Il paradosso temporale delle serie tv: nell’era della frammentazione si allungano sempre di più

Potrebbe apparire un controsenso nell'epoca della "tiktokizzazione" di ogni narrazione: il format della serialità aperta è preferita dalla Gen Z, con i personaggi che diventano amici più che idoli, con cui condividere esperienze e percorsi di vita. Gli adulti preferiscono le storie compatte e autoconclusive. E intanto le timeline si estendono all'infinito, e il numero delle produzioni si triplica. Ma all'orizzonte c'è un problema...

Lo chiamano il paradosso temporale delle serie tv. In un mondo che corre sempre di più verso il formato breve e brevissimo, tikitokitizzato da contenuti essenziali, rapidi e immediati, l’intrattenimento ed il racconto seriale vanno nella direzione opposta: allungamento assoluto. Più tecnicamente è definita come “serialità aperta”: è il formato preferito dalla cosiddetta Gen-Z. I personaggi diventano idoli, amici con cui condividere esperienze e percorso di vita. Un atteggiamento meno condiviso dal pubblico più adulto che, sentendosi probabilmente orfano del cinema, dimostra invece di prediligere le miniserie, caratterizzate da storie compatte e autoconclusive.

Robin Wright e Kevin Spacey in una scena di House of Cards 3

Robin Wright e Kevin Spacey in una scena di House of Cards 3

Ma pur sempre serie, per tutti, come confermano i dati. Secondo uno studio commissionato da Fx Content Research, network televisivo americano recentemente acquisito dal gruppo Disney, il numero di sceneggiature originali in lingua inglese prodotte nel 2022 è stato di 599, quasi tre volte tanto quelle prodotte nel 2009. Addirittura 200 in più di quelle uscite nel 2013, anno in cui debuttò House of Cards, la serie politica più vista di sempre.

Fame di serialità

I fattori che hanno contributo a incrementare questa “fame di serialità” sono molti: sicuramente la modalità di fruizione, le piattaforme streaming, che permettono allo spettatore di decidere liberamente cosa vedere e quando, svincolandosi dalla scansione temporale tradizionalmente imposta dal palinsesto; così come la qualità dei prodotti di questo genere, sempre meno fiction, meno telefilm, sempre più cinema d’autore. Dalla regia, alla scenografia alla fotografia, tutto è curato nel minimo dettaglio. Le sceneggiature, soprattutto, sono cariche si sfumature e sottotesti, avvincenti e dense di contenuti.

Non è un caso che molti tra i più importanti registi internazionali – Martin Scorsese, Steven Spielberg, David Fincher o il nostrano Paolo Sorrentino, per citarne alcuni – abbiano accettato la sfida di di apporre la loro firma su questo genere di opere. L’ultimo, per acclamazione, Tim Burton con Wednesday. Ma quello che più convince il pubblico sono i personaggi, che hanno caratteristiche di facile presa sul telespettatore.

Per gli adulti: la casalinga frustrata, il padre di famiglia in crisi, la donna in carriera in lotta contro il mondo. Non più eroi positivi che combattono le ingiustizie, ma donne e uomini comuni con problemi comuni, con i quali il processo di immedesimazione sembra avere, oggi, una presa ben maggiore che nel passato.

Le serie e la dinamica streaming

E così funziona soprattutto con le giovani generazioni, più abituate degli adulti alla comunicazione in rete: Instagram, Tik-Tok sono sì social network, ma soprattutto strumenti di dialogo, aggiornamento e divulgazione, dove si ascolta tutti e si parla a tutti. Lo streaming entra in questa dinamica: mette in comunicazione il giovane spettatore con il protagonista di una storia, che diventa un vero e proprio compagno con cui condividere un percorso di crescita e maturazione.

Giancarlo Commare e Benedetta Gargari in una scena di Skam Italia

Giancarlo Commare e Benedetta Gargari in una scena di Skam Italia. Netflix

Caso scuola è Skam Italia un dramma adolescenziale che narra le storie di una decina di liceali romani. L’uscita della prima serie aveva fatto impazzire i coetanei dei protagonisti che parlavano dei personaggi come fossero amici di lunga data: con loro evolvevano, cambiavano, crescevano. E come le serie per adulti, i personaggi erano giovani comuni: persone normali, fatte di paure e di silenzi, che vanno a scuola con il dizionario di latino sotto il braccio e prendono l’autobus perché non hanno la patente.

Caratterialmente complessi, affrontano (con delicatezza) tutte quelle nuove esperienze che fanno parte della vita di un qualunque adolescente: la scoperta dell’amore, dell’amicizia, dell’omosessualità, affrontano la complessità
dell’integrazione in un’Italia ancora reticente.

Visioni bulimiche di serie tv

Dunque, quando scatta la scintilla, è impossibile non restare incollati davanti al piccolo schermo per sapere “come va a finire”. Un atteggiamento così comune da essere diventato un vero e proprio fenomeno: si chiama binge watching, è definito come una visione bulimica dei contenuti televisivi, che spinge lo spettatore a guardare un prodotto per molte ore continuativamente, senza interruzione, tutti gli episodi di una o più stagioni di una serie. Serie che però è costata anni di lavoro e milioni di dollari di investimento, e che oggi non solo viene consumata anche in meno di 24 ore, ma che sembra dover anche fare i conti anche con il diverso atteggiamento delle major cinematografiche.

Dai primi anni 2000, quindi dall’esordio delle piattaforme streaming, l’obiettivo delle case di produzione era quello di rendere le serie tv oggetto di discussione e curiosità: nuovi spettatori equivaleva a nuovi abbonati. Si dovevano produrre
sceneggiature di grande qualità e successo, che venissero apprezzate dalla critica e vincessero importanti riconoscimenti e premi. Costasse quel che costasse, letteralmente.

La crisi della qualità

E’ così che la produzione di un singolo episodio di Breaking Bad, per esempio, è arrivata a costatare 3 milioni di dollari, aggiudicandosi però 2 premi Golden Globe, 1 BAFTA, 3 SAG Award e altre 13 nomination. Molto simile anche il fenomeno Succession: 90 milioni, secondo The Guardian, è stato il budget per le prime due stagioni, 8 i premi ricevuti (5 Golden Globe, 2 BAFTA, 1 SAG Award), 8 le nomination.

Succession, quarta stagione

Succession, quarta stagione

Oggi però, dopo che per la prima volta nel 2022 lo streaming ha superato, per numero di spettatori, trasmissioni e TV via cavo, consolidando il successo della narrazione per serie e di conseguenza, della strategia di vendita utilizzata nell’ultimo decennio, le case di produzioni hanno cambiato modello economico. O meglio, sono tornate all’origine: alla ricerca del profitto. Con la conseguenza di vedere sempre meno produzioni d’autore e comunque di minore qualità: per un prodotto che convince e ha successo, le piattaforme streaming ne offrono almeno altre dieci dalla trama similare ma qualitativamente scadenti, utili come riempitivo per un catalogo altrimenti esausto.

E’ la ricerca di un equilibrio di mercato tra domanda e offerta. Finché gli azionisti non batteranno cassa.