Il cinema secondo Ángela Molina: “Dopo la verità, quel che c’è di più bello al mondo è la finzione”

L'attrice spagnola considerata l'ultima musa di Luis Buñuel è stata insignita del Premio alla Carriera al MedFilm Festival, ennesimo riconoscimento di affetto da parte di un paese che reputa terra d'adozione. "La cultura italiana è immensamente ricca e insondabile, da Petri a Bellocchio per me lavorare qua è sempre un’avventura memorabile. La politica? Ora è confusione". L'intervista con THR Roma

Il viso rilassato e lo sguardo rassicurante. Sulle spalle lunghi capelli marroni ravvivati da diradate striature grigie, il segno di un’età di cui Ángela Molina va profondamente fiera. “L’anno prossimo festeggerò i miei primi cinquant’anni di carriera” esordisce all’inizio dell’intervista l’ultima musa di Luis Buñuel, accompagnata da un sorriso rimasto immutato: tratto caratteristico di uno dei volti più iconici del cinema spagnolo (e non solo).

Pedro Almodóvar, Luigi Comencini, Ridley Scott, Elio Petri, Lina Wertmüller, Liliana Cavani e Marco Bellocchio sono solo alcuni dei registi che hanno lavorato con lei. Marcello Mastroianni, Alberto Sordi, Gérard Depardieu e Penèlope Cruz solo alcuni degli attori che l’hanno affiancata. Una carriera estremamente prolifica, la sua, fatta di scelte “di cui in qualche caso mi pento”, ammette ridendo, con una consapevolezza matura, figlia dell’età – e dell’esperienza – che porta con sé con tanta soddisfazione.

Ángela Molina

Ángela Molina

Lo scorso 11 novembre, Molina è stata insignita del Premio alla Carriera al MedFilm Festival, consegnatole da Sergio Castellitto (per cui aveva recitato in Nessuno si salva da solo). Ennesimo riconoscimento di affetto da parte di un paese che l’attrice reputa una terra d’adozione, a livello affettivo ma soprattutto professionale. Dal 1978, anno in cui, poco più che ventenne, fu chiamata da Luigi Comencini per recitare ne L’ingorgo, fino all’ultimo progetto L’ordine del tempo, il film di Liliana Cavani presentato a Venezia 80, in cui l’interprete madrilegna veste i panni della clarissa Suor Raffaella.

C’è stato un momento esatto in cui ha capito di voler vivere di recitazione?

Era nelle coordinate di ciò che amavo. Venendo da una famiglia grande e numerosa, dovevo trovare un attimo per distogliermi dal caos, e lo facevo scovando mondi inediti con la lettura. Penso sia sempre stato tutto dentro di me. Nell’ascensore di casa mia c’era uno specchio con davanti una piccola poltrona di velluto rosso. Ogni volta tornavo da scuola, mi piazzavo lì davanti e raccontavo storie vissute allo specchio. Senza saperlo, avevo già una relazione importante con la mia immagine.

Lei nasce in una famiglia d’arte. Quest’eredità importante ha contribuito alla sua vocazione?

Assolutamente sì. I teatri erano la mia seconda casa. Guardavo sempre mio padre (l’attore e cantante Antonio Molina, ndr) esibirsi. Mi commuovevo assistendo agli spettacoli e passavo gran parte del mio tempo in platea. Papà poi aveva l’abitudine di portarmi con sé sul palco a prendere gli applausi insieme a lui a fine spettacolo, quindi ho sempre vissuto il teatro anche in prima persona.

Anche la sua formazione è stata da subito orientata in questo senso.

Ho studiato danza classica e ho frequentato il conservatorio. La mia vocazione era questa, ma non me lo sono mai chiesta davvero. Lo facevo perché era ciò che amavo, e per puro caso coincideva perfettamente con chi mi sentivo di essere. Il cinema è venuto a bussare alla mia porta a sedici anni, e da lì ho cominciato senza mai più fermarmi.

Ángela Molina

Ángela Molina

C’è stato un incontro che le ha cambiato la vita?

Ce ne sono stati tanti. Sono stata estremamente fortunata con i registi con cui ho lavorato. Il primo ruolo è stato No Mataràs, per César Fernández Ardavín. Lui era un come un nonno per me, mi spiegava le cose come fossi davvero sua nipote. C’erano tanti politici in transizione in Spagna negli anni in cui ho iniziato a lavorare, poi. Perciò mi ritengo molto fortunata ad aver trovato registi impegnati politicamente ed attivi socialmente con le loro magiche storie.

A tal proposito, ha lavorato con Elio Petri. C’è ancora la necessità di rendere l’arte uno strumento sociale?

La politica ora è confusione. E la confusione va schiarita per trovare la pace. Perciò è necessario che il cinema si attivi in questo senso. Noto a malincuore, però, che non ci sono tanti film politici al momento. Tra l’altro, si può fare un’opera politica anche solo raccontando la storia di una famiglia.

Pensa che i no che ha detto abbiano cambiato la sua carriera?

Sì, lo hanno fatto, eccome. Ci sono stati alcuni no che ho detto che mi hanno fatta soffrire.

Perché?

Carlos Saura mi voleva per tre dei suoi film, ma era impossibile per me. Stavo allattando uno dei miei figli, e mi avevano proposto un personaggio cattivo che in quel momento non mi sentivo di interpretare, poiché ero nella purezza più totale. Tra l’altro, ero già impegnata qui in Italia, sul set della serie La bella Otero.

Ormai l’Italia è per lei un paese d’adozione. Si è sentita accolta sin da subito?

Sì, totalmente. Dal primo momento. Quello che ho sentito, arrivata qui, è che le nostre culture si somigliano tantissimo, a partire dai difetti. La tradizione italiana è immensamente ricca e insondabile, e per me lavorare qua è sempre un’avventura memorabile.

Ha collaborato con alcuni tra i registi più grandi della nostra cinematografia. Che ricordi conserva dei film che ha girato in Italia?

Conservo un ricordo pulito e intaccato di ognuno dei registi italiani con cui ho lavorato. Provo tutt’ora un sentimento di fiducia totale per loro. Ognuno è stato una parte unica della mia vita, e non sarei quella che sono senza anche solo uno di questi tasselli. Penso a Bellocchio, che è stato provvidenziale, o a Petri, che mi ha portata sul set come fossi sua figlia. Un legame ancor più speciale l’ho avuto con Lina Wertmüller, però. Mi ha fatta lavorare come una pazza, perché lei era instancabile, ma la ringrazierò per sempre per il David di Donatello che mi ha fatto ottenere per Un complicato intrigo di donne, vicoli e delitti. Era straordinaria per la vivacità e per l’energia che trasmetteva. Forse sono così legata a lei perché era donna, ed esercitava il suo talento con grande potenza.

Polvo Seràn

Angela Molina, Alfredo Castro, Carlos Marques-Marcet, Monica Almirall, il cast di Polvo Seràn

Ci sono delle pressioni maggiori che derivano dall’essere donna nel mondo dello spettacolo?

Io non le ho mai sentite. Sui set mi sono sempre sentita uno in più, ho sempre percepito un grande senso di responsabilità in me e nei miei colleghi, e non mi hanno mai fatto sentire mancanze di alcun tipo. Neanche quando ero giovane, e queste cose sarebbero potute succedere molto facilmente. So bene che esistono questo tipo di situazioni, ma per fortuna non è il mio caso.

Dopo una carriera così soddisfacente, a cosa aspira ora?

In realtà non lo so, penso che me lo dirà la vita. Ma sono fiduciosa. Dopo la verità, ciò che c’è di più bello al mondo è la finzione.