un uomo impossibile da incasellare

È difficile accettare la morte quando si è avuta un’avventura intellettuale come quella di Adriano Aprà, la cui attività di storico e critico del cinema è continuata fino all’ultimo. Forse anche negli ultimi giorni in cui era ricoverato in ospedale. Ciò non ci è dato sapere, ma è nello stile del personaggio poterlo pensare.  Ovviamente è riduttivo incasellarlo in tali categorie o meglio professioni “ragionanti”, come le chiamava Tullio Kezich.

Didatta nato, malgrado altri, perciò Maestro (scritto con la m maiuscola), Aprà ha travasato il suo modo di interpretare il cinema nell’atto di guardare prima i film. In questo ha insegnato a molti che poteva esistere una pedagogia dello spettatore. Nello specifico anche critico. Non a caso aveva rispolverato in una propria e originale declinazione la possibilità di fare critica attraverso video che chiamava critofilm. Che altri non erano che un’estensione tecnologica della critica orale praticata negli anni ’70. Qui l’estensione si trova nei cineclub e nei festival, che hanno visto Aprà protagonista in prima persona nella direzione di alcuni di essi.

I racconti delle interminabili e disfunzionali discussioni con compagni di strada come Enzo Ungari e Marco Melani nei suoi ricordi erano ormai diventati leggenda. Si assistette come testimone di un’applicazione “postuma”  di tale metodo a San Giovanni Valdarno, proprio a proposito di Melani. Allorquando Alberto Grifi intrattenne per una nottata intera Ghezzi, Aprà, tutti e due stranamente silenziosi come altri presenti a quell’incredibile dialogo monologante.

Leggendari al pari dei suoi tanti incontri: Godard, Pasolini (commovente sentire l’amico di una vita Piero Spila rammentare il ticchettio della macchina da scrivere “dolcemente pestata” dal poeta di Accattone nel corridoio della casa di Via Eufrate riporta al periodo di Cinema & Film, parafrasi pasoliniana della langue et parole di Saussure) e poi Bertolucci, Bellocchio, Olmi e ancora tutti i registi del cinema underground americano e in ultimo i cineasti catalogati in Fuori Norma. Ma, su tutti Rossellini. Mentre, una fascinazione per Antonioni gli è appartenuta nell’ultimo decennio.

Adriano Aprà al photocall de Il viaggio del crepuscolo a Venezia 78

Adriano Aprà al photocall de Il viaggio del crepuscolo a Venezia 78

Interessante sarebbe seguire anche il filo di una possibile storia sentimentale dei film amati da Aprà intrecciandoli alla versatilità con cui ha affrontato quasi tutti i mestieri del cinema. Non fermandosi solo allo studio, ma facendosi attore, regista, direttore di festival, alla necessità persino proiezionista. Qui si va nell’aneddoto e nelle disquisizioni sui formati dei film e sull’incapacità di alcuni di proiettare i film nei formati esatti.

Tra gli amici di Aprà e a suscitare l’incontro di chi sta scrivendo con lui è stata la figura di Marco Melani, al quale il sottoscritto ed Enrico Ghezzi nell’ormai lontano 2003 dedicammo una retrospettiva e un libro, Il viandante ebbro, che grazie anche ad Aprà a leggerlo oggi risulta essere una biografia per procura di cos’era il cinema negli anni settanta e ottanta del secolo scorso. Questa collaborazione introduce un discorso che, non per celia, si fa personale. Perché per una quindicina di anni s’instaurò con Aprà una collaborazione editoriale che produsse molto in termini di resa intellettuale e critica.

Del libro su Melani si è detto, l’anno dopo ci fu l’incontro pubblico con Ligabue, del quale in un articolo sul cinema italiano per Trafic, la rivista di Serge Daney,  aveva lodato Radio Freccia. Da lì la chiamata a scrivere un ampio ritratto critico per Il cinema di Luciano Ligabue, l’unica monografia sui film della rockstar emiliana.

Tutti i libri finora e successivamente citati appartengono alla collana Viaggio in Italia, dal sottoscritto diretta e ormai chiusa, della casa editrice alessandrina Falsopiano. Fu un periodo di grandi e ambiziosi progetti e si sa che quando l’ambizione si fa troppo grande si finisce per fallire e un “Rossellini documentato” in più volumi che avrebbe visto la partecipazione di studiosi del calibro di Alberto Farassino, Virgilio Fantuzzi e Lorenzo Pellizzari (ahinoi passati ai più) rimase solo su carta. Tuttavia un primo convegno si ebbe all’Università di Pavia. Purtroppo senza la presenza di Farassino.

Però da lì nacquero due volumi, editi tra il 2005 e il 2007: Stelle e strisce. Viaggi nel cinema Usa dal muto agli anni ’60 e soprattutto l’attesissimo In viaggio con Rossellini. Con in mezzo il fondamentale contributo a Pasolini sconosciuto: Pasolini (quasi) da vicino. Poi ci fu una lunga pausa servita però a convincerlo, lui che non voleva più scrivere (viene da ritenere che da questa decisione nacquero i critofilm e successivamente le iniziative legate a Fuori Norma) a sposare un nuovo progetto.

Finalmente avere e scritta da Aprà una storia del documentario. L’occasione si realizzò nel 2017, attraverso il sostegno dell’allora festival Le voci dell’Inchiesta, oggi Pordenone Docs Fest,  con l’invenzione longhiana della Breve ma veridica storia del documentario.