Le storie al centro, sì, ma anche il mercato: gli sceneggiatori hanno bisogno di conferme (e, soprattutto, di tempo)

Il 13 dicembre, nell'ambito della premiazione dei vincitori del premio Solinas 2023, si è tenuta una tavola rotonda sull'importanza dei racconti e il ruolo chiave di chi li scrive. Un mestiere sotto attacco, che non sembra avere le sicurezze raggiunte dai colleghi oltreoceano dopo gli scioperi

Il 13 dicembre sono stati premiati i vincitori del premio Solinas 2023. Tra i più prestigiosi riconoscimenti per le giovani promesse della sceneggiatura italiana, i finalisti si sono ritrovati a Casa Dante, nel quartiere esquillino di Roma, per scoprire quale fosse lo script che aveva convinto di più i selezionatori, sperando in un primo passo luminoso per un futuro nell’industria audiovisiva italiana. Peccato che, prima della consegna dei premi, si è tenuta una tavola rotonda dal titolo “Le storie al centro”, che tutto aveva nelle sue intenzioni, tranne che dare speranza ai contendenti.

Le questioni messe in ballo sono più che corrette, ma è percepibile un certo sconforto verso il mercato di un cinema che presenta esempi felici nella sua recente stagione artistica – sbagliatissimo parlare di rinascita del cinema italiano nel 2023, quando la sua creatività è fortunatamente un dato di fatto; che questa venga poi premiata o elogiata, è un altro conto – eppure troppo pochi rispetto ai tanti che vorrebbero banchettarci sopra. Perché, pur essendo il cinema un mestiere che si fa in condivisione, è pur vero che non vige la premessa del “aggiungi un posto a tavola”, che quell’amico in più potrebbe sottrarti la sedia.

Ovviamente, quando si tratta di scrivere storie, ancor più che dirigerle, il paio di maniche è tutt’altro ancora. Se il o la regista, quando finalmente raggiungono un certo riconoscimento, possono andare avanti forti del loro nome, per ricordare gli sceneggiatori sembra si faccia uno sforzo immane. Lo è per il pubblico generalista, certo, ma non bisogna essere troppo sicuri che ciò non accada anche con appassionati o addetti ai lavori.

È per questo che, durante il convegno, la parola “tempo” si è ripetuta spesso. C’è bisogno di tempo, dobbiamo avere più tempo, non c’è più tempo. Il tempo è l’unica componente che, come in molti mestieri, fa il risultato. Perché anche scrivere è un lavoro, nonostante molti non l’abbiano mica capito.

“Avevamo paura di non fare in tempo. Paola sapeva che voleva un film che parlasse di donne, ma il soggetto è venuto fuori dopo cinque mesi. Poi, piano piano, è arrivata l’intera storia. È un film che parte dal passato per raccontare il presente”. A parlare è Giulia Calenda, sceneggiatrice del C’è ancora domani della titanica Cortellesi, scritto insieme anche a Furio Andreotti.

E quei cinque mesi sono stati fondamentali. “Paola sapeva che saremmo riusciti a fare tutto. Il bianco e nero, i balletti che mettevano tanta paura alla produzione, il fatto di dirigere e interpretare la storia. Voleva un film che fosse forte, diverso. E l’unico modo affinché gli sceneggiatori possano tirare fuori racconti originali, è far capire agli investitori che serve del tempo”.

Questione di tempo

Come molti, ma forse più di altri, gli sceneggiatori nel mondo del cinema e dello spettacolo sono costretti a raccapezzarsi su più e più lavori insieme. Non è avarizia, è cercare di arrabattarsi perché non tutti i prodotti pagano come dovrebbero. “Non è facile mantenere la concentrazione quando si deve scrivere il soggetto di una serie di qua, le altre puntate di uno show dillà. Non è così che si materializza in mente un’opera inedita. È difficile, non trovate?”.

Il quesito di Calenda riecheggia in una sala in cui, la maggior parte delle persone che stanno ascoltando, lo fanno perché nel futuro (che sperano essere prossimo) si possa realmente riuscire a trovare quel tempo necessario per rendere le loro storie spendibili e originali. “Questo è stato un grande privilegio, perché abbiamo avuto un anno per lavorare al soggetto e alla sceneggiatura – prosegue su C’è ancora domani – Quindi l’invito che faccio è di saper osare. L’algoritmo sa cosa va bene nel momento presente, non sa cosa succederà domani. Non lo sapevamo nemmeno noi. È per questo che i produttori o chi per loro devono fidarsi”.

