Tom DeLonge, dai Blink-182 al cinema: “Il mio Monsters of California è un ET con ragazzi punk”

Il co-fondatore del gruppo statunitense racconta il suo esordio alla regia, i temi trattati e le sue ispirazioni. E il prossimo 20 ottobre torna con la storica band col nuovo album in studio One More Time

Come se il tour mondiale e il nuovo disco dei Blink-182 non bastassero a tenerlo occupato, Tom DeLonge sta per debuttare al cinema con l’esordio alla regia, Monsters of California.

Il film di DeLonge, una rivisitazione in chiave moderna di un’avventura adolescenziale alla Amblin di Steven Spileberg, uscirà il 6 ottobre in alcune sale cinematografiche selezionate e in digitale. Scritto da DeLonge e Ian Miller, il film segue l’adolescente Dallas Edwards (Jack Samson) e i suoi amici ribelli mentre scoprono i segreti governativi lasciati dal padre del protagonista dopo la sua inspiegabile scomparsa.

Dalla contea di San Diego allo skateboarding, dal punk rock fino al paranormale, il film include molte delle passioni di DeLonge, nonché le ricerche che hanno portato lui e la sua compagnia, To The Stars, in prima linea nelle recenti rivelazioni sugli ufo.

“Ci sono molte informazioni di qualità nei momenti seri e credo che la gente debba prestarvi attenzione”, ha dichiarato DeLonge a The Hollywood Reporter durante una tappa del tour dei Blink-182 in Portogallo. Il cantante e chitarrista anticipa anche il prossimo album della band, One More Time, che uscirà il 20 ottobre. Insieme al singolo di ritorno dello scorso anno, Edging, si tratta del primo lavoro in studio di DeLonge con il gruppo dopo Eating Dogs (2012) e dopo la sua uscita dai Blink-182 nel 2015.

“Questo disco è fantastico. È davvero ottimo e credo che alla gente piacerà molto la varietà e la natura progressive. Penso che sentiranno ciò che desiderano da noi”, afferma DeLonge. “Sentiranno il cuore e l’anima di ciò che siamo, oltre ad alcune svolte che si addicono molto al nostro stile. Credo che i nostri fan lo accoglieranno molto bene”.

Definirebbe Monsters of California la versione vietata ai minori di un film della Amblin?

Sì, guardavo i film della Amblin e mi dicevo: “Sono perfetti per i ragazzi di periferia, ma io non riesco a immedesimarmi”. Tutti i ragazzi con cui sono cresciuto erano skateboarder punk-rock che facevano battute di merda. Quindi, nella mia versione, ho voluto inserire la mia tribù in quel tipo di contesto per riuscire a relazionarmi con loro.

Lei ha diretto video musicali e cortometraggi nel corso degli anni e ha anche lavorato con una lunga lista di registi nel corso della sua carriera. Quanto l’hanno ispirato?

Molto. Ho frequentato tutti i registi con cui ho lavorato. E, guardandoli, ho sentito che era qualcosa che potevo capire e fare. Molti artisti, se sono veramente fedeli a se stessi, possono realizzare la loro arte con diversi mezzi, se solo ci provano. L’unica eccezione, per me, è la pittura. Vorrei davvero saper dipingere, ma dipingere è fottutamente difficile. Inoltre non ho la pazienza necessaria. Quindi non credo di poter dipingere, ma ogni tanto ci provo. So disegnare cartoni animati.

Cosa l’ha sorpresa di più della regia di un lungometraggio? 

Non mi aspettavo di dovermi concentrare per quattro settimane di fila e stancarmi tanto mentalmente. Quando abbiamo finito l’ultimo giorno, mi ci sono volute poi due settimane per avere un po’ di energia per uscire da quel buco. Il mio cervello era fritto. Nel nostro film non c’era spazio per gli errori e non c’era spazio per tornare indietro e correggere qualcosa. Avevamo un solo momento per catturare il meglio che potevamo, e questo richiedeva una concentrazione estrema. Sapevo che sarebbe stato difficile e che sarebbe stato estenuante, ma non così.

Ha inserito di nascosto un po’ delle sue ricerche sugli ufo?

Sì, ci sono molte informazioni a cui penso la gente debba prestare attenzione.

Il personaggio di Richard Kind propone un’interessante teoria sulla religione e gli ufo. Pensa possa esserci qualcosa di vero?

Credo che tutte le religioni abbiano dei misteri e abbiamo al loro interno degli elementi paranormali, sotto vari aspetti: da incontri con esseri divini, messaggeri e così via. Nel film vengono descritti come miracoli, come l’ira di Dio e tutto il resto. Se la gente prestasse a queste manifestazioni maggiore attenzione allora forse cominceremo a capire che la roba che ci circonda è qui da molto tempo.

Cosa l’ha conquistata del protagonista Jack Samson e i suoi compagni?

Jack è stata la prima persona che ho voluto per interpretare Dallas. Per due anni ho continuato a mandargli messaggi fino a quando non siamo riusciti a far partire il progetto. È sempre stato così gentile e entusiasta. La parte più difficile è stata quella di trovare dei ragazzi che avessero qualcosa di crudo. Mi piaceva l’idea di avere attori sconosciuti. C’è qualcosa in loro che mi sembra più reale, piuttosto che vedere un volto che hai visto in altri film e hai già un’idea di chi sia. Anche se nel cinema è necessario avere attori che la gente riconosce se si vuole ottenere un buon budget. Il nostro, però, è un piccolo film.

Come è stato lavorare con Ilan Rubin, compositore della colonna sonora?

Ilan è un prodigio. È un musicista incredibile. Quando abbiamo iniziato a girare Monsters of California, volevo davvero che fosse un pezzo di accompagnamento all’album Lifeforms degli Angels & Airwaves, ma con il Covid e tutto quello che è successo, non ha funzionato. Così siamo riusciti a farne una colonna sonora a sé stante e a farla diventare una cosa indipendente, il che è stata assolutamente la decisione giusta da prendere. E una volta che abbiamo iniziato a lavorare sulla componente musicale del film, questa ha preso vita propria. Ilan e suo fratello Aaron hanno fatto centro.

Il nuovo singolo One More Time ha un impatto emozionale, senza introduzione di chitarre pesanti. Come mai questa scelta, che probabilmente non si sarebbe fatta vent’anni fa?

È questo il punto, soprattutto per una band come la nostra. Ci chiediamo sempre: “Quando arrivano le chitarre grandi?”. Stavolta, invece, abbiamo fatto la ballata. L’abbiamo mantenuta così com’era e sembra funzionare.

Per il video di One More Time, a chi è venuto in mente di ricreare un effetto caleidoscopico con sullo sfondo diverse epoche della band?

Credo che sia stata una proposta dell’etichetta. Una delle persone della casa discografica ha avuto quell’idea, che funziona molto bene con la canzone. Non ero sicuro di come sarebbe venuto, quindi mi sono limitato a dire: “Dimmi solo dove devo stare”. Ma quando l’ho visto finito ho pensato: “Wow, funziona davvero bene”. È un video nostalgico e fa entrare le persone nella nostra storia, cosa che una band cerca sempre di fare.

Traduzione di Pietro Cecioni