La Biennale Arte si svela, si è stranieri ovunque

Il neo presidente Pietrangelo Buttafuoco: "Celebriamo la bellezza ai margini". Israele chiude "fino a quando non saranno liberati gli ostaggi a Gaza", si legge nel messaggio del direttore Adriano Pedrosa

Di THR ROMA

Un inganno, un tradimento di fiducia, all’origine della separazione tra popoli e luoghi diversi. È la storia di “kapewe pukeni” (il ponte-alligatore), il mito narrato dal collettivo indo-brasiliano del Movimento dos Artistas Huni Kuin (Mahku) nel murales di oltre 700 metri quadrati che copre la facciata del Padiglione Centrale ai Giardini realizzato per la Biennale Arte.

La 60ª edizione della Esposizione Internazionale d’Arte si svolgerà a Venezia dal 20 aprile al 24 novembre e si intitola “Stranieri ovunque”. L’opera del collettivo è un inno al colore, alle forme semplici di alberi, uccelli, pesci, terre unite da un gigantesco coccodrillo. In cambio di cibo il suo dorso veniva usato dagli uomini per passare da una terra all’altra, ma quando gli fecero mangiare un piccolo suo simile, l’alligatore si infuriò e si inabissò. Una sorta di metafora se si pensa alle persone che si trovano a dover fare i conti con il distacco dalle origini, con il sentirsi “straniero”, con l’essere al di fuori dagli schemi tradizionali di un’appartenenza nazionale o di genere.

Il direttore della Biennale Arte Adriano Pedrosa

“Migrazione” e “decolonizzazione” sono due delle parole chiave della mostra curata da Adriano Pedrosa, tra i Giardini e l’Arsenale. Questioni che parlano di parti del mondo, in particolare il Sud America, per lungo tempo ai margini della storia scritta da altri Paesi cosiddetti sviluppati.

L’esposizione che Pedrosa ha voluto sembra svilupparsi come un’unica forma organica, con varie diramazioni interne, a volte senza netti confini. Pedrosa ha scelto di articolare il tema attraverso i lavori di 331 artisti, in gran parte estranei ai complessi sistemi dell’arte contemporanea e presenti per la prima volta.

“Straniero ovunque” prende così forma, all’interno di due Nuclei tematici (Storico e Contemporaneo) con le opere che spaziano nel tempo e parlano linguaggi artistici di terre per troppo tempo lasciate ai margini, non euro-statunitensi, con molto tessile, pittura, scultura e poco digitale.

Pedrosa, primo curatore della Biennale Arte proveniente dal Sud America (Brasile) ha sviluppato un percorso che da rilievo ad artisti Queer, spesso messi al bando per il loro muoversi all’interno di più sessualità o generi, Outsider ai margini del mondo dell’arte, Folk o Popular, Indigeni, trattati come “stranieri in patria”. Tra quest’ultimi, molti gli esempi di legami familiari, di lavori di genitori e figli: ad esempio Fred e Brett Graham o Santiago e Rember Yahuarcani.

“Questa edizione della Mostra – rileva in un passo del suo intervento in catalogo il neo presidente della Biennale Pietrangelo Buttafuoco – ospita frammenti di bellezza marginalizzata, esclusa, punita, cancellata da schemi di geo-pensiero dominante”, evidenziando, tra l’altro, che Venezia “culla dolce di conoscenza e comunicazione tra popoli, etnie e religioni” è la piazza naturale “da cui smistare nuovi punti di vista e Fare Mondi, per dirla con un lessico qui di casa”.

“Stranieri ovunque — Foreigners Everywhere”

Ai Giardini e all’Arsenale accoglie i visitatori la scritta neon che da il titolo all’esposizione opera del collettivo Claire Fontaine. Una sala del Padiglione Centrale, all’interno del Nucleo Storico, è riservata agli artisti italiani che hanno operato all’estero, specie nell’America Latina. Tanti nomi sono noti altri meno conosciuti.

Muovendosi lungo un ideale percorso tra le due sedi, c’è solo l’imbarazzo della scelta per la varietà di lavori presentati, riuniti ad esempio in Ritratti (112 artisti per 39 Paesi) o Astrazioni (37 per 21 Paesi). Ampia la gamma delle opere e dei temi trattati. Suggestiva la sala con i De Pisis, i suoi nudini, in rapporto con i dipinti di Fratino e Khakhar, o di Giulia Andreani con la potente infinita carta di Madge Gill.

Ai Giardini c’è la tenda anatolica di Nel Yalter, il lenzuolo-sindone di Teresa Margolles con l’impronta di un giovane morto al confine tra Venenzuela e Colombia, il video di Alessandria Ferrini con l’incontro tra Berlusconi e Gheddafi, i dipinti e le carte di Aloise; all’Arsenale, le trapunte di Pacita Abad, Emma Whitehorse, Omar Mismar, Nour Jaouda.

Il conflitto Israele – Palestina

Sui nomi si sceglie ma i temi si rincorrono e sono legati strettamente alle declinazioni dare dal titolo generale. Ci sono anche punteggiature riguardanti la cronaca geo-politica. Su un gigantesco lavoro all’Arsenale compare la scritta “Viva Palestina” anche se parla di storie messicane. Così come su un video nella sezione speciale dedicata a Disobedience Archive, un progetto di Marco Scotini, in questo caso centrato sulla Diaspora e la disobbedienza di genere. Su un logo posto nella parte inferiore si chiede il boicottaggio del padiglione d’Israele.

Il padiglione resterà chiuso, per scelta del curatore e degli artisti, fino a quando non saranno liberati gli ostaggi a Gaza e in patria non ci sarà un cambiamento. Il padiglione russo è aperto solo perché ospitante la Bolivia.

I paesi alla Biennale Arte

Sul piano statistico, la 60. Esposizione Internazionale d’Arte registra la partecipazione di 87 Paesi, distribuiti nelle due sedi classiche dei Giardini e Arsenale e in ogni altra parte della città lagunare, oltre 30 eventi collaterali. Se il Padiglione Italia, con Massimo Bartolini, a cura di Luca Cerizza, è all’Arsenale, il Padiglione della Santa Sede, che torna per questa edizione, e all’interno del casa di reclusione femminile alla Giudecca. Leoni d’oro alla carriera a Anna Maria Maiolino e Nel Yalter, mentre gli altri premi saranno proclamati il 20 aprile nel corso della cerimonia d’inaugurazione.

(Ansaa)