Fidarsi di un mestiere che sta “dietro le quinte”, ma i cui partecipanti tengono a galla l’intero sistema dell’intrattenimento cinematografico e seriale. Una lotta, su chi scrive e la loro tutela, che negli Stati Uniti è costata 146 giorni di sciopero a Hollywood da parte del sindacato degli sceneggiatori (WGA) e 6,5 miliardi di dollari persi, per il raggiungimento di un contratto e relative garanzie che ne regolamentano il lavoro, facendo tornare “la penna” centrale nel processo di creazione.

Maggiore trasparenza sui risultati degli show a cui si è partecipato, equi compensi e, soprattutto, contenimento dell’uso di intelligenze artificiali. Direttive essenziali su cui 100autori sta cercando di disciplinare. Lo afferma Stefano Sardo, professione sceneggiatore.

“Stiamo lavorando poiché a tutti vengano garantite l’indipendenza e la libertà adeguate. I risultati raggiunti dai colleghi americani sono incoraggianti e i primi dati rilasciati da Netflix ci dimostrano che serie italiane come Questo mondo non mi renderà cattivo di Zerocalcare e il fenomeno di Mare Fuori sono in grado di toccare numeri impressionanti. Il problema è che le assicurazioni per cui hanno scioperato gli sceneggiatori oltreoceano vengono ritenute assurde o vessatorie da buona parte dell’industria europea. Noi, in quanto 100autori, stiamo reagendo anche in maniera legale, sperando di poter cambiare in meglio la vita degli sceneggiatori”.

Dati, produttori e C’è ancora domani

Alla presidenza di 100autori dal 2017 al 2023, principale associazione dell’autorialità cinetelevisiva italiana (di cui, attualmente, è in carica Francesca Comencini), Sardo osserva come la centralità delle storie sia importante, ma inutile senza la regolamentazione del mercato: “In questo momento è sempre più vitale perché siamo un mercato maturo, abbiamo dei numeri interessanti all’estero, come dimostra la proiezione dei dati a livello europeo. È verso ciò a cui dobbiamo tendere a beneficio di tutti, risolvendo il problema del ricevimento corretto della direttiva in modo tale che anche i produttori possano guadagnare dalle storie che producono, così come anche noi possiamo guadagnare dalle storie che abbiamo scritto”.

Preoccupazioni giustificate alla luce della possibile legge di bilancio “che cambierà un po’ questa stagione ricca che si è conclusa ora”. Prosegue Sardo: “La verità è che abbiamo avuto la sensazione che i soldi non siano andati nella direzione giusta. Siamo felici che la produzione sia aumentata e che in molti abbiamo tratto dei risultati dai 300 e più titoli prodotti. Ma di pochi si ha la sensazione, quando li si guarda, che si sia fatto ciò che si aveva in mente”.

Una considerazione alla luce del C’è ancora domani citato precedentemente: “Il film di Paola Cortellesi è andato bene perché si capisce che Paola Cortellesi ha fatto ciò che voleva. C’è un coraggio editoriale pieno di realismo, di musical, di bianco e nero: tutti elementi che fanno esplodere qualsiasi papabile produttore. Giulia, Furio e Paola si sono divertiti a immaginare. Ma il margine di manovra che spesso si ha non permette di poter realizzare ogni volta ciò che vogliamo”.

E se chiamati, i produttori rispondono. Come Alessandro Amato, che nel 2022 ha viaggiato sulla scia del successo di Margini, opera di Niccolò Falsetti e presentato in anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia, sezione Settimana della critica. “Credo che uno dei motivi di questo distaccamento tra originalità e industria sia il gap generazionale ancora galoppante”, spiega Amato, responsabile della casa di produzione Dispàrte insieme a Luigi Chimienti, età 36 anni.

“Io dovrei sentirmi già vecchio, invece vengo ancora considerato un giovanissimo produttore – per non parlare del fatto che non sempre vengo considerato. Sono convinto che se il gap generazionale venisse colmato risolverebbe molti altri numerosi gap della nostra industria. Questo si rifletterebbe sulle storie che vengono scritte, quelle che vengono scelte, sui linguaggi da utilizzare e sul dove investire”.

Un’ottima speranza, vista soprattutto la premiazione per il Solinas e l’augurio di prosperità e inclusione all’interno di un mestiere che possa diventare più solido e stimolante nel futuro. Di certo gli obiettivi sono decisi e si spera in risultati rassicuranti. Sarà però da vedere se e come i vari principi verranno applicati. E, ancor più, quanto dell’ingrediente segreto, il tempo, servirà affinché ciò si avveri.