Andrea Dodero: “Sul set di The Equalizer 3 ripetevo il monologo di Training Day a Denzel Washington”

"È il mio attore preferito, lo dissi già sei mesi prima di avere la parte in un'intervista: è scritto nero su bianco", racconta l'attore, passato dal giovane criminale di The Good Mother all'antagonista del premio Oscar per il film di Antoine Fuqua, dal 30 agosto in sala

Dall’ndrangheta di The Good Mothers alla “mafia unificata” di The Equalizer 3: Andrea Dodero continua a confrontarsi con registi internazionali, dal Julian Jarrold incontrato sul set della serie di Disney+, all’Antoine Fuqua di Training Day.

Ed erano proprio le battute del film del 2002 con Denzel Washington che il giovane attore, genovese classe ’97, ripeteva all’interprete premio Oscar sul set di The Equalizer 3. “Si metteva a ridere”, ricorda Dodero, ripensando ai giorni di lavoro dell’opera che lo farà sbarcare negli Stati Uniti e che arriva in sala in Italia dal 30 agosto.

È impossibile non partire da lì, da quel “Sta’ senza pensier” che sentiamo nel film, citazione famosa anche per chi non ha visto Gomorra. Le è stato detto se Antoine Fuqua e lo sceneggiatore Richard Wenk volevano omaggiare in qualche modo la serie tv italiana?

Non credo sia una citazione diretta. Il personaggio di Vincent, impersonato da Andrea Scarduzio, aveva bisogno di confrontarsi con Marco, che interpreto nel film. Deve mostrare che ha in mano le redini dell’organizzazione criminale, e a propria volta Marco vuole dimostrare di avere la forza e la veemenza per poter capitalizzare gli sforzi del fratello. Per questo Vincent, che riconosce il fuoco della giovinezza nel mio personaggio, guarda Marco e gli dice di stare tranquillo.

Crede che The Equalizer 3 riesca a raccontare un’Italia priva di cliché? Partendo dalla mafia che racconta, ad esempio.

Non ci sono riferimenti mirati alla mafia o a qualche altra organizzazione specifica. Pensiamo alle parole del personaggio di Remo Girone: non punta il dito contro una sola criminalità, ma la storia si rifà a un insieme di realtà di questo tipo. Lo stesso vale per i cliché di un’Italia che non cade nella macchietta, ma bisogna pur sempre tenere a mente che viene raccontata attraverso la storia di Robert McCall, un americano che arriva da oltreoceano e approda nel Bel paese. Trovo che l’Italia sia rappresentata in maniera molto pulita, asciutta, senza aspetti che non esistono e che solitamente vengono inventati.

Tra l’altro non è la prima volta che si confronta con un personaggio della criminalità organizzata: è stato infatti Carmine Venturino nella serie The Good Mother di Disney+.

È vero, ma i due personaggi si avvicinano solo per il tipo di linguaggio, perché Carmine a differenza di Marco di The Equalizer è una persona realmente esistita che sta scontando adesso la sua detenzione. Carmine era in bilico in un ambiente in cui non era certo il principe dell’ndrangheta, si è ritrovato in un vortice di atrocità mentre viveva una storia quasi alla Lancillotto e Ginevra con la figlia di uno dei boss più temuti. Marco Quaranta, invece, è un criminale rodato che non prova compassione e non si fa troppe domande, né su chi è, né su cosa fa.

È sicuramente una persona a cui piacciono i tatuaggi, di cui è stato ricoperto durante il film. Cosa pensava quando si guardava allo specchio?

Intanto che Maurizio Nardi è un truccatore meraviglioso. Mi ha spiegato tantissimo del suo mestiere e di cosa si cela dietro la cultura dei truccatori del cinema. Inoltre ha lavorato a Apocalypto (2006, diretto da Mel Gibson, ndr), il mio film preferito, quindi gli ho chiesto di svelarmi tutti i retroscena della produzione. È lui che ha scelto per Marco Quaranta i tatuaggi e grazie a lui, guardandomi allo specchio, riuscivo a credere in quello che dovevo fare, alle cose che dovevo dire e alla violenza che dovevo mostrare.

Un po’ come Robert De Niro davanti allo specchio in Taxi Driver?

Esattamente. Il concetto è quello.

Si è confrontato con lo specchio anche prima di girare la scena in cui va a muso duro contro Denzel Washington?

Mentirei se dicessi che non mi tremavano le gambe. Lo stesso è stato la prima volta che mi sono trovato sul set con Denzel. Il macchinista mi ha visto e mi ha detto: “Oh, chiudi la bocca”. È il mio attore preferito in assoluto, e non lo dico solo adesso che abbiamo lavorato insieme. Sei mesi prima di essere preso per The Equalizer 3 mi fecero un’intervista per Vanity Fair in cui mi chiesero chi era il mio attore preferito, ed io risposi Denzel Washington. C’è scritto, nero su bianco. Nelle pause tra una scena e l’altra gli recitavo il monologo di Training Day e mi ha raccontato che la frase “You want to go to jail or go home?” gliela aveva detta davvero un poliziotto anni prima.

Ha già nominato Andrea Scarduzio, che in un’intervista per THR Roma si è sfogato dicendo che in America ha trovato la vera meritocrazia, non come in Italia. È d’accordo col suo collega sul fatto che nel Bel paese lavorano sempre gli stessi attori, meglio ancora se usciti da programmi popolari?

In verità penso che anche in America, alla fine, i volti sono sempre dei soliti noti. Poi le condizioni sono diverse. Lì c’è un sindacato che tutela gli attori, ma credo sia visibile a tutti che, sul grande schermo, lavorano sempre gli stessi. In questi casi, poi, subentrano le proprie idee e l’esperienza personale, quindi posso comprendere quella di Andrea, pur non ritrovandomici completamente.

Anche perché per me, con The Equalizer 3, si è trattato della prima esperienza internazionale, pur non trascurando il lavoro fatto con Julian Jarrold, regista di The Good Mothers, già alla regia di The Crown. Sicuramente una produzione come quella di The Equalizer ha un budget più alto e per me è stata una scuola. Non dimenticherò mai Antoine che ci chiama dietro al monitor dopo ogni ciak per farci vedere cosa gli piaceva e cosa no, così da poterlo tenere o cambiare durante la ripresa successiva.

Ha citato il sindacato degli attori americani: cosa ne pensa dello sciopero che stanno attraversando? Deluso che non potrà esserci una promozione internazionale insieme all’intero cast?

Ci sono cose più importanti di un tour promozionale. Questa è una di quelle. Sarebbe stato magnifico girare Miami, Los Angeles e promuovere il film insieme a Antoine e Denzel, ma bisogna rispettare le scelte dei colleghi statunitensi e capire che si stanno battendo per qualcosa più grande.